3 aprile 2022
Intervistiamo il trombettista, compositore e didatta Cosimo Boni, che ci racconta il progetto “Xenia”, un collettivo di musicisti che ha formato insieme ad altri quattro talenti del jazz italiano, Daniele Germani al sassofono contralto, Alessandro Lanzoni al pianoforte, Francesco Ponticelli al contrabbasso e Roberto Giaquinto alla batteria, i quali hanno realizzato un interessante lavoro discografico omonimo, pubblicato dall’etichetta pugliese GleAM Records.
a cura di Andrea Parente
Ciao Cosimo, raccontaci in breve la tua storia. Come ti sei avvicinato al jazz?
Mi sono avvicinato al jazz grazie ai miei genitori, che sono appassionati di musica. Entrambi prendevano lezioni quando ero bambino, mio padre suonava il sassofono e mia madre cantava. La scintilla definitiva poi scoccò con l’ascolto di alcuni dischi di Miles Davis che possedevamo in casa. Il suono della sua tromba mi colpì subito per la sua purezza. Ancora oggi quei dischi sono fra i miei punti di riferimento più chiari per un certo modo di fare musica.
Quanto ha influito l’esperienza americana nel tuo percorso di crescita, anche rispetto, magari, a colleghi cresciuti musicalmente in Italia?
Per me l’esperienza di vita e musicale negli Stati Uniti è stata importantissima. Ho avuto la possibilità di conoscere e suonare con persone provenienti da tutto il mondo e di entrare a contatto con insegnanti e musicisti che hanno vissuto in prima persona l’evoluzione di questa musica. Sicuramente negli Stati Uniti si avverte molto di più l’importanza della storia del jazz, senza però che questo blocchi la sperimentazione e l’avanguardia. Vivere in città come Boston e New York, dove la quantità e la qualità dei musicisti sono altissime, è una fonte costante d’ispirazione. Non so come la mia esperienza possa essere differente da quella di musicisti cresciuti in Italia, anche perché generalizzare è sempre difficile, però credo che anche in Italia ci sia grande fermento a livello musicale e tanti musicisti che conosco hanno avuto modo di vivere esperienze all’estero durante gli studi, anche grazie a programmi come l’Erasmus. Nonostante la pandemia, vedo un mondo della musica sempre più globale, in modo positivo ovviamente, e spero che nascano sempre più collaborazioni fra musicisti di culture e nazioni diverse.
“Xenia” è il nome del nuovo collettivo formato da te, Roberto Giaquinto, Daniele Germani, Alessandro Lanzoni e Francesco Ponticelli. Ci racconti com’è nato questo progetto? Perché proprio questo ensemble?
Questo progetto è nato spontaneamente. Noi cinque ci conosciamo tutti da diversi anni, ma non avevamo mai suonato in questa formazione, così abbiamo deciso di ritrovarci per qualche giorno al Cicaleto Recording Studio di Francesco Ponticelli e di suonare alcuni brani originali. L’alchimia è stata talmente immediata e facile che abbiamo deciso di registrare tutto e di realizzarne un disco. La formazione si rifà ovviamente a tanti quintetti che hanno fatto la storia della musica, a cui noi cinque ci ispiriamo molto. Il secondo grande quintetto di Miles Davis, i vari quintetti Blue Note di Wayne Shorter, etc. Abbiamo comunque cercato di dare una nostra interpretazione a questo tipo di formazione, che offre molte possibilità a livello di arrangiamento e di libertà espressiva. Il quintetto in qualche modo è anche una delle formazioni più ristrette, in cui però ci sono tutti gli elementi di un’orchestra. Chess Game e Unlike Anything Else Ahead di Ponticelli e Germani sono ad esempio due brani in cui questa vena orchestrale è molto evidente.
“Xenya”, inoltre, è anche il titolo del vostro album d’esordio, pubblicato dalla GleAM Records nel 2021. Come siete riusciti a trovare un equilibrio tra così tante dimensioni espressive?
Credo che Francesco, Daniele, Alessandro e Roberto siano musicisti e persone di grande sensibilità. Trovare l’equilibrio quindi non è stato difficile. In studio si avvertiva una totale disponibilità nel rendere al meglio ogni brano. La musica con loro viene prima di ogni interesse personale. È stato veramente bello vedere come ognuno di noi fosse totalmente aperto a consigli e a sperimentare su un proprio brano. Nessuno di noi era geloso delle proprie composizioni e quindi il processo creativo è stato un flusso collettivo naturale e stimolante per tutti.
Come avete sviluppato il percorso narrativo del disco? Perché “Xenya”?
In questo lavoro abbiamo comunemente deciso di andare a ritroso rispetto a come si sviluppa solitamente un disco. In pratica abbiamo prima registrato tutti i brani che avevamo, cercando di mantenere il flusso creativo e la freschezza della performance, e poi in seguito, attraverso vari ascolti, abbiamo creato la narrazione totale del progetto. La cosa interessante è stata notare come ci fosse un chiaro filo conduttore in tutti i brani, nonostante provenissero da cinque penne diverse. Xenya è un bellissimo pezzo di Alessandro Lanzoni che abbiamo registrato. Il significato di questo nome nell’antica Grecia si riferiva ai concetti di ospitalità e di accoglienza, e noi ci siamo tutti subito riconosciuti in questo pensiero. In un momento storico in cui accogliere fisicamente e idealmente l’altro sembra impaurire molte persone, crediamo che la musica possa aiutare a ricordarci come, grazie alla condivisione e all’accoglienza, possiamo tutti crescere.
Con la presenza di cinque co-leader nel progetto, come vi siete suddivisi il lavoro?
Durante la registrazione la suddivisione del lavoro è stata molto equa, nel senso che abbiamo tutti contribuito con composizioni originali e siamo stati tutti partecipi all’arrangiamento dei vari brani. Una menzione speciale va fatta inoltre per Francesco Ponticelli che, oltre ad aver composto due brani e ad aver suonato il contrabbasso, ha registrato tutto. Ci ha inoltre accolto nel suo Cicaleto Recording Studio ad Arezzo, che è stato il laboratorio perfetto per i giorni di registrazione.
Che difficoltà avete riscontrato durante la lavorazione e la registrazione del disco?
Come al solito la parte più difficile quando si pubblica un lavoro discografico è tutto quello che viene dopo la registrazione in sè. Per fortuna questa volta la collaborazione con Angelo Mastronardi e la sua Gleam Records ha reso tutto più facile. Il suo impegno e la sua professionalità, nonostante la sua etichetta sia relativamente giovane, hanno rappresentato per noi uno stimolo e uno straordinario esempio.
Secondo te, qual è l’ingrediente segreto per tenere unito un progetto così impegnativo?
L’ingrediente segreto non può che essere la musica. Sembra banale, ma l’amore per la musica e il fatto di realizzarla insieme è quello che ci tiene uniti. Inoltre tutti e cinque crediamo nel potere della musica come un agente di cambiamento. Questo ci dà un’ulteriore spinta per far sì che essa sia non solo un fine, ma anche un mezzo per comunicare la nostra visione delle cose.
Torniamo a te. La pandemia ha drammaticamente fermato il settore artistico. Come hai reagito a tale situazione? Che sfide affronti tuttora?
Specialmente all’inizio del periodo pandemico, gran parte del lavoro d’insegnamento e di registrazione l’ho svolto da remoto. Adesso tutto sta pian piano ripartendo, ma c’è ancora tanta incertezza. La sfida principale è quella che tanti musicisti hanno affrontato negli ultimi anni, da quando lo streaming e le nuove tecnologie hanno cambiato profondamente il settore musicale; la pandemia ha solo amplificato un problema già esistente da anni. Creare nuove forme di guadagno e di esposizione attraverso la propria musica che non si basino solo sui concerti, purtroppo l’industria discografica adesso non è assolutamente vantaggiosa per i musicisti, ecco credo che questa sia una sfida che dovremmo affrontare tutti insieme e non solo come singoli musicisti.
Che progetti avete per il futuro?
Speriamo di presentare il progetto dal vivo. Inoltre, essendo questo un collettivo che si fonda sull’accoglienza, confidiamo di continuare la nostra esperienza accogliendo ospiti musicali e le loro composizioni per sperimentare nuove commistioni.
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