Ultime News
Outspoken</br>Intervista a Simona Premazzi

Outspoken
Intervista a Simona Premazzi

18 agosto 2017

Simona Premazzi ha da poco pubblicato il suo nuovo album, “Outspoken”: l’abbiamo intervistata per l’occasione.

Di Eugenio Mirti

Come sei finita negli Stati Uniti?
Mi sono avvicinata alla musica da bambina all’età di circa otto anni, ho fatto gli studi classici e poi mi sono avvicinata al jazz grazie alla scuola civica di Enrico Intra e Franco Cerri. Nel 2004 mi sono trasferita a New York e da allora vivo qui. Avevo già iniziato una carriera professionale in Italia ma l’ho poi sviluppata qui.

Il 14 luglio è uscito il tuo nuovo disco “Outspoken”, prodotto da Jeremy Pelt. Come mai hai scelto lui come produttore?
Ho suonato nei suoi quintetti e quartetti per un paio di anni, artisticamente è una persona di cui mi fido; è una coproduzione, mi ha aiutato negli arrangiamenti ed era in regia quando abbiamo registrato. Ha una conoscenza della musica enciclopedica; non mi sono mai fatta produrre da nessuno in precedenza, ma ho scoperto che avere la presenza di un orecchio esterno è stata molto utile.

img

Come hai scelto la tua band?
Dayna Stephens suona nei miei progetti da sempre, è una collaborazione rodata, e abbiamo anche registrato un suo brano per il disco. Con Joe Martin suoniamo spesso insieme; Nasheet Waits è uno dei miei batteristi preferiti per la creatività, e desideravo da tempo suonare con lui, pensavo che avrebbe interpretato bene la mia musica; Sara Serpa è ospite in un brano solo, canta un testo che ho tratto da una poesia che ho musicato di Harold Pinter intitolata “It Is here”.

Perché hai scelto di registrare Lush Life?
Perché no! Si tratta di un brano cult della tradizione jazz e mi è piaciuto esplorarlo a modo mio.

Cos’è il jazz?
Un genere musicale che proviene dalla storia socio-culturale americana e ha conosciuto diverse forme; per me è una forma espressiva, mi dà entusiasmo ed è la mia più grande passione.

 

Come lavori su arrangiamenti e composizioni?
La maggior parte delle volte uso il pianoforte, anche se a volte scrivo  senza strumento. Uso tecniche diverse e approcci diversi: parto da un’idea melodica, poi armonizzo; altre volte parto da un’idea ritmica, scrivo un ritmo e lo trasformo in  una linea di basso per esempio. Oppure scrivo degli accordi e poi sviluppo la melodia; altre volte scrivo una melodia frammentata, poi tolgo note, cancello, magari cambio il metro.

Tre aggettivi per definire “Outspoken”?
Vibrante, denso, divertente.

Se avessi la bacchetta magica quale desiderio esprimeresti?
Vorrei avere la ferocia compositiva di J. S. Bach, la totale libertà musicale di Wayne Shorter, una inesauribile creatività e produttività, vorrei poter creare nuove piattaforme per il jazz, nuovi palchi, rieducare la gente ad ascoltare la musica jazz, desidererei annullare la discriminazione nella sua totalità.

img