L’ultimo album di Lorenzo Feliciati si intitola “Koi” ed esce per la Rare Noise Records. Al suo fianco Alessandro Gwiss, Steve Jansen, Pat Mastelotto, Angelo Olivieri, Nicola Alesini, Stan Adams, Pierluigi Bastioli e Duilio Ingrosso. Ne abbiamo parlato col bassista e chitarrista.
di Luciano Vanni
Partiamo dal titolo. Perché “Koi”?
Ho deciso ancor prima di cominciare a comporre la musica dell’album di lavorare intorno al viaggio che la carpa Koi fa per arrivare alla sorgente del fiume dove si trasformerà in drago. “Koi” è una parola semplice, efficace e corta ma di grande spessore e significato e mi è sembrata giusta come titolo dell’album, che di fatto è, appunto, un concept album.
Ciò che distingue questo lavoro è il forte impatto sonoro, le dinamiche, l’impasto timbrico. Se tu dovessi raccontarlo, come lo spiegheresti?
Spesso cerco di capire, analizzandola, la mia musica per risalire a cosa mi sono ispirato per determinati passaggi o melodie. E non riesco mai ad arrivare a fare dei nomi che siano effettivamente stati un ispirazione “diretta” e facilmente riconducibile al momento nel quale ho composto o anche solo registrato quella musica. A volte è fondamentale leggere le recensioni di alcuni preparati e seri giornalisti che fanno riferimenti diretti a band o artisti che secondo loro sono chiaramente stati una mia ispirazione per quell’album ma molto spesso citano album che io non ho mai ascoltato! Comunque ovviamente sono cresciuto con i Weather Report, i King Crimson, i Japan, i Police, David Bowie e quindi inevitabilmente escono fuori nella mia musica in maniera più o meno diretta. Sono sempre paragoni che mi fanno molto piacere e mi mettono anche in difficoltà.
“Koi” è un concept album: che cosa evoca?
“Koi” narra in musica la vita della carpa asiatica, simbolo di eleganza, perseveranza e resistenza, che in saghe popolari cinesi riesce a risalire le cascate del Fiume Giallo e viene premiata dagli Dei, che la trasformano in Drago Dorato, l’immagine del potere e della forza. I Giapponesi, inoltre, attribuiscono alle carpe non solo le qualità di tenacia, forza e bellezza, ma anche quella di portare benessere e prosperità (la parola “koi” vuole anche dire “amore”, “affetto”).
Potremmo definirlo progressive jazz. Che ne dici?
Sono sicuramente un appassionato e un profondo conoscitore di certo prog, del quale mi mi affascina l’idea di libertà, di assoluta possibilità di muoversi in qualsiasi direzione senza avere le barriere e limitazioni di tipo stilistico e storico che invece caratterizzano altri stili musicali, soprattutto nelle loro forme più conservatrici e restie all’avventura. Quindi prog-jazz ma anche, perché no, fusion se con questo termine intendiamo il lavoro di Zawinul, Shorter, l’album “Word Of Mouth” di Pastorius, gli album di Claus Ogerman e così via.
Si respira claustrofobia, ipnotici e al tempo stesso siamo proiettati in ambienti dilatati, di tipo psichedelici: che tipo di esperienza hai.
Credevo che per raccontare un viaggio difficile, faticoso e pieno di pericoli come quello che impegna la carpa Koi fino al suo arrivo alla sorgente fosse necessario portare l’ascoltatore all’interno di momenti vari, caratterizzati da ritmi, velocità, chiaroscuri e arrangiamenti diversi così come un fiume è caratterizzato da secche, rapide, pericoli più o meno grandi, momenti in cui la carpa può lasciarsi cullare e trasportare dal flusso calmo dell’acqua e momenti nel quale la tensione è al massimo.
La tua scrittura è fondata non tanto su forme canzoni ma su strati di cellule ritmiche e/o melodiche, reiterazioni di suoni, schegge e sequenze ambient.
Cerco di costruire la mia musica lavorando su una stratificazione di tipo orizzontale invece che con la classica verticalità che prevede una piramide con un solista che suona una melodia o esegue un assolo e sotto alla base la sezione ritmica che gestisce il ritmo e le informazioni armoniche e in mezzo gli strumenti che si occupano di creare armonie che mettano in evidenza il tema o l’assolo. Quindi uso molto quelle che tu chiami “reiterazioni di suoni”, che è l’approccio che mi hanno insegnato i grandi DJ con i quali ho avuto l’onore di lavorare. Sono affascinato dalla ripetitività e trovo che la forza di generi come il dub o certa musica africana risieda proprio nella quasi infinita ripetizione di cellule, siano esse infinitesimali oppure più ampie. Quindi cerco di creare delle cellule ritmiche e/o melodiche che saranno la tessitura che caratterizzerà il brano, interagendo con le altre voci.
© Paolo Soriani
“Koi” mette insieme star del prog-rock – Pat Mastellotto (King Crimson) e Steve Jansen (Japan), solisti jazz (Angelo Olivieri, Alessandro Gwiss e Nicola Alesini) – e una sezione fiati condotta da Stan Adams. Raccontaci la genesi di questa band e come sei riuscito a far convivere queste diverse anime espressive.
Appena ho capito cosa volevo raccontare nell’album, ancora prima di cominciare a comporre ho fatto una lunga riflessione su chi avrei voluto insieme a me, chi avrebbe potuto aggiungere il proprio magic touch alla musica che avevo in mente.
Alessandro Gwis è un pianista eccezionale e un grande poeta dell’uso dell’elettronica con il piano acustico, suoniamo insieme in vari progetti da molti anni ed è stato lui il primo al quale ho sempre fatto ascoltare le varie fasi del progetto: dai miei sketches (o cellule) fino ai mix finali di Danilo Pao. Abbiamo scoperto negli anni che siamo cresciuti ascoltando praticamente la stessa musica, e condivido con lui anche lo stesso approccio alla “professione”. Steve Jansen è uno dei tre batteristi con i quali ho sempre sognato di suonare, Pat Mastelotto è un altro e ci sono riuscito ampiamente, il terzo è Terry Bozzio e chissà che non si riesca ad avverare anche questo sogno. Ho ascoltato tanto del lavoro di Jansen, dai Japan fino al suo album “Slope” e devo dire che non ha deluso nessuna delle mie aspettative, anzi è stato ancora più creativo ed è riuscito a mostrarmi nuove facce delle composizioni senza togliere forza al brano. Grande sensibilità e un grande rispetto per il lavoro degli altri. Con Angelo Olivieri ci conosciamo non da tantissimo tempo ma è stato subito chiaro che potevamo fare tante cose insieme: è un grande improvvisatore che conosce benissimo la storia del suo strumento ma ha anche una libertà e leggerezza che è di chi prende molto seriamente la musica; come diceva Alberto Sordi, «far ridere è una cosa molto seria», allora io dico che Angelo mi dimostra che per essere profondi bisogna essere leggeri, intendendo con leggeri che bisogna cercare di liberarsi di una pesantezza, intellettuale prima che musicale, che caratterizza troppa musica contemporanea. Nicola Alesini l’ho incontrato a un concerto (complice l’amico Luigi Viva che ci ha presentati dicendo: «Voi due dovete collaborare»), dopo due giorni gli ho mandato il brano dove c’era una coda dove sentivo che mancava ancora qualcosa. Dopo poche ore mi ha rimandato indietro il suo contributo che è sul disco esattamente come me lo ha mandato lui, integro nella sua poetica bellezza e semplicità. Cosa dire di Pat Mastelotto, abbiamo suonato insieme tanto e collaborato in molti progetti ed è semplicemente il più grande nel far diventare i tempi dispari, le cose complicate, assolutamente naturali e piene di groove. Il nostro progetto NAked TRuth (il nuovo, terzo album uscito appena una settimana fa “Avian Thug”) ne è esempio chiaro e forte: grande interazione e creatività, un suono enorme e la capacità di passare da dinamiche fortissime a quasi scomparire. In “Koi” suona un brano molto particolare, Noir Alley Verdigris, che non poteva essere suonato che da lui. L’idea della sezione fiati composta da due tromboni e un baritono mi è venuta quando cercavo di capire come creare un muro di suono in determinati passaggi tematici, ne ho parlato con Stan Adams che ha lavorato sulle mie idee e melodie sistemandole per la sezione: Stan Adams e Pierluigi Bastioli ai tromboni e Duilio Ingrosso al baritono. Sono stati tutti e tre fantastici nella velocità di esecuzione e nella capacità di calarsi in un contesto stilistico lontano dal tipico lavoro da sezione fiati.
Che ruolo ha avuto la post produzione?
Non c’è stato un grande lavoro di post produzione: i brani erano praticamente così alla fine delle registrazioni, il grosso lavoro è stato poi quello del mix che ho affidato a Danilo Pao. Lui è un grande chitarrista e abbiamo lavorato insieme in molti contesti pop ma è anche un grande conoscitore della musica degli anni Ottanta e quindi di Japan e tutta la New Wave inglese che ha caratterizzato la crescita di entrambi. È dotato di una sua idea precisa del suono ma anche di grande apertura verso le idee e le richieste altrui. Michael Fossenkemper dello studio Turtlestone di New York ha curato il mastering. Lui ha già collaborato su alcuni miei album e, come in precedenza, non ha assolutamente appiattito le dinamiche e il suono, dando invece grande respiro alle frequenze soprattutto a quelle basse che come si può immaginare, mi stanno molto a cuore!
© Alistair Peck
“Koi” secondo la band
Pat Mastelotto (King Crimson)
«Always a joy to work with Lorenzo. We collaborated and shared musical favors on several projects over the last 10’ish years and it’s always deeply satisfying for me. And it’s always surprisingly easy, the music just oozes out of him! Truly never any hassles! things happen quickly and there’s very little censoring or editing. And the Koi record is extra special because I’m a huge fan of Steve Jansen so it’s delightful to hear him play again. And I really dig the Bari sax and deep Tromboni blowing on this record!».
Steve Jansen (Japan)
«Lorenzo and I worked remotely and with a great deal of freedom of interpretation. I enjoyed the trusting nature Lorenzo applied to my input and the fact that I was free to explore as I wished. The music that I received was unusual and distinctive and hopefully I was able to contribute on a similar level»
Michael Fossenkemper (Turtlestone mastering studio NYC)
«Very few projects come across my desk like this one. A stunning soundscape of atmospheres and textures. The more you listen to it, the more you hear»
Nicola Alesini
«Feliciati, senz’altro musicista anomalo nel senso di eclettico ed estremamente creativo, mai intimorito dallo sconfinamento di generi e categorie musicali, mi ha intercettato per il mio suonare altrettanto anomalo, usando al meglio il mio stile istintivo ed espressivo e individuando un brano in cui il mio lavoro potesse contribuire ad esaltarne la suggestione particolare».
Alessandro Gwis
«”Koi”, per me, è una specie di viaggio al termine della notte. Quando ho ascoltato per la prima volta il mix definitivo del disco dall’inizio alla fine, la cosa che maggiormente mi è saltata all’orecchio è quella che in qualche modo definirei un’energia oscura, potente e definita. Ed è quella che dà unità al disco: ci sono molte idee eccellenti e molta libertà espressiva, ma soprattutto c’è un percorso preciso, una visione estetica comune a tutti i brani. Non è un caso, credo, che Lorenzo abbia deciso di stamparne anche delle copie in vinile: per me Koi è un album, nel senso migliore del termine, cioè non semplicemente una raccolta di pezzi e di spunti, ma un progetto unitario, come erano molti dischi degli anni passati, pensati per essere delle piccole opere. Appunto, un viaggio».
Angelo Olivieri
«La musica di “Koi” è complicata e logica allo stesso tempo. Tutto è perfettamente al suo posto, compresi i minimi dettagli. Ed è anche divertente!».
Stan Adams
«Le emozioni che “Koi” riesce a suscitare sono molto varie. ogni brano ha un suo perchè con timbri, sonorità e stili diversi. è stato un onore e un immenso piacere collaborare con Lorenzo per la realizzazione dell’album».
Danilo Pao (mix)
«”Koi” è un lavoro splendido, pieno di musica che provoca emozioni forti, il basso di Feliciati e la ritmica stratificata di Jansen pulsano come un organismo unico, le atmosfere create dagli altri strumenti raccordano il tutto perfettamente, anche gli effetti sono funzionali a creare scenari, se dovessi definire la musica di quest’album la definirei.. Liquida e visionaria!».
Duilio Ingrosso
«”Koi” mi ha trasmesso la sensazione di un prodotto completo derivato dalla perfetta fusione di esperienze musicali, che hanno caratterizzato il background dei musicisti che hanno preso parte al progetto, e mi ha dato piena visione del chiaro concetto musicale di Lorenzo. Onorato di aver contribuito all’espressione di tutto questo!».