
«Buöreb lä jođe, go oro (Meglio è andare che stare)»
Proverbio lappone
Ho conosciuto Luigi Bozzolan nel 2012 quando si trasferì per qualche tempo a Torino, prima di spostarsi definitivamente in Lapponia per insegnare pianoforte jazz all’interno del Circolo Polare Artico. Era di passaggio in Italia ed è passato a salutarmi, per raccontarmi della sua esperienza didattica in Svezia e lasciarmi il suo nuovo disco, “Dola”.
Come sei arrivato da Roma alla Lapponia?
Brevemente: nasco a Roma, studio a Roma, all’età di 25 anni decido di rimanere per sempre a Roma! Avevo iniziato a suonare il pianoforte a dodici anni (improvvisando, aprivo lo strumento e iniziavo a suonare senza sapere cosa!), ma per molto tempo ho suonato anche chitarra, basso e batteria. Per una questione familiare (“se vuoi suonare il pianoforte devi studiare la musica classica!”) ho studiato fino all’VIII anno del conservatorio, ma decisi poi di passare al triennio jazz a Frosinone, dove mi laureai. Nel 2009 andai in tournée con Eugenio Colombo in Sudamerica per un mese e mezzo, un tour in cui partimmo con una scaletta di brani in repertorio ma già dal secondo concerto decidemmo di realizzare un concerto completamente improvvisato, così tornato a Roma vissi una crisi musicale micidiale; era il momento di cambiare, avevo finito gli impegni di conservatorio, ero fresco di entusiasmo e con la mia compagna anch’essa pianista (oggi mia moglie) cercammo delle accademie dove proseguire gli studi in maniera meno “inquadrata”. Decidemmo di provare la Svezia, completammo i due anni di studio e tornati in Italia io vinsi un erasmus semestrale in una sede estera a scelta dello studente, così tornai a Göteborg per altri sei mesi, solidificando e tessendo ulteriori contatti.
Finita questa parentesi venni in Piemonte perché Alessandra è abilitata alla cattedra di pianoforte e dovevamo scegliere delle città su cui puntare e nell’estate del 2012 optammo Torino. Continuai comunque a mandare curriculum in giro perché rimaneva la voglia di stare in Europa e dopo sei mesi di attesa mi chiamarono per andare a lavorare nel Circolo Polare Artico, appunto; stante la situazione difficile in Italia accettai questo contratto di sei mesi. Ora sono ancora lì e Alessandra mi ha raggiunto, stiamo insegnando strumento e le cose vanno bene, viviamo in quel pezzettino di mondo che tanto ci affascinava.
Cosa ci racconti del “suono del nord”?
Qui sembra tanto esotico, ma loro suonano in realtà quello che hanno fuori dalla porta! Vivendo lassù in un certo senso ho smitizzato alcuni concetti. Il musicista nel nord Europa è un mestiere come tanti altri, ben pagato, ma non esclude che un bravo chitarrista o pianista possa fare un altro mestiere, c’è meno ossessione e questo è un bene. A Roma la dicotomia si sviluppa tra l’evento da milioni di euro o quello che si realizza in cantina mentre invece al nord ci sono molte occasioni diverse, si esaspera molto meno, ci sono meno pressioni e aspettative e a volte trovi una qualità altissima; inoltre a Roma dovevo districarmi tra una giungla di parole, concetti e contatti e ne soffrivo un po’. Per esempio in Svezia l’ultimo concerto che ho realizzato è stato in cima a una montagna, il palco era una tenda sami enorme, il pubblico era sdraiato per terra e c’era una amplificazione meravigliosa… ho insomma trovato un mio habitat.
Hai appena pubblicato un disco, “Dola Suite” (SETOLA DI MAIALE, 2016).
Ho realizzato questa registrazione insieme a due musicisti meravigliosi: Tiorbjörn Ömalm (chitarrista elettrico) e Markus Larsson (percussionista). Da tempo suonavamo insieme ed è capitato che Achille Succi fosse di passaggio in Estonia; essendo la scuola in cui lavoro molto ricettiva rispetto a qualsiasi musicista che venga da fuori che sia disponibile a fare concerti o masterclass, la registrazione è nata semplicemente così! Io e altri due colleghi siamo responsabili dello studio di registrazione della scuola e quindi non è stato difficile organizzare la session.
Il disco riporta tutto quello che è stato suonato dal primo secondo fino alla fine; non ci siamo detti nulla, Achille non aveva mai neanche visto gli altri due musicisti, abbiamo schiacciato il tasto rec, abbiamo suonato e ne è uscito un lavoro che ci è piaciuto subito. Il termine Dola è lagato al territorio: in svedese indica una carica esplosiva inesplosa e vista l’energia di questo trio l’abbiamo proprio chiamato così. Ringrazio Leana Cagnotto per la grafica; Leana è una fotografa torinese che fa parte del collettivo del Super Buddha, oasi felice che si trova in Torino.
Che progetti hai per il futuro?
Non fare progetti! Scherzo, a settembre tornerò a insegnare e penso che ci fermeremo al nord per qualche anno. Quando parti non torni mai a casa realmente: cambia il concetto stesso di casa, cambia il rapporto con le distanze e si apre il problema dell’identità: essere flessibile per poter sempre imparare, continuare a recepire dall’esterno e dare.
Quali ascolti svedesi ci consigli?
La scena di Stoccolma è ricchissima di nomi più o meno noti; a nord della Svezia ascoltiamo molto la “parete” norvegese, per cui potrei citare, saltando indifferentemente tra i due paesi: Bugge Wesseltoft, Jan Johansson, Per Henrik Wallin, Esbjorn Svensson con l’EST trio, Jon Balke, Stien Westerhus, Sidsel Endresen … Per quanto riguarda i festival non sono mai dedicati a un solo genere, sono composti di folk, rock, jazz, musica improvvisata, musica scritta: l’enfasi viene posta sul come si fa, non su che cosa. L’importante è proporre qualcosa che esprima una identità personale.