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Roma Jazz Festival 2019: l’intervista a Mario Ciampà

Roma Jazz Festival 2019: l’intervista a Mario Ciampà

1 novembre 2019

L’intervista al direttore del Roma Jazz Festival

Inizia proprio oggi l’edizione 2019 del Roma Jazz Festival: abbiamo intervistato Mario Ciampà, direttore della grande kermesse.

Di Eugenio Mirti

Partiamo dal titolo della rassegna:”No Borders”.
Con sottotitolo “Migration and Integration” ; abbiamo voluto affrontare un tema sociale, visto il sovranismo che avanza. Una presa di posizione, in questi momenti bisogna farlo.

Titolo enfatizzato dall’allestimento di Alfredo Pirri. Come è nata l’idea?
In una conversazione con lui mi raccontò il lavoro che stava facendo per un progetto europeo che comprendeva un’istallazione nel carcere di Turi (dove c’era la cella di Gramsci) che andrà poi a Tirana in un parco e diventerà un punto di incontro per giovani artisti albanesi. Collegando i quaderni di Gramsci e la mia idea di realizzare un muro nella  cavea all’Auditorium è nato lo spunto per costruire un muro trasparente composto di pannelli di plexiglass; un muro che però è attraversabile ed è inteso quindi come transizione e passaggio. Il bello è che il materiale verrà smontato e poi sarà riproposto a Turi e in parte anche a Tirana.

Il programma è – come sempre – ricchissimo: quali sono i concerti che ti ha dato più soddisfazione realizzare?
Innanzitutto il concerto unico intaliano di Abdullah Ibrahim; non è mai venuto prima, lo considero uno dei grandi del jazz, e poi è importante per il suo impegno civile contro l’apartheid. Riportare Archie Shepp che ormai considero un parente (l’ho chiamatoo 40 anni fa la prima di tante volte,  siamo invecchiati insieme) e anche lui per il suo impegno (Attica Blues, per citare un brano). E poi i concerti dei giovani, specialmente gli inglesi come Kokoroko o Gary Barts che incontra Maisha; o anche quello di Cory Vong, questi musicisti  sono la proiezione del futro del jazz, gente che è capace di rielaborare la tradizione con il feeling e groove attuale: è il settore in cui dobbiamo indagare di più per far seguire il jazz a un pubblico giovane.

Aumentano anche i “luoghi” del festival.
Sì, a parte il Monk e l’Alcazar  ci sarà un concerto nel tatro di Ostia e tre incontri nelle bibliotece comunali per parlare di immigrazione e integrazione, e del fatto che il jazz è stato un simbolo molto forte in questo senso.

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