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L’essenzialità di un “dialogo espressivo”. Intervista a Giovanni Falzone
Photo Credit To Hanane Fellah

L’essenzialità di un “dialogo espressivo”. Intervista a Giovanni Falzone

3 giugno 2022

Intervistiamo il trombettista, compositore e didatta Giovanni Falzone, che ci parla del suo ultimo album “Dialogo Espressivo”, pubblicato da Parco della Musica Records, un disco intimo, pensato attorno alla melodia, che rappresenta il frutto di un intenso “dialogo musicale” con il pianista friulano Glauco Venier.

a cura di Andrea Parente

Ciao Giovanni. Ormai sono passati due anni dall’inizio della pandemia: come l’hai vissuta?
Il momento l’ho affrontato un po’ come tutti, cercando di essere ottimista e propositivo nella prima fase della pandemia, quando ancora non sapevamo bene come sarebbe andata. All’inizio ho cercato di mantenermi attivo sui social, pubblicando video sia musicali che personali, i quali hanno avuto una bellissima risposta da parte della gente che era – necessariamente – chiusa in casa. Poi, con il passare del tempo, la situazione è diventata sempre più preoccupante, dato che si è capito che la pandemia non sarebbe stata circoscritta solo a qualche mese, quindi tutti ci siamo dovuti adattare in qualche modo: personalmente mi sono attivato scrivendo e pensando a nuova musica. Inoltre, insegnando al Conservatorio e a Siena Jazz, sono riuscito a lavorare anche nei periodi caratterizzati da forti restrizioni, sia online – grazie alla DAD – sia in presenza, in quanto Siena Jazz si è attrezzata molto bene per garantire i corsi in presenza. La “valvola di sfogo” dell’insegnamento mi ha così permesso di continuare ad avere ottimi stimoli, essendo docente non solo di strumento, ma anche di musica d’insieme. Questi due anni sono stati anche intervallati da due stagioni estive dove si è lavorato a ritmo pieno, ed è così che ho fatto passare il tempo. Infine, la mia grande passione per la pittura mi ha aiutato molto, tra lo studio della musica, la composizione e il giocare con i colori. Bisogna tenersi vivi!

Photo Credit To Valentina Gioia

“Dialogo Espressivo” (Parco della Musica Records, 2021) è il tuo ultimo album. Cosa ti ha spinto a realizzare questo disco?
Avevo già da un po’ di tempo il desiderio di realizzare un nuovo disco in duo, in una chiave intimistica. “Dialogo Espressivo” è un disco che è stato pensato attorno alla melodia, e ho iniziato a scriverlo prima della pandemia. Il primo brano – intitolato Il poeta del silenzio – che mi ha dato lo stimolo per scriverne altri, l’ho composto il 20 agosto del 2019, in occasione dell’ottantesimo compleanno di Enrico Rava, un musicista che stimo tanto e della cui amicizia posso fregiarmi. Un brano incentrato sull’aspetto della melodia e del lirismo, che ha aperto la strada alla composizione degli altri brani del disco. I successivi pezzi, quindi, li ho scritti con la consapevolezza che facessero parte di questo album, caratterizzato dalla centralità della melodia e del suono acustico. Tali aspetti sono raggiungibili grazie all’essenzialità di una formazione in duo. Ecco perché la mia scelta è ricaduta sul pianista Glauco Venier.

Che significato ha il titolo?
Il titolo dell’album ha preso forma quando ho incontrato Glauco per la prima prova dei nuovi brani: ho cercato di raccontare cosa volesse dire per me l’insieme delle composizioni che avevo elaborato, ed è venuto subito fuori il concetto di dialogo… da qui, in modo più che naturale, di “dialogo espressivo”.

Come hai sviluppato il percorso narrativo del disco?
Ho cercato di sviluppare tutto il percorso narrativo privilegiando gli aspetti più importanti: la melodia, lo spazio tra i suoni, l’ascolto e il cuore, cercando di non delimitare né precludere nessun tipo di forma espressiva alla creatività, e in questo Glauco, che come me ha respirato anche tanta musica proveniente da altri ambiti, come quello classico e contemporaneo per esempio, è stato un ottimo compagno di viaggio.

Cosa ti ha motivato nello sceglierlo come compagno di avventura in questo disco?
Ho pensato a Glauco perché ho notato che nei vari concerti che facevamo la musica prendeva una direzione “magica”. Di conseguenza, è stato spontaneo pensare a una collaborazione con un pianista come lui, dotato di una particolare sensibilità, per registrare una rosa di brani adatti per la formazione in duo.

Photo Credit To Glauco Comoretto

La formazione del disco è appunto un puro e semplice duo. Cosa ha significato questo a livello timbrico, espressivo e di arrangiamento?
I brani sono stati pensati, scritti e composti proprio per la sonorità del duo, anche se naturalmente sono perfettamente adattabili a formazioni più classiche, come può essere il quartetto. Affinché un brano possa funzionare per la formazione del duo deve avere dei requisiti, per me, fondamentali: essenzialità e completezza al contempo. Avendo messo al centro del progetto la melodia e il suono acustico, ho cercato di affidare lo sviluppo alla complementarietà mia e di Glauco, in sintonia e complicità nell’elaborare gli aspetti armonici e ritmici delle composizioni attraverso l’interazione creativa estemporanea. Così facendo, ci siamo subito ritagliati ciascuno il proprio spazio. Glauco ha una grandissima predisposizione all’accompagnamento e ha perfettamente capito cosa avrei voluto tirare fuori da questo lavoro discografico. Quello che mi interessava più di tutto era l’alternanza tra melodia, semplicità e complessità.

Photo Credit To Hanane Fellah e Glauco Comoretto

Come sono andate le registrazioni?
Ci tengo a sottolineare che il disco lo abbiamo registrato, praticamente, in mezza giornata: dopo aver ascoltato come era uscito il primo brano, abbiamo deciso di “tirare dritto”, senza alcuna doppia traccia, sfruttando l’energia e la magia di quel giorno. Da quella registrazione sono uscite tutte tracce uniche, nessuna traccia doppia, non abbiamo dovuto neanche scegliere. Devo dire che è stata una giornata molto fortunata! Dato che avevamo previsto due giorni di registrazioni, il giorno dopo lo abbiamo utilizzato per i mixaggi, cercando di chiudere il lavoro. Le persone che si avvicineranno a questo disco sentiranno nient’altro che la spontaneità della nostra musica. C’è da dire che registrare realizzando meno tracce possibili è un aspetto che è sempre stato presente nella mia filosofia di vita, perché credo che la musica creativa debba rappresentare quello che noi siamo, senza cercare ostinatamente un qualcosa che è lontano da quello che poi siamo realmente quando saliamo su un palco.

Il disco è composto da undici brani originali. Da cosa ti lasci ispirare quando componi?
Mi lascio ispirare da diverse cose. Per esempio, in queste undici composizioni ci sono tre omaggi ad altrettanti grandi trombettisti, due scomparsi – Kenny Wheeler e Tomasz Stańko – e poi a Enrico Rava. La danza delle foglie rosse mi ricordo di averla scritta durante la giornata contro la violenza sulle donne; Il viaggio di Piero, invece, l’ho composta dopo aver sognato una persona a me molto cara, scomparsa prematuramente: mi sono svegliato con il desiderio di omaggiare quello che ci legava attraverso una composizione che sarebbe durata per sempre. Laila invece è un brano dedicato alle mie radici siciliane. Insomma, essendo un musicista che ha suonato anche tanta musica classica, mi lascio influenzare da tutto il mio background, sia musicale che personale: a me quello che interessa quando compongo è avere una buona idea, cercando di svilupparla con coerenza. L’attesa sospesa è un titolo che fa sorridere: ho scritto il brano prima della pandemia, rivelandosi poi davvero premonitore e anticipando la “sospensione” che tutti abbiamo dovuto subire nei mesi del lockdown. Rio De La Plata l’ho scritto sul treno: la particolarità di questo brano è che l’ho composto senza l’ausilio di uno strumento armonico per provare gli accordi, immaginandomi l’armonia, la melodia e il ritmo, e la cosa che mi ha molto gratificato è stato il fatto che una volta arrivato a casa non ho dovuto modificare nessuna nota della melodia, né gli accordi. Cammino sempre con un quaderno pentagrammato: scrivo ciò che mi passa per la testa, per poi dare forma alle idee una volta tornato a casa. Mi capita di scrivere ovunque: quando cominci a prendere confidenza con la composizione, può capitare di scrivere partendo da qualsiasi tipo di suggestione.

La tua espressività musicale cambia da un ensemble all’altro? Che tipo di formazione prediligi?
Non sono io a cambiare, ma cerco di adeguare la mia sensibilità al contesto musicale che ho attorno: credo che questo faccia parte dell’intelligenza musicale che un artista dovrebbe avere. Ovviamente, è naturale che il mio suono rimanga quello, ma cerco di focalizzarmi molto su chi mi sta intorno prima di iniziare a suonare, indipendentemente dal contesto: mi relaziono con quello che c’è nell’aria, attingo dal mio background di esperienze musicali e, infine, cerco di entrare in maniera più coerente possibile nel discorso musicale in atto. Non è un caso, infatti, che spazi da progetti più sperimentali a progetti più vicini alla musica contemporanea o alla musica jazz-rock.

E cosa hanno in comune tutti questi eterogenei progetti?
Se ti discosti un attimo dalla sonorità generale del gruppo e ti concentri sull’espressività del mio suono, del mio linguaggio, alla fine troverai una sorta di punto comune, così come è successo per Miles Davis che, nonostante l’eterogeneità dei progetti, non ha mai cambiato la sua sonorità. Ed è per questo che Miles è sempre stato un modello per me: perché precludersi delle possibilità, quando attraverso la propria sensibilità e conoscenza, si può entrare in diversi ambiti musicali, senza fossilizzarsi in un unico ambito o genere? Questo non vuol dire che un musicista debba saper far tutto: all’interno di questo ragionamento ci deve essere l’intelligenza di saper riconoscere fino a che punto ci si possa spingere; lì poi subentra una sorta di coerenza artistica che ti deve guidare. Da questo punto di vista, sono molto parsimonioso riguardo le mie partecipazioni: tendo a fare più cose, però sempre con musicisti ai quali riconosco la qualità nel relazionarsi con la musica attorno, piuttosto che con il singolo stile.

Photo Credit To Valentina Gioia

Hai già suonato questo disco dal vivo? Come ha reagito il pubblico?
Abbiamo già avuto modo di fare qualche concerto, con una risposta del pubblico molto positiva. Ci siamo relazionati in maniera autentica, e il pubblico ha colto la nostra intenzione. C’è da dire che viviamo in un periodo in cui non abbiamo potuto tenere un numero di concerti adeguato a quello che avremmo voluto, ma tutte le volte in cui abbiamo suonato è stato bello. Inoltre, abbiamo assistito a un “crescendo” del progetto, a partire dalla fortunata – e magica – registrazione, fino alla diversità che ha contraddistinto ogni performance. Ed è questo uno degli aspetti più belli della musica: salire su un palco con la consapevolezza di non imprigionare i pezzi dentro di sé, ma di suonarli con una certa libertà espressiva. Il duo è una formazione bellissima: se si ha feeling, possono succedere davvero tante cose; così è stato con Glauco, e non potevamo che esserne felici.

Chiudiamo con il futuro. Che progetti hai per i prossimi mesi?
Di progetti ne ho tanti. La verità è che amo muovermi in diversi progetti, anche contemporaneamente, così da darmi sempre più stimoli. Come nuovo progetto, ho in cantiere “Scover”, con il mio gruppo “Mosche Elettriche”, più l’aggiunta di una sezione di fiati, con cui sto lavorando attorno ad alcune canzoni della musica italiana, di una certa tipologia: sono canzoni legate a ricordi giovanili, canzoni di protesta, di denuncia, ovvero quelle che si avvicinano a cantautori come Giorgio Gaber o Adriano Celentano. Insomma, amo passare da un progetto a un altro, senza perdere il desiderio di essere me stesso in tutto quello che faccio.

INFO

www.facebook.com/Giovanni-Falzone

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