
20 aprile 2022
È uscito “Evergreen”, l’album di debutto del pianista e compositore americano Justin Salisbury e del suo trio, edito dall’etichetta Gleam Records e disponibile su CD e download digitale.
Con le dieci tracce di “Evergreen”, Justin Salisbury, accompagnato da Max Ridley al basso e Dan Nadeau alla batteria, mostra la sua eccezionale padronanza del pianoforte e una straordinaria capacità di conduzione dell’ensemble.
La prima traccia Go inizia con un vivace drumming, a cui presto si aggiunge il brillante piano sincopato, che ricorda Dave Brubeck, rendendo il brano leggero, invitante e trascinante.
Il secondo brano let life=true rivela fin dall’inizio la componente più intellettuale di Salisbury in una veloce corsa al traguardo, tra pianoforte e tamburo, in cui colori politonali e contrappunti tra le due mani mettono in evidenza una scrittura sincera quanto complessa.
Ciro, ispirato al nome di un personaggio di Gomorra, inizia con una splendida melodia che rimane nella mente, una ballata che si muove tra una serie di increspature e cascate, concentrandosi poi sui tamburi, per tornare successivamente a un tintinnante volo di note.
Il quarto pezzo Aurelius, dedicata al filosofo stoico Marco Aurelio, parte con un’incantevole melodia, che poi cambia e si stravolge, ricordando in alcuni tratti il mitico Bill Evans.
Sangha invoca un camminare costante, di carattere quasi processionale, un sentimento profondo, crescente e ripetitivo, arrampicandosi poi più in alto, più velocemente, e descrivendo quello che sembra un un arco di felicità e di nuova stabilità in un luogo di profonda speranza.
In Interlude il basso scivola, il pianoforte si trascina, si intrufola dietro di esso, e poi il batterista colpisce il piatto. È forse una domanda, una battuta, simboleggiando quelle volte in cui ci si perde e ci si chiede come poter tornare a casa, verso un porto sicuro.
In No Face la melodia sembra invece serpeggiare in una direzione e poi in un’altra, con frequenti momenti di sorpresa; domina così un senso di gioco e di meraviglia, anche in tempi scoraggianti come quelli a cui ci ha abituato la pandemia, gettando tutti in un mare di volti mascherati e in una lotta per affrontare ogni giorno confusione, paura e mistero.
Barang Barang è un brano che Justin ha scritto durante una residenza in Cambogia. “Barang” è un termine casuale per uno straniero, che può avere un significato amichevole o a volte anche offensivo. Qui il basso inizia a suonare per qualche minuto e poi, quasi come un vecchio treno, prende velocità e in una corsa selvaggia porta al traguardo, deliziando l’ascoltatore.
Il tragico periodo pandemico non ha scoraggiato Justin e la comunità dei suoi amici musicisti, che hanno perseverato e continuato a suonare per amore della musica; molti di loro vivono a Brooklyn, vicino all’incrocio tra Cornelia ed Evergreen, nel quartiere di Bushwick, a cui sono ispirati gli ultimi due brani Cornelia ed Evergreen, che vanno a chiudere l’album.
Evergreen inizia con un basso riflessivo e malinconico, per poi passare a una contemplativa esplorazione pianistica, muovendosi in un’atmosfera quasi serale, con delle brillanti stelle nascenti, fino a risolversi nel silenzio e nella quiete della notte.
“Evergreen” è così un album che parla dell’Oregon, della giovinezza, della persistenza, della freschezza, della natura selvaggia, della montagna, ritratta sulla copertina dell’album, dove il padre di Justin cammina nella nebbia, donando un sound innovativo, pieno di energia, bellezza e speranza.
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