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Karabà</br>Intervista ad Alessandro Casciaro

Karabà
Intervista ad Alessandro Casciaro

6 aprile 2018

Il trio dei Karabà, formato da Alessandro Casciaro al pianoforte, Stefano Rielli al contrabbasso e Alberto Stefanizzi alla batteria ha di recente pubblicato Uno per le Emme Record Label; abbiamo intervistato Alessandro Casciaro.

Di Eugenio Mirti

Qual è il significato del nome?
Il nome Karabà deriva da una leggenda dell’Africa Occidentale, che molti hanno conosciuto grazie ad un film di animazione di circa vent’anni fa. Mi è piaciuto il significato nascosto del racconto e da qui l’interpretazione che ognuno potrebbe ricavarne: innanzitutto il fatto di sacrificarsi e di andare sempre fino in fondo, oltre a sapere riconoscere l’essenza di ogni cosa e di non soffermarsi troppo sulle apparenze. Personalmente è
l’atteggiamento che ripongo sia nell’improvvisazione che nella scrittura, cercando di riconoscere significati da più punti di vista e valutando incessantemente nuove implicazioni che possono nascere sia nel live che nelle sessioni in studio.

Nella presentazione del disco si parla di una marcata essenza mediterranea: come la definireste meglio?
Semplicemente siamo tutti e tre nati e cresciuti nella provincia di Lecce, abbiamo per questo respirato un’aria e vissuto una regione ricca di contraddizioni, “..de finibus terrae..” crocevia storico di culture, di suoni e di parole. Vivo molto il mare, la natura e la cultura del Salento e tutto questo costituisce un bagaglio che mi porto dentro ma che sono riuscito maggiormente ad apprezzare e a valorizzare quando, per ragioni di studio o di lavoro, mi sono ritrovato lontano da casa: l’essenza mediterranea risulterebbe così essere legata ad un sentimento culturale che ho del mio luogo natio, ma anche dei “suoni” vicini come la tradizione musicale balcanica e mediorientale.

Come avete lavorato al vostro mix di stili diversi?
Innanzitutto ognuno di noi ha un proprio background di studi e di esperienze che sono quindi emerse nelle sessioni di prova del trio. Alcune volte uno stile o una particolare interpretazione di un brano nascono per caso, altre volte sono volutamente ricercati attraverso un lavoro in comune, altre volte ancora sono decisi da chi nella scrittura del brano ha già in mente anche l’arrangiamento per trio. Nel disco emergono comunque sia l’aspetto della poliedricità stilistica che quello di un unico filo conduttore che racchiude tutte le tracce.

Come hai lavorato alle composizioni originali?
Le tracce del disco nascono dalla volontà di voler raccontare in musica mie esperienze personali, quindi conta molto, almeno in questo lavoro, l’aspetto emotivo. D’altro canto c’è anche un lavoro di assimilazione melodica ed armonica di ogni brano, quindi alcune scelte derivano anche da un approccio tattile, dalla ricerca di un particolare sound, da direzioni non necessariamente idiomatiche. Alcuni brani sono nati di getto, avevo un’idea in testa e l’ho sviluppata al pianoforte; altri invece hanno avuto un percorso maggiormente diversificato, per esempio su una
medesima melodia ho costruito diverse tessiture armoniche e in seguito ho scelto quella che più mi piaceva.

Come le hai arrangiate? Come si sviluppa il lavoro nel collettivo nel dare forma al materiale?
La fase di arrangiamento, come dicevo prima, può essere contestuale alla fase di composizione soprattutto quando un brano lo scrivo in brevissimo tempo. Posso pensare anche ad un’idea ritmica e da lì sviluppare tutto il resto. Altre volte invece l’arrangiamento nasce da un intenso lavoro in trio, per cui ognuno di noi sviluppa una parte oppure è tutto il brano ad essere il frutto di un comune modo di sentire. Aggiungerei qui l’aspetto improvvisativo, per il quale sperimentiamo l’esecuzione di un brano prendendo per dati solo la melodia e l’armonia, costruendo il resto mediante l’interplay.


La formazione del trio è una delle più classiche del jazz: perché questa scelta, e come avete lavorato per trovare la vostra voce?
La scelta del trio è stata voluta, proprio per un equilibrio insito già nel percorso di scrittura dei brani. Inoltre quando abbiamo iniziato a lavorare sul repertorio sia edito che inedito, dapprima per i concerti e poi per il disco, la formula del trio si è rivelata necessaria e sufficiente per i particolari incastri che siamo riusciti a raggiungere e per il feeling che ci ha unito sin da subito.


Quali sono le formazioni o gli artisti che vi hanno ispirato?
Potrei rispondere in mille modi e con tanti nomi di artisti fondamentali per la nostra crescita di musicisti. L’ascolto è importantissimo, ma ci sono anche diverse modalità di ascoltare un artista anziché un altro, oltre a diverse fasi per profondità e ampiezza che ci portano a soffermarci su un particolare album o su una particolare formazione. Sicuramente amiamo profondamente, e non vorrei per questo essere riduttivo, Bill Evans, John Coltrane, Thelonious Monk, Jaco Pastorius.

Cosa farete adesso?
Nell’immediato abbiamo una serie di concerti in cui suoneremo sia brani contenuti nel disco Uno sia standard. Inoltre continueremo nel percorso di ricerca e di scrittura in vista di future pubblicazioni.

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