
Nome e cognome Piero Lombardo
Data e luogo di nascita Montecalvo Irpino (AV), 15 settembre 1959
Strumento chitarra
Web www.camerasoul.eu
Quali caratteristiche ha la tua attività professionale? Che cosa distingue il tuo lavoro da quello degli altri?
C’è una premessa importante che coinvolge tutta l’intervista: io non faccio il musicista per mestiere, ma per passione, avendo avuto la fortuna di ereditare con mio fratello Pippo il dono (talento?) della capacità di comporre musica nuova e brani inediti. Pippo lo fa per professione ed è artista a 360 gradi, però il jazz management forse è più vicino alla mia realtà, in quanto oltre della composizione di brani (mi ritengo un songwriter), mi sono sempre interessato della diffusione musicale e dell’approccio più pragmatico al marketing, in particolare nell’ultimo progetto “Camera Soul” che va come un treno. E qui la differenza penso di averla fatta, laddove mi sono industriato a finalizzare tutti i sistemi di rete e di social per un’azione strategica a livello di diffusione dell’ultimo album in particolare, “Dress Code”.
Com’è cambiato il tuo mestiere nel corso degli anni? Quali obiettivi sociali, culturali e artistici ti sei posto?
Nel tempo ci si è dovuti sempre di più adattare alle richieste di chi ama la musica, accettando qualche compromesso, senza mai però rinnegare il principio base di fare musica di qualità; peraltro noi abbiamo sempre privilegiato le espressioni “contaminate” e non ci siamo mai allineati alle correnti “puriste” che nascondono forme auto-celebrative. Nei vari incontri spesso online con direttori artistici di jazz festival mi è capitato veramente di tutto: non ti nascondo che alcuni hanno un approccio esageratamente elitario al jazz e quindi si rasentano propensioni razziste e quindi un effetto paradosso (il jazz è nato come un’espressione per combatterlo). Gli obiettivi che mi sono prefissato sono prevalentemente culturali. La musica è con noi fin da quando siamo embrioni… il ritmo del cuore della mamma è musica, da quel momento in poi si è molto attenti ai suoni che ci circondano. Cerchiamo, quindi, di renderli il più belli possibile, sfruttando tutte le nostre conoscenze ritmiche, melodiche e armoniche, e probabilmente sempre più gente vorrà ascoltarli o riprodurli. Se poi riesci a realizzarne di ancora più raffinati ed eleganti sarai ancora più seguito. Sulla qualità non si scherza, e io posso esprimerlo come testimone diretto, oggi.
Come gestisci la tua carriera? Hai un team che ti affianca o sei da solo?
Mi piace creare dei team con quanto di meglio si riesca a trovare in circolazione sul piano musicale. Oltre a vecchi amici di capacità e talento consolidati (come Beppe Sequestro e Antonio Tosques), io e mio fratello amiamo cercare nuove figure artistiche da affermare, legandole ai nostri progetti. È quello che è successo di recente con la nostra nuova singer Maria Enrica Lotesoriere e il nostro drummer Fabio Delle Foglie e la percussionista Liviana Ferri, tre innesti azzeccatissimi che stanno crescendo tantissimo singolarmente e con noi (beata gioventù). Da quel momento in poi si lavora in team, è ovvio, si cercano date e soluzioni tutti insieme, si litiga, si fa pace, e in fondo ci si vuole molto bene… tutto questo non è lontano dal principio familiare, ancora più che di team, anche se il lavoro “sporco” lo fanno fare a me (ma perché si fidano), ah ah.
Quali problemi hai riscontrato nel corso della tua carriera? Che cosa ti piace di più del tuo mestiere, e cosa di meno?
Problemi? Direi un’infinità. In Italia fino a qualche anno fa emergere era impossibile, le lobby delle major e delle radio (pubbliche e private) affogavano tutto ciò che di decoroso veniva prodotto, dovendo accontentare il pubblico più numeroso, quello che segue i talk show, quello che fa della musica non un bene di lusso ma di consumo, e quindi regole ben consolidate e ranghi compatti: major, artista (artista?), passaggio radiofonico da Music Control e consumi garantiti o quasi (riuscivano ad andare comunque in perdita). Per fortuna (come sta succedendo in politica) l’arrivo della rete ha sconvolto e rovesciato il sistema. Il mercato dei sessanta milioni di utenti nazionali si è esteso ai sette miliardi di persone che popolano il mondo e ci si è potuti organizzare, almeno sulle piattaforme dei music store puliti (ai pirati purtroppo non c’è rimedio). Per concludere la risposta, ti dico che la sensazione che qualcuno possa trovare delle emozioni ascoltando la musica creata da te stesso è il più prezioso dei regali che possa avere un musicista e se poi scali le classifiche e quindi le persone cominciano a diventare tante, allora capisci che cosa significa davvero emozionarsi ed euforizzarsi.
Come ti poni davanti al mercato internazionale? Lo consideri un’opportunità rilevante? Come ti stai muovendo? Hai già avuto esperienze positive? Quanto incide, nella tua economia, il mercato internazionale?
Siamo un fenomeno ancora troppo piccolo per parlare di incidenza economica. Oggi sono pochi quelli che possono dire di arricchirsi con la musica, e ancor meno vale per quelli che fanno musica di settore; però siamo fiduciosi, perché Camera Soul è un progetto in forte espansione, e il taglio internazionale della nostra musica può aiutarci, molto.
Parallelamente alla tua attività artistica ne affianchi anche altre (promoter, direttore artistico, booking agency, didatta, autore di libri-metodi)?
Solo il primo, in quanto amo promuovere tutto quello che amo fare. Poi gestisco centinaia di contatti con gente che ama quello che fa, in genere lego fortemente con queste persone, perché mi riconosco in loro e loro in me.
Dedichi tempo, professionalmente, ai social? E se sì, quanto tempo e su quali social (Facebook, Twitter, Instagram)? Quanto pensi siano rilevanti ai fini della tua notorietà e della tua professione? Hai una pagina personale/privata e una artistica/pubblica? Come gestisci la tua comunicazione all’esterno? Fai attenzione a non parlare di politica, calcio, vita privata oppure ti senti libero di scegliere linguaggi e argomenti?
Ogni secondo che mi avanza in una giornata. Sono loro il nuovo mezzo di diffusione di massa e se gestiti correttamente e con un prodotto forte possono portare a soddisfazioni inesplorate. Ho tutti i tipi di pagine possibili e sono sui social più forti, che restano Facebook e Twitter. Poi account personali e artistici, più il sito ufficiale della band. Il linguaggio è assolutamente libero e guai se non fosse così… A cinquantasei anni se non hai maturato una buona dose di speak-up, allora veramente che cosa hai vissuto a fare!
Che strategia adotti per promuovere la tua attività? Cerchi di instaurare rapporti diretti con giornalisti, promoter, discografici, manager?
Ecco, vista l’impostazione dell’intervista – che non è accentrata su caratteristiche di tipo artistico – questa mi sembra la domanda centrale. Il rapporto diretto, se concesso, diventa l’unico che possa produrre risultati. I contatti virtuali, a mezzo posta privata o ancora peggio a mezzo posta di un website generico, sono destinati a fallire. Con qualsiasi persona rintracciabile, con un ruolo specifico in questo settore e che non se la tira più del lecito e in ogni angolo del mondo, ho cercato di instaurare rapporti personali, perché solo così potevo arrivare a un ascolto condiviso dei Camera Soul. Solo dopo mi è stata sempre riconosciuta la tenacia come mio assoluto punto di forza. Vale per tutte le categorie che elencavi tu e ci aggiungerei i musicisti e i direttori artistici. Non hai idea dello sterminato campo di gente appassionata che mi si è aperto davanti, gente che gode fisicamente di questa passione, esattamente come me, e a fiuto poi ci si riconosce; poi magari ci rimetti del tuo in termini di tempo, soldi e anche affetti, ma poco importa, hai sacrificato tutto per il tuo personale Golem e quindi per una porzione di felicità.
Che cosa ne pensi della promozione artistica applicata ai video? Investi risorse nella realizzazione di teaser, videoclip e riprese live? Hai un tuo canale YouTube?
Sì, ho anche un canale YouTube. Ritengo che come biglietto da visita un buon website sia ancora la forma migliore di presentarsi, e quindi va aggiornato e abbellito sempre. I video e videoclip possono aiutare, ma solo se professionalmente all’altezza, e li possiamo (e stiamo) cercando di migliorare. Comunque la forma interattiva creata dai social network rappresenta per me a oggi un’opportunità devastante per chi ha un prodotto high quality, soprattutto per la diffusione globale.
In che stato economico versa il jazz italiano dal tuo punto di vista? Che cosa funziona, e che cosa non funziona?
Vale il discorso fatto finora: se non si cerca di andare incontro ai gusti del pubblico, perdendosi troppo nella sperimentazione o, ancora peggio, riproponendo forme artistiche ormai vissute e stra vissute, si rischia di perdere anche l’ultimo treno che è quello delle esibizioni live. Quindi contaminate gente, contaminate… e la gente non potrà che apprezzare.
Che cosa ne pensi di ciò che sta accadendo nella discografia? Ha ancora senso parlare di cd?
La discografia classica come il cd è ormai morta, il vinile non decolla e fa solo vintage, la vendita online per editori e artisti fra un po’ comincerà ad agonizzare grazie alla diffusione di piattaforme come Spotify e similari, dove ci guadagna solo il gestore. Ragazzi, se fate musica jazz o comunque di nicchia non fate sogni, sarà tanto, tranne pochi eletti, se riuscirete a sopravvivere. Se ci si chiude nelle proprie idee e non ci si apre alle richieste dell’utenza anche il settore dei live ne risentirà e sta già accadendo. Come conseguenza della crisi chiudono locali storici del jazz e si sospendono rassegne esistenti da decenni. Anche se un po’ di ottimismo non guasta e in realtà di questa situazione potrebbero beneficiare coloro i quali hanno puntato tutto sulla qualità artistica (a noi sta accadendo).
Hai dei modelli specifici che riconosci di qualità, non tanto sul fronte artistico ma sul fronte del music business?
Ritengo che il modello che ho creato personalmente sia l’unico che possa prescindere da grosse disponibilità di denaro e di investimenti. Personalmente avrò fatto circa 150.000 tweet, e ho avuto una forma quasi maniacale di perseguimento dell’obiettivo su Facebook e altre forme di interazione di rete. Tutto a costo vicino allo zero. Ho conosciuto persone splendide. Marco Rossi, il nostro produttore e tutto lo staff di Azzurra Music, un’altra famiglia vicina. Per non parlare di gente come Kathryn Ballard Shut, la nostra partner americana, collaboratrice, coautrice e ufficio stampa. Oppure Jessica Biggs, John Peters, Tom Glide, Bridgette Lewis, Phinesse Demps, Fabio Negri, Marco Edelvais e mille altre meravigliose creature che per ora sono solo un’icona e un account ma che un giorno spero di conoscere tutte personalmente. Vale una regola che può sembrare scontata: bisogna crederci. Poi magari arriva anche qualche soldino, ma tu stai già pensando a creare cose nuove, e neanche te ne accorgi.
Ritieni che un musicista abbia anche un ruolo sociale, oltreché artistico? E se sì, in quale direzione?
Sì, forse sì, ma non si possono addossare responsabilità sociali a dei musicisti. È nei simulacri della politica che si sviluppano le responsabilità sociali; i musicisti possono tuttalpiù creare tendenze, proporre stili di vita o promuovere novità artistiche.
Come ti poni davanti ai finanziamenti pubblici dirottati ai festival? Pensi siano utili? Pensi che siano un doping ai danni dei contribuenti oppure di fondamentale importanza sociale e culturale? Che cosa significa secondo te “investimento pubblico in cultura”?
Quella del finanziamento pubblico alle manifestazioni a carattere jazzistico resta una risorsa culturale importante, magari sono da snellire tutta una serie di imbarazzanti passaggi burocratici e sviluppare un maggior coinvolgimento dei privati per creare opportunità di business per tutto l’indotto: non dimentichiamo che una manifestazione ben organizzata porta utili a tutti, non solo agli artisti che vi partecipano.
Se tu avessi un ruolo politico rilevante, quali interventi adotteresti per migliorare la cultura e il music business specificatamente relativo alla musica jazz?
In parte ho già risposto in precedenza. Cercherei di coinvolgere il più possibile strutture pubbliche e private nella divulgazione di questo genere, magari finanziando in maniera ottimale anche i piccoli jazz club, che fanno tendenza e creano consensi. Da anni ormai sono invece abbandonati alle loro sole risorse.
Se tu avessi un ruolo manageriale rilevante (promoter, discografico, editore) in questo ambiente, come ti comporteresti?
Beh, visti i risultati esattamente come mi sono comportato fino a oggi.
Come ti vedi, professionalmente parlando, tra dieci anni?
Mi piace chiudere con il mio sogno personale. Sembro un pragmatico, in realtà ho l’indole di un sognatore. Penso che qualche divinità minore, nel passato, sia passata sulla Terra e abbia suonato la melodia perfetta, quella che chiunque l’ascolti resta rapito e sognante. Bene, mi auguro fra dieci anni di averla ascoltata o meglio ancora composta e di aver vinto quindi la battaglia più difficile, quella che coinvolge milioni di musicisti.