23 gennaio 2017
Nel 2015 ha aperto a Torino un nuovo studio di registrazione, il Riverside, particolarmente attivo nell’ambito jazzistico. Abbiamo intervistato i titolari, Gianpiero Ferrando e Alessandro Taricco.
Di Eugenio Mirti
Quando avete aperto lo studio?
Abbiamo aperto ufficialmente nel maggio 2015, e la prima registrazione è stata fatta con Elisabetta Prodon quando lo studio era completo al 50 per cento. Poi abbiamo proseguito i lavori e li abbiamo terminati intorno a Natale 2015.
Quali sono le specifiche?
Abbiamo due studi completamente indipendenti: uno studio principale con regia e tre sale di ripresa: una sala principale di 80 metri quadrati con due sale di ripresa in visiva sulla principale di 30 metri quadrati, ideali per prese dirette jazz con divisione dei suoni. Poi c’è uno studio più piccolo con una sua regia e una sala di ripresa, dedicato a speakeraggio e post produzioni. Le sale sono cablate anche in video.
Perché aprire uno studio in questo momento storico, che vede la filiera produttiva musicale in grande difficoltà?
Avevamo già uno studio in cui abbiamo lavorato molti anni; diciamo che questo è il coronamento di un sogno. Abbiamo fatto riflessioni profonde proprio perché non è un momento felice; c’é però, per motivi diversi, tanta volontà da parte degli artisti di documentare il proprio lavoro: chiudere un ciclo con una determinata opera, uscire con il primo disco, in generale documentare il proprio lavoro per poi usarlo magari a fini promozionali. Altri artisti a volte hanno contatti come etichette internazionali, ci viene in mente Massimo Faraò che lavora con l’etichetta giapponese Venus.
Abbiamo anche analizzato le ricerche di mercato della musica, che segnalano una inversione di tendenza del digitale: negli ultimi due anni i download hanno compensato la perdita di vendite del supporto fisico e si mantiene la nicchia del vinile, che segnala una scelta che si rivolge a un ascolto di qualità; la stessa filosofia di qualità che abbiamo seguito nell’allestimento: luce naturale, spazi confortevoli, e così via.
Quante ore di registrazione mensili servono per pagare i costi?
In realtà arrivati alla copertura dei costi, e con l’espansione che stiamo immaginando, non legata alla musica, ma più al mondo della pubblicità, con un portfolio di voci importante, probabilmente riusciremo a migliorare ancora. La nostra è comunque una struttura che non si vuole rivolgere solo a professionisti ma a tutti, anche a studenti e amatori.
Qual è il vostro sogno nel cassetto?
Crescere ancora in qualità tecnica, realizzare il suono che abbiamo in mente e lavorare con tanti artisti; nello studio vecchio avemmo la possibilità grazie a Massimo Faraò di lavorare con Jimmy Cobb e questo incontro lo pensiamo come un ideale punto di partenza.
Qual è il disco che vorreste avere registrato?
Nel jazz “Soul Station” di Hank Mobley e “Someday My Prince Will Come” di Miles Davis; nel rock “Nevermind” dei Nirvana, “Transformer” di Lou Reed e “The Bends” dei Radiohead.
Quali sono alcuni degli artisti con cui avete lavorato?
Luca Alemanno, Nicola Angelucci, Flavio Boltro, Rodney Bradley, Emanuele Cisi Fabio Giachino, Pasquale Innarella, Denise King, Riccardo Zegna, Aldo Zunino e molti altri.
Avete anche aperto una etichetta discografica.
Si chiama Riversound, è piccola, giovane e indipendente; abbiamo prodotto fino ad ora quattro album: “Poor Butterfly” di Denise King, “For Dancers Only” dei Bouncing Cats, “With Respect To Bill Evans” del Jimmy Cobb Italian Trio e sta per uscire “Time” del Duo Sole.