21 dicembre 2019
Si intitola “Someday” l’ultimo disco dello Spiritual trio di Fabrizio Bosso: l’abbiamo intervistato
Si intitola “Someday” ed è stato pubblicato dalla Warner il terzo disco dello Spiritual trio di Fabrizio Bosso, composto dal trombettista insieme ad Alberto Marsico all’organo Hammond e Alessandro Minetto alla battteria: l’abbiamo intervistato.
Di Eugenio Mirti; reportage fotografico dal Blue Note Milano di Luca Vantusso del Team LKV
Lo Spiritual trio esiste da moltissimi anni e tanti ne sono passati anche tra il secondo e il terzo album: come mai questo “gap”?
Sì, sono passati un po’ di anni da “Purple”, ma è anche vero che non ci siamo mai fermati con i concerti. Infatti, oggi festeggiamo anche dieci anni di musica insieme. In “Someday” ci siamo spinti un po’ oltre con il repertorio, quindi ci siamo presi anche più di tempo per sceglierlo.
Ci spieghi il curioso titolo, “Someday”?
Il titolo prende spunto dal brano “Someday We All Be Free” di Donnie Hathaway ed Eddy Howard, che nell’album è presente in due versioni: una cantata da Mario Biondi e un’altra strumentale. Ma c’è anche un motivo di speranza che un giorno possa accadere qualcosa di bello, un desiderio di migliorare, sia come persone che come musicisti, magari accompagnati da buona musica.
È un trio tutto piemontese. Ti riporta col pensiero a inizio carriera?
Il richiamo c’è sicuramente. In particolare, con Alessandro (Minetto) facevo le primissime jam, quando avevo 17 o 18 anni. Oggi siamo tutti cresciuti e diventati musicisti professionisti, e ci fa sempre un certo effetto ricordare i nostri inizi.
Come avete scelto i brani da riarrangiare?
Abbiamo sempre mantenuto un legame con lo Spiritual e il Gospel ma questa volta più come approccio e interpretazione. Già in “Purple” c’era stata un’evoluzione verso altri repertori, fino ad arrivare a “Someday” dove abbiamo dato molta più importanza alle melodie di altri generi. Infatti, abbiamo inserito anche dei brani nostri, uno di Carla Bley e uno di Paul Simon.
L’ospite (in una traccia) è Mario Biondi: perché proprio lui?
Con Mario lavoriamo insieme da tanti anni e siamo rimasti sempre in buoni rapporti anche quando non abbiamo più lavorato in maniera continuativa. Non solo io, ma anche Alessandro e Alberto (Marsico), eravamo conviti che la sua voce si potesse sposare bene con la musica del trio. E così è stato, infatti, sin dalla primissima take del brano.
Il tono generale del disco è quello dell’allegria, della serenità: sei d’accordo?
Più che allegria credo ci sia una serenità di fondo in tutto il disco. Una sorta di mood che ritroviamo sul palco e che vorremmo trasmettere al pubblico.
Cos’è il jazz oggi per te?
Il jazz ti trasmette sicuramente una grande libertà e ti regala la possibilità di condividere la musica in maniera estemporanea, sia con chi ascolta che con chi suona insieme a te sul palco. È un linguaggio o, come diceva il grande Pino Daniele, un codice.
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