In occasione della recente edizione del festival Lucca Jazz Donna abbiamo intervistato la pianista e compositrice Federica Colangelo, checi ha parlato del suo secondo album “Chiaroscuro” (AlfaMusic, 2016), del suo presente e delle sue passioni per la carnatic music indiana e l’arte pittorica.
di Roberto Paviglianiti
Dopo “Private Enemy” (Optomusic, 2013) il nuovo album “Chiaroscuro” (AlfaMusic, 2016) è il secondo album con il tuo gruppo Acquaphonica. Il titolo ha un particolare significato?
Sì, si chiama “Chiaroscuro” in riferimento al periodo pittorico caratterizzato da contrasti di luci e ombre. Sono da sempre attratta dall’arte pittorica, soprattutto dai pittori del XX secolo e dagli artisti contemporanei, e vedo tutte le arti correlate tra loro. Fin da piccola ho avuto la consuetudine di visitare mostre ed esposizioni. Sia mia madre sia mia nonna dipingevano, entrambe amanti dell’arte e con la passione per la pittura. Mia madre mi ha supportato nelle mie iniziative, e senza di lei sarebbe stato difficile riuscire nel mio percorso artistico.
Un itinerario che a un certo punto ti ha visto vivere in Olanda. Perché proprio lì?
Sono abbastanza “vagabonda”. Sono andata via dell’Italia molto presto. Mi piace mischiarmi con le altre culture, suonare con musicisti provenienti da tutto il mondo, e sotto questo aspetto l’Olanda è piuttosto emancipata. Del resto nel mio modo di vivere cerco di non avere barriere mentali e provo a riflettere questo aspetto nella mia musica.
Il tuo modo di scrivere da cosa è influenzato?
L’amore per la pittura rende una forte “impronta visiva” alla mia musica. Non mi considero la classica pianista di jazz, ma cerco di esprimere un mio personale concetto espressivo. Ho studiato musica classica e composizione contemporanea, e queste influenze entrano nel mio modo di approcciare il pianoforte. Ho anche vissuto per un periodo in India, e ho iniziato a interessarmi alla carnatic music (sistema musicale perlopiù adottato nel sud dell’India, NdR) circa sei anni fa. Da questa musica estraggo in maniera particolare le sovrapposizioni ritmiche. Sono ancora in fase conoscitiva, sto cercando di perfezionarmi, ma nel frattempo tutto questo entra nel mio modo di esprimermi.
Della carnatic music indiana cosa ti attrae maggiormente?
Non c’è un sistema armonico, ci sono scale con diversa alternanza di intervalli, e il ritmo è al centro del loro modo di operare. C’è una sorta di illusione, il ritmo si evolve in un modo, ci si aspetta dunque un determinato sviluppo melodico mentre spesso la musica prende direzioni imprevedibili.
Qual è il punto di congiunzione tra musica e pittura?
Un pittore quando dipinge e crea una sua storia pittorica ha un determinato carattere e un fine. Realizza una fisionomia riconoscibile a chi osserva il quadro. E questo è molto simile ai processi che si hanno in musica. È estremamente ispirante, e prendere spunto da altre arti è anche liberatorio. In questo modo riesco a vedere quello che voglio fare senza sentirmi costretta da regole precise.
Come reagisce il pubblico alla tua proposta espressiva?
Direi bene. Il mio è un modo di esprimersi influenzato da vari elementi, ma che mantiene una certa linea melodica, facile da ascoltare e ricordare. È una musica comprensibile e fruibile anche dal pubblico non di nicchia.
Hai dei riferimenti precisi in ambito musicale?
I Bad Plus sono il mio gruppo di riferimento. Adoro tutto quello che fanno. Il loro modo di comporre, la loro duttilità espressiva… Hanno un loro suono, riconoscibile. Mi piace anche Vijay Iyer, o Brad Mehldau, e poi c’è Bill Evans, lui è il link che mi rende possibile imparare il linguaggio del jazz.
Credi di avere una tua identità stilistica?
Penso di avere un mio suono, e il saper scrivere giocando con i ritmi credo possa essere inteso come un segno di distinzione.
Tornando a “Chiaroscuro” (AlfaMusic, 2016), è un disco breve di neanche quaranta minuti.
Sì, i CD con troppe tracce non mi piacciono. Tutto nasce dalla passione per i vinili. La durata del vinile è ideale per l’ascolto. Gli album di breve durata lasciano un po’ di “fame” a chi ascolta…
Oggi le persone acquistano una traccia singola, e questa cosa mi sconcerta, come del resto mi sconcertano gli artisti che fanno album da quindici brani.
Cosa stai preparando in questo momento?
Sto lavorando con l’arpista Marcella Carboni per un nuovo progetto che prevedrà anche una voce. Per il momento è solo un’idea. Continuo a scrivere per Acquaphonica, è un gruppo che funziona e vale la pena continuare il discorso intrapreso. Inoltre sto arrangiando alcuni miei pezzi per la Big Band di Sofia.
Qual è la tua ricerca nella musica? Hai un fine?
Sto capendo che il fine e proprio non avercelo. Ogni giorno faccio una ricerca interiore, che poi mi rende migliore, più preparata. Sono appagata quando faccio un concerto, quando riesco a studiare, quando incontro persone interessanti. Ho la giusta preoccupazione per il mio futuro, come credo accada a tutti coloro che vivono di musica e di arte in genere, ma sono molto felice di quello che faccio. Ho tanta passione, senza la quale non riuscirei ad andare avanti.