10 novembre 2019
Tutto è iniziato con un disco di Keith Jarrett: l’amore per la musica jazz e la voglia di organizzare un festival che portasse a Padova alcuni tra i più grandi esponenti del mondo del jazz nazionale e internazionale. Nasce così la storia del Padova Jazz Festival: ce la racconta la sua direttrice artistica Gabriella Piccolo.
Come nasce la tua passione per la musica jazz?
Nel 1978 mi hanno regalato un disco di Keith Jarrett, che mi ha fatto scoprire questa fantastica musica, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza.
Ci racconti la storia del Padova Jazz Festival?
Prima di organizzare il festival avevo collaborato con due soci all’apertura di un locale jazz, “La fornace” a Mestrino (vicino Padova), dove passavano grandissimi musicisti per cinque sere alla settimana, a partire da Betty Carter. Poi i soci hanno voluto trasformarlo di sabato in discoteca perché il locale solo con il jazz non riusciva a sostenersi, e allora io sono letteralmente “scappata” nel 1998, anno in cui poi ho inaugurato la prima edizione del festival.
Aneddoti e ricordi particolari?
Sarebbero tanti e per semplicità ne cito solo uno con Ornette Coleman, che si è preoccupato di andarmi a prendere personalmente una sedia per sedermi accanto a lui per la cena. Nell’arco di tanti anni ho sempre cercato di trattare i musicisti al meglio e ho sempre ricevuto in cambio tanti complimenti e ringraziamenti. Molti artisti si ricordano ancora di essere stati a Padova al festival e alla fornace.
Com’è cambiato nel corso degli anni il tuo ruolo di direttrice artistica?
All’inizio ho scelto per tre anni come direttore artistico Juliano Peruzy, che gestiva un programma radio e conosceva molti musicisti grazie alla collaborazione con un’altra associazione che organizza eventi da molti anni; poi c’è stato per otto anni Claudio Fasoli, a cui sono molto riconoscente per le scelte di carattere internazionale che ha fatto. Ho anche frequentato molti festival in Italia e all’estero, dove ho conosciuto innumerevoli artisti e i loro manager. Ho poi continuato da sola per motivi economici, ma da Claudio ho imparato molto e lo stimo tantissimo come persona e come musicista ovviamente.
E ora parliamo dell’edizione 2019.
In autunno, a differenza di molti anni fa, ora vengono organizzati diversi festival e quindi “girano” più artisti interessanti, così da poter operare maggiori scelte fra le tante proposte. Io non ho mai scelto i musicisti solo per avere la certezza dei teatri pieni, ma ho sempre selezionato le proposte che potessero interessare di più al pubblico che seguiva la mia manifestazione. Costruire il programma è come realizzare un puzzle: ho trovato il primo tassello, Steve Gadd, per una data (il 23 novembre), che coincideva con la concessione del Teatro Verdi da parte del Comune di Padova; poi mi è stato proposto Kenny Barron, che volevo da tempo, e da li è nata l’idea di continuare con la scelta di pianisti. Raphael Gualazzi mi ha offerto un concerto esclusivo e molto originale per Padova con Mauro Ottolini il 2 novembre, e poi ho trovato la fantastica cornice della Sala dei Giganti grazie alla preziosa collaborazione con il Centro d’Arte dell’Università di Padova, che opera in ambito jazz da circa settant’anni. Benny Green verrà apposta solo per il festival e Vijay Iyer mi ha molto incuriosito come uno dei pianisti che stanno definendo i contorni del piano jazz contemporaneo.
Come cerchi di coinvolgere la città e la comunità locale con il festival?
Da tre anni ho allungato il periodo del festival per non sovrapporre i concerti negli stessi giorni, cercando anche luoghi diversi oltre al teatro principale, proprio per portare questa straordinaria musica anche in luoghi meno convenzionali. Inoltre ci sono diversi locali (bar e ristoranti) che hanno accettato di organizzare una serata dedicata al festival con cena e musica jazz ed è nato il format “[email protected]” Poi si terranno presentazioni di libri e due mostre fotografiche (Alessandra Freguja al Caffè Pedrocchi e Roberto Cifarelli presso le scuderie di Palazzo Moroni, in Municipio) in straordinarie cornici. Inoltre ho affidato al Centro d’Arte tre lunedì dedicati ai giovani, con musica più audace e moderna, e un lunedì con un film su Milford Graves. Infine un’artista padovana, Anna Piratti, esporrà le sue installazioni artistiche a tema musicale, senza usare gli strumenti, al MUSME, che è un modernissimo e interattivo museo della medicina. Amando la fotografia, ho sempre scelto un fotografo ufficiale per il festival e possiedo quindi una cospicua raccolta di ricordi fotografici, e da qualche anno poi alcuni soci del Fotoclub Padova vengono a documentare i vari eventi. Tutte le foto vengono poi inserite nel nostro sito www.padovajazz.com.
Un tuo sogno per il futuro?
I sogni vengono spesso considerati irrealizzabili, anche se poi a volte accadono dei miracoli. Al festival sono già riuscita a portare grandi nomi, su tutti Pat Metheny che seguo da anni, ma, avendo iniziato a conoscere il jazz grazie a un disco di Keith Jarrett, vorrei tanto poter organizzare un suo concerto, pur sapendo che è al di fuori della mia portata economica attuale. Se però la città di Padova riuscisse a realizzare l’altro sogno di costruire finalmente un nuovo teatro, potrebbe essere inaugurato proprio da un suo meraviglioso concerto, ma probabilmente, quando accadrà, entrambi saremo troppo avanti con l’età, però intanto è bello sognare. Durante l’attesa cerco di portare il messaggio che la cultura è indispensabile nella vita di ogni persona, e spero che esso arrivi più forte che mai a chi potrebbe sostenere il festival, dandomi la possibilità di crescere con le proposte artistiche, in modo da farle conoscere e apprezzare da quante più persone possibili.
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