Il più recente album registrato da leader da Filippo Cosentino si intitola “L’Astronauta” ed esce per la Emme Produzione. Ne abbiamo parlato con il chitarrista piemontese.
di Luciano Vanni
Partiamo dall’etichetta discografica con cui hai registrato questo tuo nuovo cd da leader: come e quando è iniziata la vostra collaborazione?
Ho contattato la Emme Produzioni circa tre anni fa per proporre la produzione del disco “Human Being” con la partecipazione di Michael Rosen: da lì è iniziato il rapporto con Enrico Moccia, Francesco Lupi e il team del Tube Recording Studio. In entrambe le sessioni di registrazione – “Human Being” e “L’astronauta” – si è rivelata un’ottima scelta logistica, oltre che un buon ambiente nel quale creare e incidere la mia musica (il disco “Human Being” è interamente scritto e arrangiato da me, mentre i brani de “L’astronauta” sono tutti autografi a eccezione di Momento che è stato scritto a “otto mani” insieme a Zambrini, Marcelli e Bodilsen). Sono contento del risultato finale, ovvero di come “suonano” i dischi, e sono soddisfatto di averli incisi investendo totalmente e/o condividendo le energie necessarie e seguendo insieme ogni passo dalla realizzazione alla promozione.
Come e perché hai scelto questo organico? Quali sono le caratteristiche espressive che ti garantisce questo ensemble?
L’ipotesi di incidere insieme è nata con Andrea Marcelli, musicista che ho incontrato un paio di anni fa artisticamente e dal quale sto imparando molto, come è inevitabile che succeda quando si ha la fortuna e la possibilità di condividere un percorso con musicisti con così tanta esperienza e collaborazioni. Da subito abbiamo pensato a realizzare un disco focalizzato sui miei colori, ovvero su caratteristiche già presenti nei dischi precedenti ma facendole evolvere il più possibile e quindi scrivendo qualcosa di più maturo, di ancora più personale, infine aprendo una nuova via. Ho sempre pensato che guardarmi dentro, cercare in me stesso l’ispirazione sia la chiave, e così ho sin dal primo disco scritto quello che più mi rappresentava senza inseguire mode o stili diffusi maggiormente. In Andrea ho trovato una persona e un musicista che ha condiviso questa idea; al tempo stesso, discutendone con lui, ho riflettuto su come migliorare questo approccio. Nell’estate e parte dell’autunno 2014 ho trascorso tutti i giorni a scrivere e rifinire i brani (otto dei nove) che compongono il disco. A questo punto era chiaro sarebbe stato ottimo avere la possibilità di lavorare con musicisti fantasiosi, aperti a ogni strada la musica potesse prendere, e così abbiamo trovato in Antonio Zambrini e Jesper Bodilsen il completamento ideale del progetto. Vorrei spendere alcune parole per ringraziare Antonio, Andrea e Jesper per la condivisione di questi momenti, in prova e in studio: mi hanno consigliato, dato suggerimenti, e oltre a essere grandi musicisti sono persone speciali.
Andiamo dritti nel cuore della session discografica: che musica racconta questo tuo cd?
La maturità a cui facevo prima riferimento è coincisa con la nascita di mia figlia Prisca. Un evento bellissimo, che ha cambiato le nostre vite portando con sé una nuova carica di energia. Era il miglior momento per me per guardarmi dentro, ancora più in profondità rispetto a quanto avevo fatto nei lavori precedenti. Racconto che cosa è stato per me vivere la gravidanza, la maternità della mia compagna e moglie Adriana, ho tentato di descrivere i sogni che ho fatto pensando a nostra figlia prima piccolissima nel grembo materno (in Inside The Blue, Nessie, More Than Times) e poi, una volta cresciuta e quasi pronta alla vita “al di fuori”, immaginata come una piccola astronauta (L’astronauta della title-track) che fa le piroette all’interno della pancia della mamma. Ho voluto anche fissare un momento legato al 2014 – un anno importantissimo per le scoperte astronomiche e per la presenza della prima donna italiana nello spazio, Samantha Cristoforetti – così, affascinato dall’idea che l’uomo avesse costruito una tecnologia in grado di atterrare sull’asteroide Rosetta, ho scritto il brano 17:03 (Land Behind The End. Ho pensato anche alla terra natale della bambina, che è poi anche la mia e quella di mia moglie: le Langhe-Roero, e così nasce il brano Villero. O ancora, ho composto meditando sulla ciclicità della vita e sul tempo che ci separava dal conoscerci di persona (Seven Days). Il disco si apre con Mediterranean Clouds, una lettera a mia figlia nella quale le descrivo la gioia di vivere e il mio amore per la nostra cultura che sta tutto nei colori, riletti in chiave personale, del Mediterraneo.
Scrittura, arrangiamento e libertà espressiva: che tipo di equilibrio ha il tuo cd?
In maniera differente dai dischi precedenti, nei quali oltre alla scrittura e all’arrangiamento avevo pensato a scrivere le linee di basso e batteria, quindi partiture più dettagliate per ogni strumento, ne “L’astronauta” ho concentrato le energie nella scrittura dei temi, delle strutture e delle armonie; il tutto, pensato e scritto per lasciare spazio a ogni musicista di interpretare la partitura secondo la propria sensibilità. Ho avuto la grande possibilità di lavorare con tre musicisti fantastici, fantasiosi e aperti a ogni possibilità musicale (sia che si scegliesse di suonare più mainstream, sia in una via più free e/o aperta), e dovevo essere pronto per fare questo passo sia a livello compositivo sia come chitarrista.
Che cosa ti piace di più di questo cd?
Ascoltare il disco con mia figlia seduta sulle gambe, pensando a quando le racconterò che “L’astronauta” è lei.
Che cosa aggiunge e che cosa distingue questa tua produzione da quelle precedenti?
Artisticamente è una produzione molto importante per me, per il calibro dei musicisti coinvolti, per la complessità delle composizioni che ho scritto (eccetto Momento, brano free jazz scritto da tutti e quattro i musicisti): mai prima avevo utilizzato con così tanta frequenza determinati colori, armonie e complessità di ideazione delle linee melodiche. Penso a Nessie, nel quale la melodia alterna un metro di 7/4 a 3/4 e poi 5/4 ma volevo assolutamente che fosse un flusso continuo e che non si percepisse la differenza di metro. Credo che questo disco sia arrivato al momento giusto per me e in quello in cui mi sono in maniera più ampia sentito appoggiato artisticamente (soprattutto da Andrea Marcelli che ringrazierò per sempre per questo). Un elemento fondamentale di questo processo di maturazione è legato al fatto che suono sin dal primo disco la chitarra acustica – tradizionale o baritona come in “Human Being” e nel disco che sarà pubblicato prossimamente su produzione M.i.l.k. – per la quale nel jazz, tranne alcuni dischi importantissimi, non esiste letteratura sufficiente a crearsi un bagaglio pari a quello elettrico; per certi aspetti questo mi ha agevolato perché ho potuto trovare uno strumento che mi consentisse di esprimere me stesso. Inoltre questo disco è arrivato successivamente a “Lanes” e “Human Being”, che rimangono per me dischi importanti e che mi hanno consentito di poter presentare la mia idea di musica; arrivare a incidere “L’astronauta”, che oltre a distinguersi per metodologia adottata nell’ideazione del progetto con tutto quello che ne consegue, si caratterizza maggiormente nella presenza di particolarità compositive, ideazione di linee melodiche e di armonie che solo in parte avevo utilizzato – forse in maniera embrionale – nei dischi precedenti. Inoltre è per me un lavoro assai importante questo perché mi ha consentito di prendere maggiore coscienza e quindi di essere certo che la strada che ho scelto per esprimere la mia musica è quella che mi soddisfa e corrisponde di più.
Descrivici il tuo cd in tre parole.
Vitale, colorato, onirico: il disco racconta i sogni di un papà ed è la fotografia di un momento di intimità, di attesa e di meraviglia.