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Jazz in Friuli</br>Parla Flavio Massarutto

Jazz in Friuli
Parla Flavio Massarutto

Flavio Massarutto, classe 1964, è una persona realmente speciale: è critico musicale, redattore di Jazzit da almeno quindici anni ma anche del Manifesto e del Giornale della Musica; è autore del libro Assoli di china. Tra jazz e fumetto (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2011) e con il regista Alberto Fasulo ha realizzato il cortometraggio Break e co-prodotto Atto di dolore; è direttore artistico di San Vito Jazz e collaboratore di Cinemazero di Pordenone. Lo intervistiamo in occasione dell’uscita del terzo volume della collana “Jazz in Friuli Venezia Giulia”, di cui è l’ideatore e per cui ha curato la selezione dei brani e scritto le note di copertina.

di Luciano Vanni

“Jazz in Friuli Venezia Giulia” giunge al volume numero tre: come e perché nasce questa collana discografica? Chi la produce? Come nasce la selezione del repertorio? 
La collana è nata dalla constatazione della grande qualità e quantità di jazz prodotto in questa regione. Nonostante le sue piccole dimensioni e la sua perifericità i suoi musicisti hanno saputo dire qualcosa di originale e dunque è giusto fare in modo che il loro lavoro sia conosciuto. La produzione nasce all’interno del marchio Jazz FVG che riunisce gli organizzatori di festival e rassegne. Per questo progetto il Circolo Culturale Controtempo, San Vito Jazz e Euritmica. L’edizione è di Artesuono di Stefano Amerio.

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Che caratteristiche e quali specificità ha, a tuo avviso il jazz friulano?
È come il Friuli Venezia Giulia: policentrico, multilinguistico, multiculturale. E come tutte le zone di frontiera è propenso agli attraversamenti e agli sconfinamenti.

Che cosa ti affascina di più del rapporto tra folklore e jazz?
Secondo me la forza del jazz sta nella sua porosità, nella sua inquietudine. Perciò si incontra e si impasta volentieri con le altre musiche fino a smarrirsi in esse e rinascendo più vitale. Trovo naturale che incontri il folklore, direi quasi inevitabile. E lo dimostrano gli innumerevoli incontri in tutte le latitudini. Con il folklore il jazz riscopre il suo legame con il popolo, con la festa e la strada.

Quanto, secondo te, l’identità sociale di un musicista determina il suo linguaggio jazz? 
Tanto a patto di considerare le identità come multiple e mutevoli. Per sua natura il jazz cerca l’affermazione dell’individualità nella libertà. Non contro gli altri ma insieme agli altri.

Ha ancora senso parlare di “via italiana al jazz”?
Per me il jazz italiano è quello che suonano i musicisti italiani. Ognuno con la propria voce. Non esiste una specificità stilistica. È jazz italiano Franco D’Andrea come Pino Minafra.

Che cosa distingue questo volume tre dagli altri?
I primi due volumi raccontano l’attualità, perciò contengono solo brani recenti. Questo invece è un volume tematico e ha per argomento le musiche di tradizione popolare interpretate da jazzisti. Anche in questo come negli altri ci sono due inediti. La selezione copre un arco temporale che va dal 1987 al 2015 ed è molto diversificata dal punto di vista stilistico.

Raccontaci come è avvenuta la selezione delle quattordici tracce.
Da tempo raccolgo materiale, anche storico, sul jazz prodotto nella mia regione. Cerco di seguire la scena di questo territorio frequentando festival, rassegne, club. Spesso chiedo ai musicisti le registrazioni dei loro concerti. Da tutto questo materiale ho cercato di selezionare brani che raccontassero il più possibile la varietà degli approcci e delle fonti. Ci sono perciò le villotte di Zardini e Lenuzza, le musiche della Val di Resia, delle Valli del Natisone, canti sloveni, carnici e di Sauris, filastrocche, canzone popolare d’autore.

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Al momento dell’ascolto, che cosa ti ha emozionato maggiormente di questo lavoro?
La bellezza delle melodie. C’è qualcosa di antico e di profondo in esse. Una bellezza che ti fa stare bene.

Che cosa lo rende unico?
Non ho notizia di una raccolta di questo tipo. Intendo dire con questa profondità temporale e con questa varietà. Qui ci sono trent’anni di rapporto intenso e continuativo tra jazz e tradizione popolare.

Che cosa ti attendi da questo lavoro? Quale sarebbe la più grande soddisfazione?
Per prima cosa questo lavoro è un omaggio ai musicisti di jazz e al loro lavoro perciò sarei soddisfatto se finalmente si cominciasse a riconoscere il valore di questa musica. Mi rendo conto che è un discorso complesso ma io penso che bisogna continuare a insistere su questo. Nello specifico sarebbe bello che questo lavoro, e gli altri, potessero essere distribuiti in modo capillare per raggiungere più ascoltatori possibili. Certo sarebbe bello trovarlo nelle edicole. E non solo in Friuli Venezia Giulia.

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