
28 settembre 2020
Il nuovo appuntamento con “Inside the Score”
Nuovo appuntamento con la rubrica Inside The Score: abbiamo chiesto ad alcuni dei musicisti più emblematici della comunità jazzistica italiana di raccontarci una loro composizione. Buona lettura.
Di Roberto Pascucci; a cura di Eugenio Mirti
“Aerobrain” è un brano tratto da “Drink Jazz, Listen to milk!” (CatSound,2020) dei Milk, che sono Roberto Pascucci a composizione e arrangiamento, basso elettrico 6 corde fretless, effetti e tastiere aggiuntive; Gabriele Petetti a piano elettrico e tastiere e Ricky Turco alla batteria.
La parola “Aerobrain” è un neologismo assonante con “aeroplane” che intende significare la natura erratica e borderline dell’ Uomo contemporaneo, con la sua psiche instabile e schizoide, sempre in bilico tra ricerca costante del volo e altrettanto costante rischio di picchiata.
Ho cercato di rendere questa instabilità prima di tutto con il tempo: il dispari 5/4 (in realtà un “additivo” 3+2).
A livello timbrico, inoltre, ho fatto ricorso nelle Introduzioni (tre, stratificate) ad un ostinato di piano elettrico, che esegue pure il tema (Sez.A – minimale, sospeso e sottilmente inquietante sotto una patina armonica “rassicurante”). Anche la scelta dell’effetto tremolo sul basso fretless nelle mie intenzioni contribuisce timbricamente a quest’atmosfera.
Nella Sez. B s’innesta una variante metrica in 6/4; il ritorno al 5/4 conduce alla Sez. C, la cui momentanea modulazione interna è un’ulteriore simbolo di “volatilità” interiore : una volta tornati alla tonalità originaria, attraverso un climax (anche) armonico si arriva alla drammaticità dell’obbligato poliritmico (“6 su 5”) che termina la sezione.
La ripresa del ciclo delle tre sezioni coincide con i soli, terminati i quali – dopo un Tacet collettivo di 4/4 – si affronta il tema finale, che però si articola stavolta sulle sole sezioni A e B.
Il passaggio tra le due sezioni è qui caratterizzato da una “spruzzata disturbante” ottenuta attraverso una melodia di synth dal timbro fosco (minuto 3’58”) che, in un crescendo tensivo, porta dritti ad un Interludio (o “Pre-Coda”) alquanto ossessivo, fatto di synth, groove e solo di batteria.
Ossessività che se è possibile si fa parossistica nella Coda vera e propria: un impianto ritmico “Goa-style” su cui poggia un riff ripetitivo con piano e basso all’unisono, che diventa delirio poliritmico collettivo ad libitum in cui – ancora e di più – s’incrociano riff e groove e armonia diminuita, il tutto culminante con un loop continuo, straniante, robotico, sottolineato da un ostinato di tastiera dal suono volutamente quasi sgradevole
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