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Violino jazz: intervista ad Anais Drago

Violino jazz: intervista ad Anais Drago

22 giugno 2020

Si chiama Anais Drago ed è una poliedrica e talentuosa violinista, di recente entrata nel direttivo del MIDJ. L’abbiamo intervistata.

Di Eugenio Mirti

Come ti sei avvicinata al violino e al jazz?
Ero molto piccola,  e mia mamma mi ha instradata al metodo Suzuki;  ho completato tutta l’esperienza e ho poi continuato gli studi da privatista al conservatorio.

Intorno ai 15 anni ho iniziato a suonare musiche non classiche come folk e country, e poi, in concomitanza con il diploma mi sono trovata con un amico che mi ha proposto di suonare due standard jazz, scoprendo di non saperne nulla! L’ho presa come una sfida e mi ci sono “buttata dentro”, e lì sono rimasta!

Ho poi frequentato il biennio di composizione e arrangiamento jazz, forse più per il desiderio di “catturare” conoscenze utili sullo strumento. Infine ho pubblicato nel 2018 un disco con i Jellifish, “Anais Drago & The Jellyfish”.

Hai studiato lo stile degli altri violinisti? A chi ti sei ispirata?
In realtà non ho ascoltato i violinisti, sono partita dai grandi classici, anche se – essendo il mio percorso prettamente autodidattico – il mio piano di ascolti è abbastanza confusionario e non molto lineare, con particolare attenzione a strumenti a fiato e pianisti.

Questo mi ha fatto capire da subito quanto è immenso il mondo del jazz, anche se d’altro canto mi ha forse confusa sul linguaggio!

Ho ascoltato molto i violinisti durante il lockdown, adesso sento di avere uno stile personale e non ho paura di “plagiare” quello degli altri, che era ciò che mi frenava

Che cos’è il jazz per te?
Ti dirò una cosa che non ho mai detto a nessuno:

per me il jazz è esattamente il contrario di come sono fatta io, come persona e come carattere; proprio questa dicotomia che si crea  me lo rende affascinante.

Qual è il più grande sogno che vorresti esaudire?
Troppi sogni per dirne solo uno!

Che cosa hai in programma per il futuro?
Sto lavorando a due album: mi piace il progetto con i Jellyfish perché credo nel  retaggio “rock” delle band che portano avanti molti lavori con lo stesso organico, e ho scritto della musica nuova per questo gruppo.

Sto lavorando anche a un duo con pianoforte violino; è una idea “ibrida”, perché naturalmente rimanda alla musica classica, e proprio per questo per anni ho evitato questa formazione; il materiale che sto scrivendo è borderline, tra jazz e classica contemporanea.

Infine ho lavorato a un set in solo, nel quale uso la loop station ed effetti vari, che rimarrà probabilmente solo come esperienza live.

Sei stata eletta al direttivo del MIDJ. Cosa ti ha spinto a candidarti e come pensi che sarà questa esperienza?
È stata una decisione dell’ultimo momento,  mi sono fatta attirare dagli aspetti positivi; in questi mesi mentre ero a casa mi sono sentita inutile, e ho visto la candidatura come un modo significativo per essere utili.

Mi sento in debito col MIDJ perché nel 2018, tramite il loro bando, ho vissuto una residenza artistica a Bangkok; in questi due anni sono rimasta in associazione, ne ho scoperto il significato, e questo mi entusiasma.

Penso che sarà una esperienza che mi farà crescere come cittadina.

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