5 ottobre 2022
Intervistiamo il cantautore napoletano Joe Barbieri, che festeggia quest’anno i suoi trent’anni di carriera con un disco live – “Tratto da una notte vera” – che uscirà il 7 ottobre, e un tour – “30 anni suonati” – che avrà la sua anteprima giovedì 6 ottobre al Teatro Filodrammatici di Milano (all’interno del programma del prestigioso festival JAZZMI), per poi spostarsi venerdì 7 ottobre al Teatro Acacia di Napoli (all’interno della rassegna “VomeroSuona” del Napoli Jazz Club).
a cura di Andrea Parente
7 ottobre 1992 – 7 ottobre 2022, ovvero trent’anni di carriera. L’avresti mai immaginata così?
Sì, sin da subito. Ricordo benissimo che quando scrivevo le mie primissime canzoni, già avevo la sensazione che questa sarebbe stata la mia vita e che non ci fossero altre possibilità.
In trent’anni può succedere davvero di tutto. C’è qualcosa che rimpiangi?
Sarò sincero: non ho nessun rimpianto, né alcun rimorso. Questa festa dei trent’anni di carriera, che potrebbe essere intesa come un evento nostalgico, è, in realtà, una celebrazione di una serie di “oggi” che si sono susseguiti nel tempo, sommandosi giorno dopo giorno, anno dopo anno, e che sono stati vissuti sempre al momento. Al contrario, sono accadute tante cose che non mi sarei mai aspettato: ad esempio, l’aver suonato in posti leggendari, quali l’Olympia di Parigi o il Blue Note di Tokyo. Questo mestiere mi ha sorpreso e mi ha regalato tante occasioni, insieme a cose che abitavano solamente nei miei sogni più remoti.
Cos’è cambiato in te in questi anni?
La prima cosa che mi viene in mente è la consapevolezza di certi contorni e dinamiche presenti in me. Nel tempo ho affinato un linguaggio che si è sviluppato di pari passo con la formazione della persona, dell’uomo, del marito che sono oggi: è stato un cammino estremamente naturale che, però, nonostante le tante soddisfazioni ricevute, è stato caratterizzato anche dalla fortuna di non essere stato investito dall’enorme successo commerciale; e ciò mi ha mantenuto affamato, con le orecchie dritte e con un carico di desideri ancora da esaudire. Insomma, c’è ancora tanta benzina in me.
Vederti in televisione, ospite del programma di Stefano Bollani “Via dei Matti nº0”, mi ha fatto molto riflettere sul concetto di successo e sulle sfumature che lo caratterizzano.
Non esiste, infatti, una sola forma di successo. È importante comprendere questo aspetto. Ci sono delle tridimensionalità in questo percorso che, in qualche modo, non si riconoscono immediatamente quando si inizia; si fa infatti sempre l’errore di pensare che o si arriva a un certo “step”, oppure non si è arrivati da nessuna parte. In realtà, questo modo di pensare è sbagliato, dato che le stesse tridimensionalità del percorso si palesano poi passo dopo passo. Per esempio, io non sarei capace di sostenere nessun altro tipo di esposizione, dato che caratterialmente ho bisogno di massicce dosi di “normalità”. Per quanto riguarda la dimensione artistica, credo fermamente che ciascuno, nel tempo, ottenga quello che è giusto ottenere.
Cos’è cambiato, invece, in questi anni nell’ambiente circostante?
Praticamente tutto, ma c’è un aspetto in particolare da considerare: prima, tra un cambiamento e un altro passavano secoli o decenni; adesso, invece, c’è un’accelerazione da ogni punto di vista, e ciò genera un circolo vizioso per cui tutto ciò che ci circonda si velocizza in maniera impressionante. Personalmente, cerco di stabilire la mia velocità, accettandone anche le conseguenze. L’anno prossimo compio cinquant’anni e questa è un’età che ti consente di far pace con tutto questo. Per il resto, sia quel che sia.
La pandemia ha messo a dura prova gli aspetti lavorativi ed esistenziali dei protagonisti del settore dello spettacolo. Come hai affrontato e gestito questa situazione?
La pandemia mi ha, almeno inizialmente, dato una grande mano. Come tanti musicisti, ero avviluppato nei ritmi frenetici del mestiere, per cui il lato creativo, che per me è sempre stato predominante, veniva minato da tutti gli altri aspetti della musica (suonata, prodotta, portata in tour, etc…), non lasciandomi mai quel vuoto e quel silenzio necessari alla maturazione dell’atto creativo stesso. Quando è esplosa la pandemia, ho riabbracciato quel vuoto e quel silenzio con un doppio risultato: non solo mi sono messo a studiare, in particolar modo l’orchestrazione, che amo moltissimo, e questa è una cosa che non facevo da tanto tempo, ma ho ripreso anche a scrivere. Avevo già pronte un po’ di nuove canzoni, ma ne mancavano altre per mettere a fuoco l’idea di un nuovo disco. In quel lasso di tempo così le ho scritte, arrangiate e prodotte, ed è venuto fuori un album, uscito lo scorso anno – “Tratto da una storia vera” – che è fratello maggiore di quello che sta per uscire il 7 ottobre, registrato live a Bari, sempre lo scorso anno, e che si intitola “Tratto da una notte vera”.
C’è un aspetto su cui hai aperto gli occhi e che, magari, ignoravi?
Una cosa che ho constatato è che la pandemia ha amplificato le collaborazioni tra i musicisti. Infatti, il disco di cui ho parlato prima, “Tratto da una storia vera”, il quale ha avuto la definitiva maturazione proprio durante la pandemia, è un album che contiene al suo interno una cinquantina di musicisti: tutti avevano voglia di rimettersi in discussione e di creare un contatto musicale con i propri colleghi, e, quindi, la modalità forzata di dover lavorare a distanza ha generato una certa partecipazione. Il paradosso è stato proprio questo: essere riuscito a realizzare un disco così partecipe in un momento in cui non c’era la possibilità di vedersi e incontrarsi. È stata proprio questa dinamica della collaborazione a distanza che mi ha aperto gli occhi, facendomi capire che, nonostante il “contatto” rimanga sempre la condizione migliore per qualsiasi ambito lavorativo e di vita, esista anche un altro percorso possibile per noi musicisti. Insomma, la pandemia non solo ci ha chiarito che sia possibile pensare a una forma “ibrida” di collaborazione, ma anche che il risultato di tale alternativa funzioni benissimo.
Ora parlaci dei tuoi ultimi due lavori discografici: come dicevamo un disco già uscito e un altro che uscirà a breve.
Il disco che è uscito – “Tratto da una storia vera” – è strettamente collegato a questo mio momento di celebrazione dell’anniversario, e, già dal titolo, si capisce che questo è un periodo di consuntivi. Questo disco l’ho sempre raccontato come un album di “gratitudini”, nel quale ho cercato di dire «grazie» a tutta una serie di persone per me importantissime, a partire da Pino Daniele, ovvero l’artista che, proprio il 7 ottobre del 1992, ha lanciato la mia carriera artistica. Mi sembrava bello poi che, in qualche modo, questo disco diventasse non una “compilation”, ma un progetto dal vivo – “Tratto da una notte vera” – nel quale si potesse sentire la partecipazione della gente, proprio come se fosse una foto di gruppo in cui, dopo trent’anni, ci ritrovassimo tutti insieme per abbracciarci e poter dire un giorno «come eravamo».
Ho personalmente assistito a un tuo concerto al Teatro Salvo D’Acquisto di Napoli, e la cosa che mi ha davvero impressionato è il calore del pubblico napoletano, il quale ha dimostrato di provare un grande affetto per te. Ci racconti che emozione si prova a sentire tutto questo amore nei propri confronti?
Quella che puoi immaginare [ride, ndr]. Quando senti che il pubblico che hai di fronte ti accoglie ogni volta con tanto entusiasmo e tanto affetto, questa cosa non può che renderti felice. Quando ciò poi accade a casa tua, dopo tanti anni di gavetta sul territorio, e l’affetto dimostrato è così profondo, si prova un’emozione unica, impagabile. Come ti dicevo prima, ci sono tante forme di percorso artistico; nel mio caso, sento di avere un pubblico di affezionati, che in ogni occasione mi trasmette il suo sentimento nei confronti delle mie canzoni, e ciò genera una grande partecipazione e uno straordinario scambio emozionale reciproco. Di conseguenza, questa è un’emozione molto “vera”, e non è un caso che io abbia utilizzato questo termine in entrambi i titoli dei miei dischi.
La tua musica è riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo. Qual è l’elemento principale che ti ha spinto, e che ti spinge tuttora, alla composizione di nuovi brani, quali Retrospettiva Futura e Maravilhosa Avventura?
La necessità di raccontare qualcosa: quando c’è un’esigenza comunicativa ed espressiva, allora nascono le canzoni. Questo è sempre stato il mio credo, e lo è ancora oggi. Retrospettiva Futura per esempio ha un titolo emblematico, poiché risulta essere una retrospettiva protesa verso il domani. Questi due elementi sono, per me, imprescindibili: se questo album, questa canzone, questo compleanno fossero soltanto uno sguardo al passato, ci sarebbe da preoccuparsi; invece, in questa canzone, così come nel disco e nel tour, ci sono tutti i presupposti che fanno ben sperare per puntare al futuro. Maravilhosa Avventura, invece, è un brano dedicato al pubblico che mi segue, un elemento fondamentale per me. Il titolo si riferisce infatti al nome che si è dato il mio fan club più accanito, in onore di “Maison Maravilha”, un disco che ho pubblicato più di dieci anni fa. Questa Maravilhosa Avventura è, quindi, l’avventura che viviamo insieme da tanti anni e che mi auguro non finisca mai.
Quanto ti ha influenzato il Pino Daniele “jazz”, ovvero l’aspetto “contaminato” della sua musica?
La sua lezione sul “meticciato” è stata una delle cose più importanti che mi sono portato appresso dal momento in cui l’ho conosciuto. Di conseguenza, anche questa tendenza a collaborare con altri artisti e musicisti è figlia della sua lezione, che è stata chiara – e preziosa – sin da subito.
Tornando a te, quali obiettivi ti poni per i prossimi anni di carriera? Che aspettative hai per te stesso?
Il mio obiettivo è quello di continuare a scrivere la musica che amo. Nei confronti di me stesso, invece, l’obiettivo è quello di mantenermi integro da questo punto di vista, e mettermi nelle condizioni di farlo nella maniera più creativa possibile: studiare dove c’è da studiare, lavorare dove c’è da lavorare, etc… La cultura del lavoro, in questo mestiere così come in tutti gli altri, è una cosa che va messa tra le priorità; lo ritengo un aspetto imprescindibile. Finché avrò questo “sacro fuoco”, che non accenna a diminuire, andrò avanti con grande gioia.
Che consiglio daresti a un giovane cantautore che vuole ritagliarsi una certa visibilità in un settore così competitivo come quello della musica d’autore?
Il consiglio è quello di prepararsi mentalmente e di lavorare duro: questo mestiere è, senza dubbio, una gara di resistenza, e negli ultimi anni si è diffuso il malinteso che si possa arrivare al tanto citato successo con poche e abili mosse. Tranne qualche eccezione, la realtà invece è fatta di lavoro, di preparazione, di capacità di non abbattersi, di fare sacrifici, e di tanto altro ancora. Credo anche che questo mestiere, che non è per tutti, in qualche modo non ti lasci scampo, se è questa la tua strada: se è quello che devi fare, puoi deprimerti, inveire, arrabbiarti, oppure giurare di mollare tutto, ma essa non ti permetterà mai di abbandonarla. Chi ama questo lavoro, ovvero chi lo fa con una prospettiva di autentica dedizione, sicuramente non lo fa per vivere di fiammate; lo fa perché è nel suo destino, e, quindi, si organizza per un percorso che sia quanto più lungo possibile. Da qui, ciascuno fa le proprie scelte.
“30 anni suonati” è il titolo del tuo nuovo tour, che partirà giovedì 6 ottobre al Teatro Filodrammatici di Milano (all’interno del programma del prestigioso festival JAZZMI), per poi spostarsi, venerdì 7 ottobre, al Teatro Acacia di Napoli (con tanti begli ospiti). Hai qualche anticipazione da darci?
L’emozione è grande, ma – paradossalmente – sono molto sereno, perché adesso sto vivendo le fasi finali della preparazione del tour, ovvero il frutto di un lavoro studiato, preparato, in cui cerco di lasciare al caso la giusta quota di spazio. Per questo motivo, da una parte vivo una grandissima tensione fisiologica, dall’altra, invece, un’intensa concentrazione, e cerco di prepararmi a un “impatto controllato”, in quanto so bene che l’emozione sarà non solo fortissima, ma anche di difficile gestione, e non voglio nemmeno privarmi del fatto di sentirmi sorpreso. Metto giusto qualche paletto per fare in modo che tutto fili liscio, ma per il resto lasciamo aperta la porta del momento, dell’attimo. Per quanto riguarda la performance musicale, farò una piccola digressione suonando qualcosina delle primissime canzoni che ho pubblicato, scandagliando, anche, qualche angolo del mio repertorio che ho trascurato un po’ nel corso del tempo. A Napoli, in particolar modo, sarà un concerto “maratona”, con tantissimi ospiti e tanta musica.
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