5 novembre 2023
Dal 2 al 19 novembre festeggia la sua XXV edizione uno dei festival autunnali più attesi e significativi del panorama jazz italiano, il Padova Jazz Festival, che presenta per questo prestigioso traguardo un programma di eccezionale qualità e varietà, in cui si intrecciano il jazz statunitense (Bill Frisell, Emmet Cohen, Joey Calderazzo) e quello italiano (Irene Grandi in versione blues, Fabrizio Bosso), con quello europeo a fare da mediatore (Greg Osby con Arno Krijger e Florian Arbenz, l’organico internazionale del Trio Grande) e una sezione appositamente dedicata al jazz al femminile, con Vanessa Tagliabue Yorke, Francesca Tandoi, Patrizia Conte, Olivia Trummer e Naomi Berrill. Ce lo racconta la sua anima creativa Gabriella Piccolo.
a cura di Arianna Guerin
Il Padova Jazz Festival festeggia quest’anno i suoi venticinque anni con uno straordinario programma che presenta una varietà di espressioni della cultura jazzistica che riassume la storia del festival: ci racconti questa importantissima edizione?
Organizzare il festival per me è come costruire un puzzle, si parte da un piccolo pezzo e si costruisce intorno tutto il quadro e anche quest’anno, scegliendo tra le proposte di musicisti che sono in tour in questo periodo, sono soddisfatta delle scelte fatte.
Quali sono i concerti che attendi con trepidazione e che consiglieresti al pubblico di non perdere?
Naturalmente tutti i concerti sono delle sorprese e li aspetto con trepidazione, ma se dovessi scegliere direi il progetto blues di Irene Grandi e Bill Frisell, che non avevo mai potuto ospitare nelle edizioni precedenti.
Come hai scelto le location in cui saranno organizzati gli eventi? E come si integra il tuo festival nella città e nella comunità di Padova?
Il festival è nato intorno al Teatro Verdi e nelle prime edizioni si svolgeva soltanto lì per tre serate, ma poi si è resa interessante la possibilità di cercare altri luoghi in città per ampliare la proposta anche in sedi più piccole o più particolari, come per esempio quest’anno la Sala Rossini al piano nobile del Caffè Pedrocchi e un piccolo museo di arte contemporanea nella Nuova Sant’Agnese, messa a disposizione dalla Fondazione Peruzzo.
Per l’organizzazione del festival solitamente ti occupi un po’ di tutto… ma quali collaboratori ti aiutano e com’è strutturata la macchina organizzativa di Padova Jazz?
Nel mio festival siamo veramente in pochi, ma siamo molto affiatati, per cui oltre a me c’è Giorgia che si occupa del coordinamento organizzativo, Daniele per l’ufficio stampa, Stella per le pubbliche relazioni, Nicola per il web, i social e la grafica del materiale cartaceo, Diego e Paolo per la produzione. Poi come tutti gli anni c’è un fotografo ufficiale e i soci del Fotoclub Padova, e Natale Caccavo per i video e le interviste per il nostro canale YouTube!
Il Padova Jazz Festival è un appuntamento molto importante e atteso nella programmazione jazzistica italiana: quali caratteristiche secondo te lo rendono unico nel panorama jazz nazionale?
È un festival nato per passione e continua ad esserlo. Lo ritengo importante, ma non mi sento di ritenerlo unico, in quanto ci sono tanti festival in Italia e qualche giornalista lo ha posizionato tra quelli più interessanti, e li ringrazio ovviamente per questo.
Quali sono gli obiettivi che ti eri prefissata e che sei riuscita a raggiungere finora e quali sono i sogni e i progetti che hai in mente per il futuro del festival?
Quando ho iniziato questa avventura non avrei mai pensato che sarebbe durata così tanto e di conseguenza ne sono naturalmente orgogliosa. Il passato è stato importante e il futuro è da scrivere, ma cercherò di mantenere sempre viva la passione e l’impegno.
Quali artisti sei particolarmente fiera di aver portato al festival e quali rimpiangi di non aver avuto?
Beh sono tanti, ma se devo proprio scegliere, direi che particolarmente emozionanti sono stati i concerti di Ornette Coleman, Pat Metheny, Chick Corea, Ron Carter, Jaques Morelenbaum, Enrico Rava e tanti altri. Rimpiango di non aver portato a Padova Chet Baker, che non sono mai riuscita ad ascoltare dal vivo, e Keith Jarrett, che non potevo permettermi economicamente, ma che è stato il musicista che mi ha fatto conoscere e amare il jazz.
E per salutarci… Ma cos’è per te il jazz?
Emozione e libertà
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