
5 gennaio 2017
Mario Nappi è un pianista campano e negli ultimi anni si è affermato come uno dei più ispirati talenti del nostro Paese. Nappi ha da poco fatto uscire il cd “Triology Vol.2” e ne parliamo per saperne di più. 5 gennaio 2017
Di Luciano Vanni
Presentati ai nostri lettori. Raccontaci come e quando hai deciso di dedicare la tua vita alla musica; quali sono stati i tuoi primi ascolti e i tuoi primi riferimenti espressivi.
La musica ha da sempre fatto parte della mia infanzia, dei miei giochi, non ho ricordi da bambino senza una tastierina giocattolo con me. Ho iniziato quasi per gioco a sei anni ad imitare le canzoni dei cartoni animati riproducendo qualsiasi cosa ascoltassi, con il passare degli anni sono entrato in Conservatorio a Napoli e li ho apprezzato e capito l’importanza della letteratura classica per un musicista moderno. In concomitanza con gli studi classici sia di pianoforte che di composizione però, ho sempre suonato jazz, funk e musica soul, i miei primi miti: Stevie Wonder, Michael Jackson e Jamiroquai, a cui si aggiunsero: Bach, Chopin e Brahms. il passaggio è stato graduale fino ad arrivare al jazz, ricordo ancora il mio primo disco di Coltrane: Giant Steps, rimasi folgorato (in realtà era una musicassetta) che riproducevo ossessivamente cercando di decodificare quello che ascoltavo. Da quel momento in poi ho studiato, e ascoltato tanti dischi e tanti grandissimi del jazz, è come se mi fosse chiaro da subito che sarebbe stata la mia forma di espressione musicale preferita.
Arriviamo alla tua idea di musica. Cosa vuoi proporre al pubblico?
“Triology Vol.2” è il mio quarto disco in trio, formazione a cui sono particolarmente legato, in cui sono accompagnato da fantastici musicisti: Corrado Cirillo contrabbasso e Luca Mignano batteria; in questo lavoro è racchiusa la nostra visione di questa formazione blasonata nella letteratura jazzistica. Un modo di trascendere beat e armonia, attraverso un fraseggio fluido e deciso. La mia idea è un po la riproduzione sintetica della poetica di jackson Pollock. Dripping di note, schizzi di sonorità.
Cosa significa incidere un cd oggi? Ha ancora senso, e perché, oggi, realizzare una nuova produzione discografica?
Oggi produrre un disco potrebbe non avere senso se lo osserviamo sotto l’aspetto commerciale, nell’epoca di internet tutto è scaricabile o asportabile on line; ma come ogni esigenza artistica non tiene conto di regole di marketing, lo stesso vale per un disco. Per me un disco è un’istantanea, una foto che rappresenta noi tre in questo momento storico, che per forza di cose (e aggiungerei fortunatamente) è diverso da ieri e da domani. Una sorta di esigenza di liberarsi, tirare fuori cose che altrimenti sarebbero sepolte e celate per anni, immagino sia la stessa sensazione che prova uno scrittore, noi mettiamo nero su bianco le nostre sensazioni, le nostre idee, e per quanto mettersi a nudo non è mai facile io lo trovo estremamente terapeutico.
Come e quando nasce il tuo trio?
Il Mario Nappi trio nasce 5 anni fa, da un incontro fugace in jam session, da li in poi tutto in discesa, feeling e soprattutto una grande amicizia; ci accomunano ascolti simili e percorsi formativi in Conservatorio affini. Dopo molteplici concorsi vinti in tutta Italia e anche all’estero, varie tournée e dopo quattro dischi continuiamo a vederci il più spesso possibile per provare, ascoltare musica insieme o semplicemente parlare delle nuove correnti musicali. Credo sia questo il segreto di una vera formazione, non tre solisti, ma un unico essere vivente.
Cosa caratterizza e cosa intende aggiungere al piano trio il tuo progetto “Triology”?
Sarebbe ingiusto e presuntuoso dire che Triology ha velleità di aggiungere al piano trio (formazione molto famosa e gettonata nel jazz) qualcosa di nuovo, non saprei se c’è qualcosa di nuovo ma di sicuro c’è qualcosa di fresco.
Veniamo al vostro ultimo CD. Quando nasce l’idea di entrare in studio per dar vita al volume secondo ? Ci parli della selezione del repertorio?
La mia idea iniziale è quella di creare una trilogia, quindi dopo “Triology Vol.1” (che ci ha dato tante soddisfazioni, abbiamo venduto più di 1000 copie tra Europa e Giappone), abbiamo registrato il vol.2 e l’anno prossimo arriverà il terzo volume, cercando di essere coerenti con la nostra idea di suono del trio e del repertorio; nel disco sono presenti brani tratti dal repertorio jazzistico e brani tratti dal repertorio di musica pop (Beatles).
Quanto è importante, per te, trovare un equilibro tra scrittura e improvvisazione? Come si muove, a riguardo, il tuo gruppo?
Ho studiato anche composizione in Conservatorio e ho sempre pensato che il compositore è un jazzista a modo suo, solo che ha più tempo a disposizione e può lavorare e correggere sulle proprie idee, che sgorgano nello stesso modo, lo stesso flusso di coscienza direbbe Joyce. Io di solito mi siedo al piano al buio e improvviso, cerco di registrare queste session in modo poi da analizzare e rifinire i frammenti melodici che credo possano dare vita ad un brano, in seguito li sottopongo ai ragazzi e l’arrangiamento nasce insieme in seduta di prova, proprio come un vestito su misura cucito dal miglior sarto.
E poi c’è il suono del trio, oltreché del tuo strumento. Avevi dei modelli di riferimento?
Assolutamente sì, dopo il primo amore, il trio di Bill Evans, ho studiato e approfondito un altro grande innovatore, Ahmad Jamal, altro grande genio e grande orchestratore; adoro il trio di Keith Jarrett, il Brad Mehldau trio per la particolare geometria improvvisativa e l’elenco sarebbe troppo lungo per questa pagina.
Come cambia la vostra musica sul palco?
La musica è in continuo cambiamento perché noi siamo in continuo mutamento. Noi esecutori, noi compositori non saremo mai quelli di ieri e neanche quelli di domani, è questo il fascino di questa meravigliosa avventura.
E cosa ha aggiunto questo tuo ultimo cd alla tua carriera? Cosa è cambiato nel corso della tua vita artistica?
“Triology Vol.2” cosi come il vol.1 appena stampato è già in vendita in Giappone, paese sempre rispettoso dell’arte. Trasocorsi alcuni mesi laregistrazione questo disco continua ad insegnarmi che abbiamo tanto su cui lavorare, che la strada imboccata è quella giusta ma lunga e sono molto soddisfatto di essere instradato sulla retta via, anche se è dura lunga e difficile.
Ci puoi anticipare qualcosa del tuo futuro?
Ti racconto di questa meravigliosa esperienza che avrò a dicembre, partirò con altri miei cari amici, grandi musicisti, napoletani, per Los Angeles per registrare un disco con musicisti di altissimo livello: David Garfield e Greg Bissonnette. Spero di imparare molto da questa esperienza ed arricchire il mio background, in modo da accrescere e migliorare sia il lato compositivo che esecutivo e riportare la mia esperienza anche nel trio e magari in Triology vol.3.
E per finire, una domanda che facciamo a tutti i musicisti che intervistiamo. Ritieni sia importante che esista una rivista specializzata di settore. E se sì, cosa non dovrebbe trascurare di fare o di pubblicare? E nello specifico di Jazzit, cosa ne pensi della sua attività editoriale [edizione cartacea, digitale, online, social e tv], dell’evento Jazzit Fest e delle sue iniziative promosse, dai Jazzit Awards alla comunità degli abbonati-sostenitori con formula ricorrente che abbiamo raccolto nel Jazzit Club?
Assolutamente si, ritengo che su scala nazionale Jazzit svolga una funzione importantissima, informa ed erudisce un pubblico su vasta scala, dàla possibilità ai giovani musicisti di avere una importante vetrina, ai gestori dei club di aggiornarsi sulle nuove leve, ai neofiti e ai jazzofili di essere aggiornati su tour, dischi e festival sul tutto il territorio nazionale, per non parlare della bellezza del Jazzit festival, luogo di incontro e crescita da parte di tutti i partecipanti. Per questo motivo il Mario Nappi trio non ha mancato una edizione e non credo lo farà, appoggeremo la tua idea perché la riteniamo valida, e visto il successo non credo di essere il solo.