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“When A New Day Comes”: una nuova strada da percorrere, un nuovo viaggio da intraprendere. Intervista a Giorgio Ferrera

“When A New Day Comes”: una nuova strada da percorrere, un nuovo viaggio da intraprendere. Intervista a Giorgio Ferrera

27 gennaio 2023

Intervistiamo il pianista e compositore Giorgio Ferrera, il quale ci racconta “When A New Day Comes”, il suo ultimo lavoro discografico, registrato e pubblicato dall’etichetta discografica AlfaMusic. Il suo trio vanta concerti e apprezzamenti in tutta Europa, con soddisfazioni e plausi ricevuti soprattutto da Germania, Finlandia e Svezia.

a cura di Andrea Parente

Partiamo dal passato. La pandemia ha messo a dura prova gli aspetti lavorativi ed esistenziali dei musicisti e degli operatori del mondo dello spettacolo. Come hai affrontato e gestito questa situazione?
All’inizio con rabbia e frustrazione, come tutti credo. Sentirsi bloccati da una pandemia che si faticava a comprendere e ad accettare mi ha fatto sentire smarrito e, a tratti, impaurito. Senza contare i vari progetti andati in fumo, il lavoro di diversi mesi perso all’improvviso, concerti annullati e registrazioni in studio rimandate. Poi è subentrata la lucidità e ho cercato così di sfruttare al massimo questo lungo periodo di standby. Ho avuto modo di riflettere sul mio lavoro, su come sia cambiato nel corso degli anni e sugli aspetti da migliorare. Il lavoro del musicista è sempre in evoluzione e si fa fatica a stare dietro a tutte le possibilità che oggi ci sono; sono talmente tante, e mi riferisco alle potenzialità dei social soprattutto, che ti permettono di fare tutto, ma talvolta anche di perderti. Quando ho cominciato a lavorare con la musica tutte queste possibilità non c’erano ed ora mi sembra giusto ricalibrarsi alla nuova realtà. Spesso si fa fatica a comprendere i cambiamenti professionali, si continua a credere che basti il brano giusto e poi il resto venga da sé. Invece io penso di no. Credo che il brano giusto debba essere poi spinto da un lavoro attento e costante, che porta il musicista a seguire con cura ogni passo della sua professione. Forse è un concetto estremo, ma ho imparato a pensare al musicista come a un’azienda, una struttura articolata che si muove oltre la produzione artistica, per creare ogni volta intorno a sé l’interesse di un pubblico che oggi, sempre di più, attende nuovi contenuti.

Focus sul presente. Cosa ci racconti in “When A New Day Comes”, il tuo ultimo lavoro discografico, recentemente pubblicato dall’etichetta discografica AlfaMusic?
L’uscita discografica di “When A New Day Comes” è stato il risultato di un lungo lavoro, un impegno difficile da portare avanti in quanto realizzato durante la pandemia, tanto che a un certo punto, per la situazione preoccupante che si stava verificando, ha rischiato di saltare. Proprio per questo “When A New Day Comes” rappresenta un piccolo trionfo, che ha aggiunto ancora più valore al suo significato e l’uscita del disco, all’indomani della ripresa della socialità e della normalità, ha dato maggiore peso a questo “nuovo inizio”. Ritengo che questo lavoro rappresenti uno step ulteriore nel mio percorso artistico, ho voluto che fosse interamente composto di brani originali, perché non amo particolarmente incidere standard, anche se un’eccezione c’è, ma non ha nulla a che fare con la tradizione jazzistica, ed è la cover di Black Hole Sun dei Soundgarden. Siamo ben lontani dal mainstream, ho voluto che “When A New Day Comes” fosse un lavoro coerente con il mio stile e che tracciasse un legame ideale con il disco precedente. Ma se “Winterreise” aveva rappresentato per me una sorta di cammino interiore, qui sono ormai giunto a una fase successiva, cercando di andare oltre. Ho voluto descrivere quasi un risveglio, la voglia di vivere il presente, l’attimo. E ho pensato di interpretarlo attraverso tutte le idee e le sensazioni che si possono vivere in un giorno, d’altronde la nostra vita è anche questo no? Un giorno dopo l’altro. Ogni brano infatti rappresenta le emozioni che si vivono quotidianamente, le contraddizioni e i contrasti relazionali che spesso ci avvolgono (In a different point of view), gli slanci che ci portano a sognare (Utopia), la perenne ricerca della stabilità (Equilibrium), la stasi della pandemia (A Golden Box), o ancora la solitudine che qualche volta ci assale (Loss). When A New Day Comes (che poi dà il titolo all’intero album) è la luce che giunge pian piano, l’alba che arriva dopo una lunga e profonda notte; è la quotidianità, un proposito che prende forma, una notizia insperata, una telefonata inattesa. È il carico di aspettative, ma anche delle incertezze, proprie della nostra esistenza. Ma è anche un’ode alla speranza, e dopotutto al coraggio. Quel coraggio che, a volte, si affaccia timido, ma diventa sempre più intenso, fino a trasformarsi in qualcos’altro, nella voglia di ripartire sempre e comunque, cercando di essere grati, nonostante tutto, per avere dinnanzi a sé ancora un nuovo giorno.

Cosa lo differenzia dal tuo precedente album “Winterreise” (Arzbaum Music), pubblicato nel 2016?
“When a New Day Comes” è la prosecuzione naturale di “Winterreise”. Entrambi affrontano il tema del viaggio come esplorazione di se stessi e dell’esistenza, ma lo fanno da un’ottica diversa. “Winterreise” è un momento di stasi, di sospensione, in cui ci si ritrova soli per uscire dalla frenesia della quotidianità e affondare in se stessi. Non a caso il titolo, “Winterreise”, è traducibile con “il lungo viaggio d’inverno”, dunque lo posiziona in un momento dell’anno dove tutto naturalmente subisce un rallentamento, e qual è il momento migliore per riflettere se non quello in cui tutto attorno è in silenzio, cristallizzato? “When A New Day Comes” invece è il risveglio, l’intenzione di uscire dalla sospensione del pensiero e di intraprendere un nuovo viaggio, ma questa volta non dentro se stessi, bensì nella propria vita, affrontando un nuovo giorno, la quotidianità. È la voglia di cercare, di sbagliare, ma senza paura di farlo, di vivere la propria giornata con tutte le sorprese che potrebbe riservare. Lo ritengo quindi un momento di costruzione e di crescita continua, che si intreccia con gli imprevisti più o meno trascurabili, ma comunque esistenti, della vita.

Cosa ti ha motivato nello scegliere il contrabbassista Alessandro Del Signore e il batterista Pierluigi Tomassetti come collaboratori nel disco?
La scelta è stata facile, anzi automatica, frutto di un naturale percorso fatto insieme in questi ultimi anni. In questo sodalizio ho riversato gran parte del mio lavoro e il trio ha trovato una sua stabilità in più di dieci anni di condivisione, vivendo assieme bellissimi concerti, elaborando idee, e soprattutto suonando musica in maniera profonda e intensa. Abbiamo avuto modo di affinare la nostra intesa lavoro dopo lavoro, ricercando un suono originale che potesse esprimere al meglio l’idea musicale che c’era alla base delle mie composizioni. E Alessandro e Pierluigi sono stati due ottimi compagni di viaggio. E pensare che il nostro primo incontro è stato casuale. Una sostituzione d’emergenza mi ha portato a conoscere Alessandro, che mi ha subito colpito per la sua trasversalità musicale, per i suoi interessi non solo nell’ambito della musica jazz, ma anche in quello del rock, del progressive e dell’elettronica, generi che hanno dato un grandissimo sostegno a una mia idea di jazz non mainstream, offrendomi spunti e chiavi di lettura a volte inediti. Diverso invece è il discorso per quanto riguarda Pierluigi, conosciuto negli anni del Conservatorio: di lui ho sempre apprezzato la raffinatezza tecnica e l’eleganza timbrica, grazie alle quali siamo riusciti a fondere insieme efficacemente tutte le nostre diversità musicali. Abbiamo così trovato un’intesa, che ha portato il trio a unirsi armonicamente in una direzione univoca e a tirare fuori un suono personale che ha contraddistinto tutta la nostra produzione musicale.

Il disco è composto da dieci brani originali, più una cover. Da cosa ti lasci ispirare quando componi?
Da tutto quello che vivo e che gira intorno a me. A volte comporre è un processo semplice e le idee sembrano venire fuori con estrema facilità, a volte invece nessuna di quelle che mi vengono mi soddisfa, mi sembrano banali, a volte poi capita anche di peggio, ovvero il blocco assoluto. Parlando meno romanticamente, cerco di avere un approccio quotidiano alla scrittura, riservandole del tempo ogni giorno. Parto da un’idea, magari avuta il giorno prima, e cerco di seguirla e svilupparla oppure provo a descrivere uno stato d’animo che sto vivendo in quel momento, così sono nati alcuni brani di “When A New Day Comes”. Un perfetto esempio di questo mio modus operandi è il pezzo I’ll see you again. Ho un forte legame con il mio paese d’origine, uno di quei luoghi dove tutti praticamente si conoscono, e nonostante viva fuori rimango costantemente in contatto con la sua realtà. E talvolta mi capita di venire a conoscenza di persone che non ci sono più, così all’improvviso. Persone a cui hai voluto bene o che “semplicemente” hanno fatto parte della tua infanzia, della tua vita, e che, inevitabilmente, andandosene via si sono portate con loro un pezzo di te. In quei momenti le distanze, gli impegni, la pandemia possono tenerti lontano da luoghi in cui vorresti assolutamente stare. Ho cercato così di esserci comunque, ma a modo mio, scrivendo questo brano e interpretandolo come una preghiera, o un semplice “arrivederci”.

Cosa ti ha motivato a reinterpretare Black Hole Sun dei Soundgarden?
Sicuramente il mio percorso musicale. Sono approdato al jazz dopo un lungo peregrinare tra la musica di vari stili, passando dalla classica al pop, dalla musica rinascimentale al rock, senza però essere mai soddisfatto appieno di quello che stessi facendo. Nel jazz ho trovato la risposta alle mie esigenze musicali, ho potuto cimentarmi con un genere che coniugasse allo stesso tempo la mia voglia di ritmo e di imprevedibilità con la logica e l’eleganza armonica che avevo trovato per esempio nei miei studi su Bach, e la cosa mi affascinava incredibilmente. Ma il primo amore non si scorda mai e l’infanzia vissuta a suon di hit pop e rock ascoltate alla radio insieme a mia madre, che dalla musica non si separava mai, ha inciso notevolmente sulla mia formazione, quindi diciamo che sono principalmente di matrice rock. L’adolescenza poi ha fatto il resto, permettendomi di conoscere, tramite le cover band in cui suonavo, moltissimi capolavori del rock, tra le quali appunto Black Hole Sun dei Soundgarden, che rimane una delle mie canzoni preferite, legata a uno dei periodi più felici della mia vita musicale.

La tua formazione è un trio. Cosa significa questo a livello timbrico, espressivo e di arrangiamento?
Il trio è in assoluto la mia formazione preferita, ha un’elasticità sorprendente e può permetterti di cambiare direzione musicale in qualsiasi momento. Ti concede cambiamenti espressivi dinamici e ti permette di poter apprezzare tutte le sfumature dei singoli strumenti del gruppo. Sarà poi per la matrice rock di cui ti parlavo prima che il trio abbia da sempre rappresentato per me l’esatta traslazione di quello che avevo in mente, e la voce e la chitarra sorretti dal basso e dalla batteria si siano trasformati nel pianoforte, nel contrabbasso e nella batteria capaci di riprodurre qualsiasi soluzione espressiva, portando a creare suoni corposi e incalzanti, ma allo stesso tempo raffinati e ariosi, con il lirismo sempre pronto a emergere e ad essere ogni volta solleticato e spinto un po’ più in là da repentine scariche adrenaliniche e da potenti riff. Quando scrivo per il trio l’arrangiamento viene fuori con estrema naturalezza e mi piace attingere dal mio bagaglio classico per cercare di creare un dialogo tra tutti e tre gli strumenti, portando avanti un discorso che devo sentire compiuto, altrimenti non mi sento soddisfatto appieno, e quando le cose si incastrano arriva quel momento lì, come se la parola che hai sulla punta della lingua finalmente venisse fuori, e la sensazione è davvero bellissima.

Piccola curiosità. Che differenza avverti quando suoni in Europa, rispetto a quando ti esibisci in Italia?
Nella mia personalissima esperienza ho notato come in ambito europeo sia diversa l’attenzione che si riserva ai musicisti e alla loro musica. Mi spiego meglio. In giro per l’Europa ho constatato quanto la musica sia considerata come un momento da gustare, con attenzione e rigoroso silenzio, e non importa se il concerto venga accompagnato da una cena o da qualsiasi altra “distrazione”. Il pubblico ti ascolta sempre, quasi a voler seguire il flusso delle tue idee durante l’improvvisazione o semplicemente per condividere con te quel momento musicale. Si rispetta molto ciò che c’è dietro il jazz, come l’estemporaneità creativa, e il filo logico del tuo discorso musicale non rischia di venire distratto da questo o quel rumore. Purtroppo in Italia non è sempre così. Talvolta il pubblico non riesce a dare la giusta importanza a ciò a cui sta assistendo, c’è forse ancora la distorta convinzione che alcuni generi musicali fungano “da sottofondo”, e il jazz viene considerato tra questi. Mi è capitato di suonare in situazioni simili ed è davvero molto difficile esibirsi, l’attenzione che viene riservata alla musica fuori dai nostri confini è veramente qualcosa da invidiare.

Uno sguardo al futuro. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Quali sono, invece, gli obiettivi che ti poni?
Prima di tutto vorrei continuare ad avere la voglia di suonare e di scrivere, e non è sempre una cosa scontata. Suonare è stato da sempre il mio gioco preferito, ma non è facile, le difficoltà tipiche di questa professione, a cui si sono aggiunte la pandemia prima e la sovraesposizione musicale poi, hanno rischiato e rischiano ancora di minare le proprie certezze, di confonderti professionalmente e di farti perdere quegli stimoli che sono alla base del nostro allenamento quotidiano e della voglia di migliorarsi di continuo. Fortunatamente la volontà di fare e le idee ancora ci sono e quindi i prossimi mesi sarò in studio con il mio nuovo quintetto per la registrazione di alcuni inediti; poi sto lavorando intensamente a un progetto con nuove sonorità che si discostano dalla mia recente produzione musicale, continuando verso la direzione stilistica tracciata dalla cover di Black Hole Sun presente in “When A New Day Comes”; vedi, anche qui il tema del viaggio e delle strade da percorrere ritorna, con qualche nuova idea o qualcos’altro che ti spinge ad andare sempre un po’ più in là.

INFO

www.facebook.com/giorgioferreramusic

 

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