
5 settembre 2020
Nonostante le restrizioni dettate per contenere l’emergenza del Coronavirus, il jazz italiano non si ferma: e molti promoter hanno dimostrato ancora una volta coraggio, competenza e passione, mettendo in scena una serie di programmi di qualità.
Per valorizzare l’intraprendenza dei promoter jazz italiani, JAZZIT ha censito tutti gli eventi promossi su scala nazionale tra giugno e settembre e ha inaugurato la realizzazione dell’inchiesta ’L’estate del jazz ai tempi del Coronavirus’.
Ringraziamo quindi Paolo Damiani e Armand Meignan, in qualità di direttori artistici di Una striscia di terra feconda, per aver risposto al nostro invito.
UNA STRISCIA DI TERRA FECONDA 2020
Date > 24 luglio – 17 settembre
Luogo > Caprarola (VT), Palestrina (RM), Roma, Subiaco (RM)
Web > www.associazioneteatrodellascolto.it
Come, quando e perché avete deciso di promuovere l’evento anche questa estate?
La XXIII edizione di Una Striscia di Terra Feconda era già stata integralmente pianificata entro settembre 2019, molto prima del lockdown. L’identità della rassegna consiste nel coinvolgere esclusivamente musicisti italiani e francesi, spesso invitati a creare insieme nuovi gruppi e musiche originali: pertanto è un festival a cui lavoriamo tutto l’anno, e proprio per l’imponenza del lavoro che c’è dietro, abbiamo deciso di confermare anche questa edizione; era necessario ripartire con energia e ottimismo in un momento in cui la maggior parte dei festival europei venivano cancellati o rinviati a giorni migliori… noi invece abbiamo scelto di rendere migliori questi giorni. Inoltre i nostri partner istituzionali ci hanno chiesto di fare del nostro meglio per salvare la rassegna. Il festival esiste grazie al sostegno del MIBACT, del Comune di Roma e della Regione Lazio, della Fondazione Musica per Roma e della Casa del Jazz, dei musei di Palestrina e Caprarola, della rete europea di festival AJC, della SIAE, dell’INPS-Fondo PSMSAD, dell’Ambasciata di Francia a Roma e della Fondazione Nuovi Mecenati. Di rilievo inoltre le collaborazioni con le Associazioni Nazionali I-Jazz, MIDJ, IJVAS, Sacem e Spedidam, l’Università RUFA, il Comune di Subiaco e il media partner RAI Radio3.
Come lo avete ripensato e che cosa è cambiato, sotto il profilo artistico, produttivo e organizzativo?
Alcune modifiche sono state “fisiologiche”, qualche musicista ha preferito non viaggiare causa Covid e questo ha comportato la cancellazione di un paio di gruppi, confermando comunque il numero di ventuno concerti previsti inizialmente. Gli spazi sono stati gestiti secondo le normative anti-Covid ma siamo riusciti comunque a mantenere la stessa affluenza delle scorse edizioni.
Come hanno reagito gli artisti e il vostro pubblico alla notizia dell’edizione 2020?
Abbiamo un pubblico affezionato che ci segue ormai da anni, ma anche un pubblico ogni volta nuovo fatto di turisti e appassionati, che vengono ad ascoltare i nostri concerti e a scoprire i meravigliosi luoghi che scegliamo per ospitarli (Museo Archeologico Nazionale a Palestrina, Palazzo Farnese di Caprarola, Auditorium Parco della Musica e Casa del Jazz a Roma, Rocca dei Borgia di Subiaco). I musicisti erano molto emozionati, in particolare per i francesi sono stati i primi concerti dopo il lockdown, dato che in Francia la ripresa dei live è stata assai più difficoltosa che in Italia.
Cosa vi lascerà, in eredità futura, questa edizione? Che cosa vi porterete addosso negli anni futuri?
L’eredità che ci lascia questa travagliata edizione, resa possibile grazie allo straordinario sostegno dei nostri partner, consiste nella nostra storia, che noi trasformiamo in progetti futuri. Le difficoltà sono un’ottima occasione per “re-inventarsi”. Per cui tutto ciò che in un primo momento è sembrato appesantire la gestione del festival, ha permesso invece di essere creativi e di trovare soluzioni assai efficaci. Inoltre siamo convinti che l’obbligo di prenotazione degli eventi da parte del pubblico abbia per assurdo incentivato l’affluenza. La rassegna crede nella propria funzione di servizio pubblico, promuovendo costantemente determinati valori essenziali per la collettività; parleremmo di “bene comune”, se non fosse ormai un’espressione logora e abusata. E tuttavia il festival svolge importanti funzioni tipiche delle qualità “comuni” di un bene, nel rapporto tra le persone e gli artisti con le loro opere. Le logiche del mercato non sono la priorità, pensiamo piuttosto alla potenza estetica delle opere e alla funzione sociale della rassegna franco italiana, alla sua missione di incentivare le conoscenze di tutti attraverso programmi fondati sul rischio e sull’originalità, nell’interesse generale. La commissione di nuove composizioni e le molte prime assolute o nazionali rappresentano da sempre la principale caratteristica di Una striscia di terra feconda. Molte categorie sono coinvolte, non solo artisti ma anche docenti, produttori, distributori, tecnici, studenti, e soprattutto un pubblico sempre più curioso e disponibile. Il festival ha creato nel tempo decine di nuove formazioni, orchestre di giovani, coproduzioni e ormai si distingue sia per la propria storia che per la ‘missione’, mai tradita: quella della ricerca del nuovo, ricerca che deve svilupparsi nel medio e lungo termine, poiché per un’azione efficace e profonda ci vuole tempo e fiducia negli artisti e nel pubblico.