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Tra jazz ed elettronica<br/>Intervista ai Bravo Baboon
Tra jazz ed elettronica<br/>Intervista ai Bravo Baboon

Tra jazz ed elettronica
Intervista ai Bravo Baboon

29 ottobre 2019

Si intitola “Humanify” l’album di esordio dei Bravo Baboon, il trio italiano che mescola jazz ed elettronica formato da Dario Giacovelli a basso elettrico e contrabbasso, Gianluca Massetti a pianoforte e tastiere e Moreno Maugliani a batteria e pad. Li abbiamo intervistati.

Di Eugenio Mirti

Come si è formato il vostro trio?
Fortunatamente alla base del nostro progetto c’è un collante più potente di altri interessi: siamo legati da un’amicizia che affonda le radici negli anni di frequentazione del Saint Louis College of Music di Roma e abbiamo iniziato a fare musica per il piacere di farlo, senza un’idea prestabilita. Già dall’inizio il nostro approccio meno ortodosso ci accompagnava: il primo brano originale al quale abbiamo lavorato era il risultato di una trascrizione e armonizzazione di una cantilena ascoltata per caso per strada.
Siamo tre personalità diverse e complementari, per cui la sinergia e l’intesa in sala prove e fuori è più che tangibile; è stato qui che abbiamo deciso di lavorare sistematicamente alla creazione di un repertorio originale. Abbiamo sperimentato diverse formazioni (quartetto con chitarra, quintetto con chitarra e sax), per poi renderci conto che le esigenze sonore erano più varie di una line-up fissa. Il modulo centrale eravamo sempre noi tre. Da qui la scelta di continuare come trio con partecipazioni di musicisti che meglio potevano soddisfare le esigenze dei brani composti.

Ci spiegate il curioso nome?
Il nome evoca la musica di una band ancora prima di ascoltarne la musica; nello scrivere i brani per ​ “Humanify” abbiamo realizzato un dato di fatto: il nostro sound era cambiato e si stava dirigendo verso soluzioni che si sarebbero staccate da ciò che eravamo stati fino ad allora. Nel suonare i brani, l’affermazione di una nuova identità è diventata un dato di fatto e l’esigenza di avere un nome che descrivesse quello che eravamo diventati era diventata imprescindibile.
Come il titolo dell’album, anche ​Bravo Baboon ha a che fare con il contenuto dei brani e con ciò che abbiamo visto essere il nostro nuovo approccio alla Musica e all’Arte in generale. Lanciamo la provocazione dell’​ involuzione: un essere umano che si crede iper-evoluto torna invece tra i primati, nascondendosi dietro le illusioni di questo periodo storico di spinta tecnologica e presunta onnipotenza.

Come lavorate a composizioni e arrangiamenti?
Generalmente i nostri brani nascono da un’idea di base che può essere una semplice storia inventata o un fatto accaduto nel quotidiano; in qualche modo si cerca di tradurlo in musica attraverso le nostre conoscenze e l’inserimento di elementi melodici, armonici, ritmici. Non seguiamo una prassi costante e metodica ma ci lasciamo guidare dal flusso di idee, difatti molto spesso alcuni brani, soprattutto gli ultimi composti, hanno una struttura meno canonica, quasi in divenire, raggiungendo caratteri episodici. Tuttavia è importantissimo per noi poter raccontare qualcosa in ogni nostro brano, spendiamo parecchio tempo sul concetto di base che ci spinge a scrivere; a nostro avviso non avrebbe senso comporre qualcosa di solo tecnicamente valido, fine a sé stesso e che in fondo non possiede un’anima o l’adeguata gestazione del pensiero che c’è dietro.
Nell’atto pratico l’idea musicale di un brano o di un arrangiamento nasce dal singolo, spesso capita che uno di noi porti un elemento melodico dal quale si sviluppano altre idee grazie al fondamentale apporto di tutti e tre; attraverso una forte intesa instaurata negli anni riusciamo a portare a termine la composizione trovando soluzioni stilistiche adeguate, tenendo in considerazione anche il giusto impianto sonoro con una lunga e accurata ricerca timbrica di ogni singolo elemento musicale.

Cosa è il jazz oggi?
La difficoltà che si riscontra spesso è quella di stabilire cosa rientra nel ​ genere musicale jazz e cosa no; ci siamo spesso scontrati con questo dilemma sia nella vita accademica, sia nell’auto analisi della nostra musica. Cosa è jazz? Cosa non lo è?

Leggendo ed andando più a fondo nelle vite dei grandi maestri abbiamo potuto poi isolare un fattore comune: per tutti loro il jazz era fondamentalmente il modo di comunicare secondo gli stilemi di quel periodo storico; questo ci ha fatto cambiare prospettiva, spostandoci dalla visione del genere a quello dell’​ approccio .

Il jazz oggi è l’attualizzazione di ciò che è sempre stato, di ciò che lo ha fatto nascere: contaminazione; dal nostro punto di vista il jazz è una matrice da cui provengono artefatti tanto diversi quanto gli elementi che riesce a sintetizzare. Un ​ approccio ​ musicale dunque, anziché esclusivamente un genere, un modo di concepire la musica come uno strumento polifonico che attinge dai diversi generi, potenzialmente distanti tra loro ma coniugati dalla mente e dalla sensibilità dell’artista.

Perchè il titolo “Humanify”?
Abbiamo deciso di dare questo nome al disco poiché ci siamo resi conto che tutti i brani composti avevano un filo conduttore comune; per “Humanify” intendiamo il concetto di umanizzazione dell’individuo, quel processo che negli ultimi anni sembra quasi essersi perso.
L’idea di questo titolo, che combacia volutamente con quella legata al nome del gruppo, ci è venuta in mente nel momento in cui abbiamo analizzato la tracklist: la maggior parte dei brani ricalcano le scelte sbagliate dell’uomo, il suo comportamento inadeguato nei confronti della natura e del pianeta, il rapporto sociale con i suoi simili del tutto inadatto, la totale assenza di empatia, la paura del diverso, il puro egoismo e la sua poca apertura mentale.
Si passa dall’abbattimento dei confini superando gli ostacoli con Oversea, brano di apertura del disco, all’unione e commistione tra i popoli con Afrodanish, l’imparare ad ascoltare gli altri e ascoltarsi con I heard you, il problema legato al cattivo rapporto tra uomo e natura con Redwood, la ricerca di sé stessi verso una consapevole autocritica, guardando il mondo da un punto di vista differente spingendosi oltre l’universo con Space Donuts.

Come mescolate suoni acustici ed elettronici?
Crescere artisticamente vuol dire affinare gli strumenti utilizzati per esprimere il proprio unico messaggio: così come un’artista della parola attinge da vocabolari più disparati, o come un pittore sceglie i suoi materiali, noi ci siamo trovati ad allargare la nostra palette sonora muovendoci nella direzione dell’elettronica. L’utilizzo che ne facciamo è, come tutto il resto, subordinato alle esigenze delle composizioni; nella nostra versione di ​ Under the bridge l’idea era di rendere tributo ad una band che ha segnato la nostra crescita musicale utilizzando sonorità più acustiche e raffinate, così da creare un opposto che esalti ancora di più la bellezza e la cantabilità di quel brano. Allo stesso tempo su ​ Forget to be present e ​ Redwood utilizziamo delle tracce vocali prese da messaggi audio che trattiamo come descrittive (Redwood) o come vero e proprio strumento (Forget to be present). Su ​ Afrodanish le sonorità della batteria vengono allargate utilizzando moduli sonori esterni; ci sono groove interamente elettronici, ma anche pattern con set ibrido. La discriminante per scegliere uno o l’altro è stato semplicemente l’ascolto di cosa stavamo producendo nel corso di quella improvvisazione.
Un altro modo che abbiamo utilizzato per avere un ventaglio sonoro più ampio è stato quello di utilizzare batteria e pianoforte ​ preparati, dall’agire sulle corde del pianoforte all’utilizzare due piatti ride come hi-hat, passando per altri esperimenti che ci hanno portato ad ottenere il sound che potete ascoltare sul disco; tutto è subordinato ad una sola regola: la Musica.

Quali sono i vostri prossimi progetti?
Al momento siamo impegnati nella diffusione del nuovo album; siamo avidi di feedback e critiche. Dopo un periodo di crescita individuale e quindi collettiva ci siamo messi musicalmente a nudo e detto la nostra. Abbiamo dei concerti in Italia e stiamo lavorando per organizzarne in Germania, Belgio e Olanda; per il futuro abbiamo progetti ambiziosi che tassello dopo tassello stiamo ponendo in essere. Non posso svelare troppo, posso solo anticipare che si tratterà di…integrare.
Seguiteci per scoprire di cosa si tratta!

© Jazzit 2019