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Erodoto Project: intervista a Bob Salmieri

Erodoto Project: intervista a Bob Salmieri

3 novembre 2020

Bob Salmieri è un musicista curioso e imprevedibile che di recente ha pubblicato con l’Erodoto Project “Mythos Metamorphosis”, il terzo capitolo di una trilogia dedicata a Erodoto. L’abbiamo intervistato.

Di Eugenio Mirti

“Mythos Metamorphosis” è il terzo della trilogia dedicata a Erodoto: come è nata questa idea?
Da sempre ho avuto la passione per la world music e realizzato dischi a tema; mi sono sempre dedicato a ricerche letterarie legate alla musica, con Milagro Acustico realizzammo per esempio una trilogia dedicata ai poeti arabi di Sicilia… o sempre cercato di collegare musica e letteratura.

Quando ho incontrato Alessandro De Angelis, il pianista del gruppo, e decidemmo insieme di creare l’ensemble, avevo già la “fissa” per Erodoto e così pensai di sfruttare l’idea di riproporlo in musica anche  per raccontare le vicende odierne del Mediterraneo.

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L’elemento di novità di questo terzo capitolo è la presenza di un trio di archi oltre al quintetto già presente nei lavori precedenti.
Sì, nasce sempre per la voglia di sperimentare nuove strade e percorsi; Alessandro è un ottimo arrangiatore, e abbiamo pensato che per dare più lirismo alle metamorfosi di Ovidio il trio d’archi sarebbe stato perfetto.

Che cos’è il jazz per te?
Un linguaggio, il jazz si evolve sempre per cui è difficile identificarlo. Per essere chiamato jazz al suo interno deve avere un discorso improvvisativo, elemento che poi è la sua forza.

Adam Baruck nelle liner notes definisce la vostra musica “una miscela di felicità e tristezza che solo la musica italiana riesce a raggiungere”. Concordi?
Assolutamente. Nella musica italiana ma nella nostra cultura in genere si sposano l’anima latina e quella più mediterranea e medio-orientale. Nasce questa ambivalenza di grande allegria e grande tristezza, legate più che altro alla nostalgia e alla malinconia.

Viviamo un un mondo sempre più specializzato, come ti trovi a proporre questa musica  corossover particolarmente originale e di difficile classificazione? Come nasce l’associazione Cultural Bridge?
Mischiare il più possibile è quello che ho sempre fatto e quello che mi sento di proporre, cercando di realizzarlo con un senso, naturalmente.

La ricchezza dei suoni e delle idee è fondamentale a mio avviso.

Cultural Bridge è una associazione che nasce in seguito a una avventura turca che facemmo con gli Istituti italiani di cultura di Ankara e Istanbul: un tour nelle università turche di cinque gruppi, quattro italiani e uno turco. Di lì nacque l’esigenza di creare un punto di incontro, discografico e di festival. L’associazione ha  varie sezioni: jazz, world music e musica elettronica.

Quali suoni i prossimi progetti? 
Nel Mediterraneo fortunatamente abbiamo un mondo infinito di tesori e spunti, non ho paura di rimanere senza idee, sul comodino ho già 4 o 5 capitoli nuovi che potrebbero comparire! Il 30 giugno è uscito un tentativo di mettere in comunicazione musicisti italiani con quelli del nord Europa, in particolare della Polonia. Abbiamo realizzato un brano, The Trip of My Father, insieme a tre musicisti polacchi e uno turco. Da qui nasceranno altri brani, con l’idea di fare rete.

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