23 ottobre 2023
Massimo Valentini ci parla del suo ultimo album “Nudo”, pubblicato dall’etichetta Abeat Records, un album in cui il sassofonista marchigiano mette letteralmente a nudo il proprio essere e i propri sentimenti, per liberarsi del superfluo ed essere semplicemente se stesso.
a cura di Arianna Guerin
Ciao Massimo e benvenuto su Jazzit! Parafrasando il titolo del tuo ultimo album “Nudo”, possiamo azzardare l’ipotesi che in questa tua nuova creatura discografica tu ti sia messo completamente a nudo? E in che senso e modo lo hai fatto?
È proprio così, mi sono messo a mio agio. Tutti noi nasciamo nudi ed è la cosa più naturale che possa esistere al mondo: crescendo poi la nudità diventa innaturale per molte persone, infatti l’espressione ”Mi sento nudo” è spesso associata a un disagio. Credo invece che mettere a nudo il proprio essere, i propri sentimenti o semplicemente piacersi nudi sia fondamentale per capire chi realmente siamo, per essere sinceri con noi stessi. “Nudo” rappresenta per me un punto di arrivo, ma anche un punto di partenza, una possibilità di essere semplicemente ciò che sono, una possibilità di liberarmi del superfluo.
E visto che siamo in tema di confidenze, ci racconti come la tua musica riesce a esprimere le tue sensazioni più profonde? E come la descriveresti con tre aggettivi?
Non c’è molto da dire, mentre suono chiudo gli occhi e butto fuori quello che deve uscire dalle viscere dell’anima, poi mi lascio guidare dalle vibrazioni. Mi emoziono mentre scrivo perché sento in testa come suonerà quella musica e mi emoziono sul palco mentre ascolto i miei musicisti suonare. Riguardo ai tre aggettivi, viscerale, elegante, il terzo lo lascio decidere a te…. 😉
Direi emozionante… 🙂 Ma come nasce a proposito la tua passione per la musica? E quando e perché hai deciso di intraprendere la carriera del musicista?
Da bambino avevo in casa una diamonica e delle armoniche a bocca: erano di mio padre, che ogni tanto le suonava. Ho iniziato così a suonare “a orecchio”, ovvero andavo per imitazione; ascoltavo i vinili dei miei genitori, dalla musica di Venditti e Cocciante di mia madre ai Beatles e gli Inti-Illimani di mio padre, ciò che sentivo cercavo di ripeterlo. Poi a sei anni mi mandarono a suonare in una banda, il maestro mi fece studiare il flauto traverso, ma non riuscivo nemmeno a sostenerlo e non mi piaceva, così dopo un paio d’anni smisi e i miei mi fecero studiare pianoforte, mi piaceva, ma sentivo che non fosse ancora quello il mio strumento. Poi un giorno, avevo undici anni, vidi un video di un concerto di Tina Turner, al suo fianco c’era un tipo pieno di muscoli che suonava il sax ed emetteva un suono potente; ho capito subito che anche io sarei voluto diventare così, diciamo che lo strumento l’ho azzeccato, riguardo ai muscoli ci sto ancora lavorando… ahahah
Ci parli dei brani presenti nel disco?
Non è facile parlare della propria musica, ma ci proverò. Sono undici brani, sei suonati in quintetto: Di là e di qua, Tutta colpa della neve ed Esperar, potrei dire che sono una trilogia dedicata al contorto mondo dei sentimenti. Ballata per 7 e Sesamo Sticks sono più legati al mondo “classico” della musica. Sesamo Sticks è dedicato ai grissini al sesamo, di cui vado pazzo. L’ultimo dei sei è La prima neve d’Oriente. Poi ci sono tre brani in cui ho suonato tutti gli strumenti, ad esclusione di alcune parti di arpa, percussioni e archi. I brani sono Autumn’s eyes, I break the shape e Bulgarian Folk Song, questi tre brani li sto arrangiando anche per quintetto. Poi c’è No Connection, scritto assieme a Paolo Sorci e suonato in duo con molte sovraincisioni dei nostri strumenti, e per finire un brano in piano solo, sempre suonato da me, North direction. Tutti brani molto diversi tra loro, in cui si possono riconoscere le influenze del progressive jazz, del rock, della musica popolare balcanica e mediorientale, nonché il bel canto italiano. Molte persone che hanno ascoltato l’album mi hanno detto di aver viaggiato un po’ ovunque, non solo geograficamente, ma anche storicamente.
Da cosa ti lasci ispirare quando componi? E quali sono le caratteristiche delle tue composizioni da un punto di vista tecnico, stilistico ed espressivo?
La vita è un flusso continuo e lo è anche la musica, per creare ho bisogno di movimento, di cambiamento. I viaggi attraverso il mondo e i luoghi in cui ho vissuto (Argentina, Brasile, Romania e Ungheria) le persone, il cibo, i concerti, tutto ha influenzato la mia musica; mi fermo per scrivere e poi riparto. Però, scrivo anche pensando al mio suono, ispirato dalla grande voce di Maria Callas e dalla voce lirica in generale, per fraseggiare liberi restando comunque nel tempo. Sono ispirato dalla terra dove sono cresciuto, Urbania, e da tutto l’Appennino intorno ad essa, dalle colline dorate coperte di grano in estate, dal colore e dall’odore dei boschi in autunno, dal profumo dei ciliegi e del sambuco in primavera, dalla neve… Da tutto questo è nata la “Jumble Music”, così la definisco. Inconsapevolmente credo che la mia musica offuschi le distinzioni tra jazz, rock e musica colta. Naturalmente, come in ogni essere umano, le fragilità e i momenti bui hanno fatto sì che collezionassi un po’ di scheletri nell’armadio, che butto fuori mentre scrivo e mentre suono. Sono cresciuto in un contesto bucolico e rurale e senza rendermene conto, l’ho assorbito letteralmente. È una parte profonda e radicata dentro di me. Tutte queste esperienze, unite allo studio del repertorio classico per sassofono assieme a un grande maestro, Federico Mondelci, e la curiosità che ho sempre avuto per tutta la musica in generale, soprattutto per Bach, Debussy, Rachmaninov, Dvořák…, sono state fondamentali per formare la mia sensibilità musicale. Devo poi ammettere che aver studiato composizione e arrangiamento jazz in Conservatorio con un altro straordinario maestro come Bruno Tommaso, mi ha spronato a mettere per iscritto tutte le mie emozioni.
“Nudo” è il secondo disco che pubblichi con l’etichetta Abeat Records (il primo è stato “Jumble”, uscito nel 2016): ci parli del rapporto con questa prestigiosa label italiana?
Non parlerei del rapporto con Abeat, ma piuttosto del rapporto con il suo fondatore, Mario Caccia. Nel 2016 inviai a varie case discografiche le mie musiche, naturalmente come spesso accade qui in Italia, in poche risposero e di quelle quasi nessuna mi convinse. Dopo qualche mese, mentre stavo per accettare il contratto con un’etichetta, mi arrivò un’email di Mario in cui si scusava per non aver risposto prima e mi diceva che se fossi stato ancora disponibile, gli sarebbe piaciuto pubblicare il mio album “Jumble”. Successivamente facemmo lunghe chiacchierate, parlando in dettaglio delle mie musiche e di tanto altro e capii che fosse realmente interessato e attratto dalla mia musica. Riguardo a questo ultimo lavoro, “Nudo”, ho avuto proposte da varie case discografiche, anche estere, ma mi è sembrato giusto e corretto pubblicare almeno un secondo lavoro con la persona che ha creduto in me la prima volta. Poi, è anche giusto dire che oggi molti giovani artisti, nel jazz o in generale nella musica strumentale e improvvisata, si producono da soli, oppure il prodotto arriva alla casa discografica già finito, pronto per essere pubblicato. Come può un’etichetta, che non ha investito quasi nulla nella produzione e promozione dell’album, promuovere con determinazione, serietà e tenacia un artista e la sua musica? Beh, non può perché non ha rischiato nulla e non perderà mai nulla se quell’artista non avrà un seguito, vendite, ascolti, etc. Però, i diritti e i proventi della musica vengono sempre divisi tra l’artista e la casa discografica, e nel caso in cui venga prodotto il CD l’etichetta obbliga quasi sempre l’artista a comprarne una certa quantità, etc… Una label seria dovrebbe aiutare i giovani artisti e pagare quasi tutto, registrazione, musicisti, ospiti, mixaggio, mastering, garantire all’artista un booking e un ufficio stampa, ma questo accade quasi solamente nella musica pop e a certi livelli. Molte case discografiche, soprattutto quelle di musica jazz, hanno un pensiero vecchio, sterile, non più adatto alle esigenze di oggi, giuste o sbagliate che siano. È difficilissimo, se non impossibile, per un giovane artista poter pagare e pensare da solo a tutto quello che ho appena citato. Questo è uno dei motivi per cui il mercato del jazz e di altre musiche affini è coperto di nebbia. Confido però nel futuro in qualche giovane Mario Caccia… eh eh eh.
Come hai scelto i musicisti con cui hai condiviso questa nuova avventura discografica?
Anni fa a Bologna, precisamente nel 2011, in una circostanza del tutto casuale, assurda e tragicomica, ebbi la fortuna di incontrare Lucio Dalla. Parlammo per circa un’ora, di musica prevalentemente, gli raccontai del desiderio di creare una band e lui mi disse: «scegli i migliori e possibilmente diventate amici». Queste semplici parole, apparentemente scontate, mi risuonarono a lungo e così feci. Ho impiegato due anni per scegliere “i migliori”, ora sono otto anni che suono con loro e siamo amici. Sono esigente e pretendo il massimo, sia da me che dai miei musicisti, che sono straordinari e so che con loro la parola osare non ha più un significato limitante, ma bensì di carica emotiva. Ognuno di essi ha una forte personalità, necessaria alla mia musica. Paolo Sorci potrei definirlo il mio “io” chitarrista, spero non me voglia… ahahah… Poi c’è Andres Langer al pianoforte, la cui energia e le cui armonie legate al tango e alla musica popolare argentina, aggiungono alla mia musica quel sapore intenso, di cui non posso fare a meno. Filippo Macchiarelli non suona semplicemente il basso, ma è una seconda voce, che con il suo timbro morbido e potente al tempo stesso si insinua tra i vari strumenti e li sorregge tutti. Per quanto riguarda la batteria, come dicevo prima, sono sempre stato molto esigente, soprattutto per quanto riguarda gli strumenti a percussione. Ho cambiato nove batteristi in due anni, poi nel 2017 è finalmente arrivato Gianluca Nanni. A “Nudo” hanno partecipato anche due altri straordinari musicisti, l’arpista Marta Celli, la cui arpa celtica artigianale ha davvero un suono unico rispetto alle altre arpe e mi ha colpito sin da subito; Marta poi ha una mentalità aperta ed è subito entrata in sintonia con la mia musica. E poi il percussionista Marco Zanotti, con cui collaboro da anni in altri progetti e che con le sue percussioni riesce a ricreare un oceano di colori. Nel primo brano dell’album è presente anche un quartetto d’archi formato da Ximena Jaime al violino, Michele Vagnini alla viola, Vladimir Zubitsky al violoncello e Jean Gambini al contrabbasso. Per concludere, ha collaborato con me alla scrittura del testo dell’unico brano cantato dell’album, Marica Bacciardi, amica, cantante e sensibile autrice.
Presenterai il disco con un tour dedicato?
Abbiamo tenuto cinque concerti in Italia tra giugno e agosto, ma il booking si sta occupando di preparare un tour in Nord Europa e spero America Latina per la fine del 2023 e gli inizi del 2024.
Tu componi anche colonne sonore per film e documentari: ci racconti questo aspetto della tua professione?
Come ho detto prima, il mio vissuto mi ha reso una persona sensibile, la mia musica è molto descrittiva, visiva. Chi viene a un mio concerto, non può evitare di viaggiare. Quindi scrivere per le immagini mi è sempre venuto facile e spontaneo, ma soprattutto mi rende felice. Per farti capire meglio ti cito un frammento di una recensione di Paolo Fresu riguardo al mio primo album: «Si può viaggiare nel mondo stando comodamente seduti nella propria poltrona? Ascoltando il cd di Massimo Valentini, che del viaggio incarna l’attitudine e il pensiero, avrete l’impressione di essere su un Trans Europ Express, che parte dal cuore della vecchia Europa, intento a raggiungere gli Oceani. Attitudine alla migrazione e pensiero geografico composto da molteplici Continenti sonori…».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e progetti futuri?
Il primo obiettivo è sicuramente quello di divulgare la mia musica ovunque, suonando. Oltre a questo sto già lavorando a nuove musiche e a un progetto più ambizioso, ma non voglio anticipare nulla. Poi a giugno “Nudo” è stato presentato ai Grammy! Grazie a te per questa intervista e grazie a tutti voi di Jazzit per il monumentale lavoro che state facendo per la musica in Italia. Vi auguro di poter continuare a lavorare bene come state già facendo e che lo Stato vi aiuti concretamente per continuare a farlo con più leggerezza.
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