Durante la recente edizione del Padova Jazz Festival abbiamo incontrato Mauro Ottolini, che per l’occasione ha proposto dal vivo il progetto “Penta Blues” dedicato alla musica di William Christopher Handy e alle sonorità del jazz tradizionale degli anni Venti. Insieme al trombonista, in questa nuova avventura musicale, ci sono Roy Paci (tromba), Vanessa Tagliabue Yorke (voce), Roberto De Nittis (pianoforte), Riccardo Di Vinci (contrabbasso) e Paolo Mappa (batteria).
di Roberto Paviglianiti
Come è nata la collaborazione con Roy Paci e il progetto “Penta Blues”?
Con Roy ci conosciamo da tempo e ci siamo sempre stimati, sia come musicisti sia come persone. Ci siamo incontrati grazie alla collaborazione comune con Vinicio Capossela. In seguito è nata tra noi un’amicizia ed entrambi abbiamo la passione per il jazz delle origini, degli anni Venti. Questo tipo di jazz è quello che maggiormente ci attrae. Amiamo la musica a trecentosessanta gradi, e poi abbiamo delle preferenze specifiche. Roy sa suonare benissimo questo tipo di jazz. È uno “avanti” con il pensiero, come del resto gli altri componenti del gruppo Penta Blues. Molti jazzisti snobbano questa musica, ma la verità è che non la sanno suonare. Non l’hanno mai ascoltata, quindi la evitano.
La tua passione per il jazz delle origini quanto è imputabile a Franco D’Andrea e ai suoi insegnamenti?
Sì, Franco D’Andrea è in parte responsabile. Questa musica piace anche a tutti quei musicisti che fanno free. Anche uno come Sun Ra arrivava dalla musica jazz tradizionale, e questo è indicativo. In passato ho suonato con Han Bennink, il quale interpreta in maniera fantastica il jazz tradizionale. Mi sono accorto in quell’occasione che i musicisti d’avanguardia amano quel tipo di jazz, quel tipo di sonorità. Ho chiesto a lui il motivo, e mi ha risposto perché sia nel free sia nel jazz tradizionale c’è l’idea di “collettivo musicale”, un fattore che accomuna i musicisti coinvolti. I generi sono diversi, ma c’è questo aspetto che li rende simili. Questa idea di collettivo negli anni Cinquanta e Sessanta si è poi persa, mentre negli anni Venti c’è stata una grande avanguardia, sia espressiva sia formale. C’è stata innovazione. Oggi viviamo ancora ammirando i tesori del passato. Il jazz di oggi è fatto di esperimenti, di tentativi, di innesti tra cose diverse, ma ancora devo sentire uno della caratura di Fletcher Henderson, giusto per fare un esempio.
Non siete in molti a proporre questo tipo di jazz.
Io, malgrado i molti consigli di evitarla per motivi di convenienza, amo e propongo questo tipo di sonorità. In molti, dopo aver ascoltato i miei dischi, si stanno ricredendo, perché non faccio revival, ma interpreto la musica di quegli anni per come sono io e i musicisti che mi stanno affianco. Suoniamo senza imitare, facciamo quello che ci viene naturale fare per come sappiamo suonare noi.
Stai pensando di incidere un disco con questo gruppo?
Si potrebbe pensare a un disco, sarebbe bello, ma per ora non è in programma. Certo, è un repertorio già suonato da molti. La gente apprezza i concerti e per ora pensiamo a divertirci sul palco.
Si tratta di jazz che aveva nel contatto tra musicisti e pubblico una sua specifica caratteristica.
Negli anni si è perso il contatto con il pubblico. Il jazz era musica da ballo, e quando ha perso questa connotazione è un po’ decaduto. Le orchestre erano da ballo, quando si è smesso di ballare si è perso gran parte del senso. Sarebbe bello avere un contatto maggiore con il pubblico. Il jazz nasce nelle strade, non nei teatri. Però anche in teatro, oggi, assume una sua valenza. Il pubblico è cambiato.
Il pubblico di oggi da cosa è attratto?
Il pubblico di oggi non ama niente. La gente ama la televisione, i reality show e cose simili. Ogni giorno mi sveglio sperando di essere negli anni Venti, mentre sono nel 2016 e questo po’ mi dispiace. Sono nato nell’era sbagliata, me ne redo conto perché in Italia tutti seguono le mode del momento, nessuno, o quasi, si fa una propria idea, segue un proprio gusto. In tal senso c’è una sorta di incapacità. Non farò mai successo, ma di questo non me ne importa niente. C’è tanta gente che mi apprezza e questo mi basta per andare avanti.
Il jazz in cosa dovrebbe essere diverso dal resto del panorama musicale?
Il jazz dovrebbe essere sinonimo di apertura, mentre oggi mi sembra di ascoltare una musica molto chiusa su se stessa. Ci sono delle eccezioni, per fortuna, come tanti giovani o anche musicisti d’esperienza che hanno ancora voglia di mettersi in gioco. Dal canto mio cerco di proporre nuove cose anche attraverso l’apertura del teatro della Società senza Pensieri, a Peschiera del Garda, ma non è affatto semplice.