
15 luglio 2022
Jazzocene. Gli Stati Generali della Federazione Nazionale Il Jazz Italiano
di Luigi Onori
Da “Jazzocene. Gli Stati Generali della Federazione Nazionale Il Jazz Italiano” (Bologna 19-22 maggio 2022) è trascorso più di un mese.
Parlarne adesso vuol dire non tanto raccontare in modo cronachistico un evento davvero ricco di contenuti, incontri, riflessioni, musica, problematiche in via di soluzione o aperte; si tratta, piuttosto, di mettere a fuoco alcuni dei temi affrontati in quella sede nella loro attualità e prospettiva.
In questo senso, non una provocazione verbale quanto una dimensione sociale e culturale risulta essere il neologismo “Jazzocene” (mutuato da quello, oggi così centrale nel dibattito ecologico, di “Antropocene”): “Vuole rilanciare con forza l’idea – è scritto dalla FIJI nel libretto della manifestazione – che queste musiche e quello che mettono in moto siano in grado di incidere (…) sui processi culturali, artistici ma anche di consapevolezza ambientale e sociale del tempo che ci attende. Il percorso del jazz italiano (…) ha contribuito, soprattutto negli ultimi cinque anni, alla crescita del sistema culturale del Paese”.
Doveroso è precisare che “Jazzocene” si è svolto con il patrocinio del Comune di Bologna e della Regione Emilia Romagna, in stretta collaborazione con il felsineo Conservatorio “G.B.Martini”. È stata espressione delle sei associazioni riunite nella Federazione Nazionale il Jazz Italiano e che vedono alleati jazzisti, festival, iniziative educative (Il Jazz Va a Scuola), etichette indipendenti, fotografi, jazz club.
La manifestazione bolognese ha avuto il sostegno di Conad (main sponsor) nonché di Gruppo Unipol, Siae, NuovoImaie. La complessa organizzazione è stata affidata ad un efficiente staff, l’ideazione ad un competente comitato scientifico coordinato da Enrico Bettinello, che ha gestito le presenze sul palco della Sala Bossi del conservatorio, vero ‘epicentro’ di “Jazzocene”. Non è un elenco arido di dati ma la prova di un lavoro collettivo, di coordinamento e di un’organizzazione in rete: modalità che, a lungo, non sono state proprie del jazz italiano e che si stanno ora affermando.
JAZZOCENE 1: Gli Stati Generali della FIJJ / Le istituzioni
Il dialogo con le istituzioni per il jazz è essenziale, come spiegato nel concetto di “jazzocene”. Problematico, sinora, chi avesse titolo a condurlo. Ricordo che agli inizi degli anni Novanta ci fu l’iniziativa – forte, coerente, coraggiosa – dell’AMJ (Associazione Nazionale Musicisti di Jazz) che ebbe tra i suoi presidenti Bruno Tommaso, Giorgio Gaslini, Marcello Rosa. Fece molto, aprì più di una strada, mobilitò e unì i jazzisti, instaurò una difficile dialettica; il suo percorso fu travagliato e, infine, si concluse.
Nella fase post-2010 alcuni fatti hanno mostrato la via. In primis la costituzione della nuova associazione MIDJ (Musicisti Italiani di Jazz), nata nel 2014 e presieduta per due mandati da Ada Montellanico (I-Jazz, Associazione dei Festival Italiani di Jazz era già nata nel febbraio 2008, oggi ne è presidente Corrado Beldì).
Inoltre nel 2015 viene organizzata la prima edizione solidaristica de “Il Jazz italiano a L’Aquila” (600 musicisti, 18 palchi, 112 concerti), con la direzione artistica di Paolo Fresu e in stretta collaborazione con il MIBACT (Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo) presieduto dall’on. Dario Franceschini. Entrambi i fatti attestano nuove possibilità di aggregazione e di visione per il jazz italiano, nel contesto reale del Paese.
Man mano si formano altre associazioni, oltre MIDJ e I-Jazz, che si espandono al vasto campo del jazz: IJVAS (Il Jazz Va a Scuola, oggi presieduta da Catia Gori), ADEIDJ (Associazione delle Etichette Indipendenti di Jazz, presidente attuale Federico Mansutti), AFIJ (Ass. Fotografi Italiani di Jazz, fino al mese scorso guidata da Pino Ninfa), IJC (Italia Jazz Club, presidente odierno Rosario Moreno) mentre MIDJ ha come sua attuale guida Alessandro Fedrigo.
Nel febbraio 2018, su iniziativa di Paolo Fresu, nasce la Federazione Nazionale Il Jazz Italiano (FIJI) e poco dopo viene siglato un importante protocollo di intesa tra il MIBACT e la nuova federazione, dal ministro Franceschini, lo stesso che il 21 maggio 2022 era in collegamento video con “Jazzocene”, dialogando con Fresu. Il capo dicastero ha, tra l’altro, affermato di voler creare le condizioni perché il Ministero della Cultura continui a supportare il jazz. Ha ricordato gli interventi fatti con appositi bandi, l’inserimento nel FUS, la recente approvazione al Senato di un disegno di legge che riconosce i diritti dei lavoratori dello spettacolo. Alla domanda se sia possibile unire istruzione e produzione culturale Franceschini ha risposto che i due ministeri devono lavorare insieme, consolidando l’educazione musicale.
Nelle giornate di “Jazzocene” gli interventi sono stati, in genere, organizzati in discussioni, denominate musicalmente a seconda dei partecipanti, da solo a quartet. Veniamo al Quartet “Come cambia il lavoro” (21/5), condotto da Gianni Pini che ha coinvolto politici (la deputata Alessandra Carbonaro), tecnici (dott.ssa Anita Pisarro), esponenti sindacali-associativi, (Massimo Pontoriero, presidente UNISCA), musicisti (Alessandra Bossa) e agenti (Andrea Scaccia). Il dato fondamentale è che c’è una legge-delega sullo spettacolo dal vivo (approvata all’unanimità al Senato) che dovrebbe passare alla Camera e poi avere decreti attuativi. Una legge attesa da decenni che prevede indennità di malattia e discontinuità, riconosce lo specifico dello status dei musicisti e dei cosiddetti “lavoratori intermittenti”, riconosce i jazz club. La Carbonaro ha detto che sono stati fissati passaggi fondamentali (ci sarà, poi, la legge di bilancio) e la Pisarro ha affermato la necessità di norme chiare per poter passare alla fase esecutiva. È l’inizio di un processo normativo complesso ma che affronta nodi da tempo irrisolti per chiunque lavori nella produzione artistica.
Non formale il saluto del sindaco di Bologna (21/5), Matteo Lepore, accolto a suon di jazz, che ha parlato di agenda urbana nazionale, economia territoriale e di città come modalità di organizzazione anche della cultura, in un’ottica che prevede la valorizzazione della musica.
Ancora nella giornata del 21 maggio – con evidenza nodale per il rapporto con le istituzioni – c’è stato il Quartet “Luoghi e produzione del jazz”, con moderatore il critico musicale Pierfrancesco Pacoda, Antonio Parente Direttore Generale dello Spettacolo (Ministero della Cultura), Mattea Lissia (Time in Jazz), Cristina Vitri (Rimini Jazz Club) e Federico Mutti (Bologna Jazz Festival). Parente ha, tra l’altro, fatto una sorta di elenco di quanto si sia riuscito a realizzare attraverso il dialogo tra la FIJI e la Direzione Generale dello Spettacolo, a partire dall’apertura verso le “musiche di qualità” nel 2013-’14, passando per il protocollo del 2018, ai successivi bandi-jazz finanziati, ai decreti attuativi (da fare) per la legge sullo spettacolo. Parente ha fatto riferimento anche ai Centri di Produzione Musica i quali, comunque, rappresentano una grande novità e un luogo di possibile sperimentazione e ricerca sul linguaggio musicale (e, in specifico, jazzistico).
Enrico Bettinello – sempre il 21 maggio – ha intervistato Chiara Gallerano (project manager di Italia Music Export, che si occupa della promozione all’estero dei musicisti italiani). Ne è nato uno sportello per un progetto di sostegno delle spese di viaggio per artisti italiani che hanno concerti fuori Italia, gestito da Italia Music Export e dedicato in specifico al jazz (la call partirà il 15 luglio e sarà aperta fino al 15 di settembre).
Nella stessa giornata è stato anticipato un importante passaggio istituzionale al timone della FIJI, deciso dai suoi organi all’unanimità. «Lascio la presidenza per scelta – ha detto Paolo Fresu passando le consegne ad Ada Montellanico – consapevole di quanto sia stato fatto (in soli quattro anni, n.d.r.) e di quanto ci sia da fare, perché so che da oggi ripartiamo per andare molto più lontano». Fiducia piena, quindi, a un’artista che si è molto impegnata, con entusiasmo carismatico, in tanti ambiti (2014-‘18 presidente MIDJ, presidente IJVAS, vari altri incarichi di alta responsabilità). Nel nuovo corso ci ha sempre creduto, esponendosi in prima persona.
JAZZOCENE 2: Gli Stati Generali della FIJI / La formazione
Questione viva e pulsante quella della formazione e della valenza ampia del jazz a livello sociale, aggregativo, democratico, interculturale. Ad essa è stata dedicata soprattutto la mattinata del 20/5.
L’associazione IJVAS, tramite la presidente Catia Gori, ha presentato creativi e stimolanti progetti di diffusione della musica nella scuola fin dalla materna (elaborati con Sonia Peana), illustrando varie esperienze realizzate e incredibilmente fertili.
E di “esperienze jazz per l’infanzia” hanno parlato, mostrando risultati importanti, Cecilia Pizzorno, Ilaria Biagini e Massimo Nunzi (un progetto biennale della Fondazione Musica per Roma che ha prodotto Jazz Campus Kids Orchestra e Junior Orchestra, il 5 giugno brillanti ospiti dei concerti al Quirinale).
Loredana Franza, dal canto suo, ha raccontato come si lavora sul pubblico dei piccolissimi in Svezia (dai zero ai sei anni) e Danimarca (dai dieci ai quindici) attraverso gli innovativi progetti multimediali-multidisciplinari Jazzoo. In tal senso “Jazzocene” è stata un’occasione per confrontarsi e conoscere quanto si muove all’estero, ad esempio attraverso il duo (21/5) tra Giambattista Tofoni (presidente EJN) e Antoine Boss (Association Jazzé Croisé).
Un forte imprinting è stato dato alla mattinata ‘formativa’ dal maestro Franco Lorenzoni (Casa Laboratorio di Cenci) la cui passione e l’afflato etico-didattico, in una dimensione politico-educativa, hanno lasciato il segno. Già Paolo Fresu, introducendo “Jazzocene”, aveva parlato di riflessione sul presente e di compito del jazz nella crescita collettiva: «Si chiede alle istituzioni ma ci si interroga – aveva detto il trombettista – per una nuova visione in un immediato futuro». Lorenzoni ha, tra l’altro, illustrato dieci ragioni per cui la scuola dovrebbe aprirsi al jazz, tra cui il fatto che questa musica, in particolare, crea comunità e genera tolleranza, sensibilità. Inoltre il jazz è luogo di connessioni interculturali e introduce all’artigianato creativo, un diritto di tutti. La sua è un’idea di educazione viva, democratica, creativa, socializzante che vede il linguaggio jazz come potente vettore.
Nel duo del sottoscritto con Bruno Tommaso su “Insegnare il jazz e le musiche improvvisate”, il grande contrabbassista-compositore-didatta ha messo in guardia dal latente accademismo del jazz in conservatorio, richiamando alla centralità dello studente. Basilare per la riflessione il suo libro “La scuola che sognavo. La musica come bene comune. Il jazz come dialogo” (Edipan), da cui la conversazione ha preso il via.
L’intervento di Alessandro Bergonzoni (21/5) si può ascrivere ad un ambito didattico proprio per l’impetuoso vento di creatività che ha generato, una performance basata sulla parola e su un ritmico, affabulatorio incalzare. «Strati generali, amo il jazz per impollinazione artificiale, crealità, stonatura sociale, terzo orecchio assoluto, disarmonica a bocca…». Un fiume di parole sul ruolo dell’arte, il suo essere libertaria e liberatoria, ma sempre sociale, che ben si è sposato con gli interventi di Lorenzoni e Bruno Tommaso.
Istituzionale ma schierata la presenza di Annalisa Spadolini (Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica MIUR), che ha portato i saluti del novantenne Luigi Berlinguer, Presidente di quel comitato e da sempre in prima linea per la diffusione della musica nel sistema educativo italiano. La Spadolini ha parlato – tra realtà e ipotesi progettuali – delle attività jazz nei licei musicali, del “Piano triennale delle arti”, di poli ad orientamento artistico-formativo, della scuola come centro culturale di primo livello sul territorio, delle difficoltà per un docente specifico di musica nella scuola primaria e dell’aggiornamento delle classi di concorso. Prospettive e problemi, quindi: un quadro comunque in movimento.
JAZZOCENE 3: Gli Stati Generali della FIJI / zone calde
Fin qui sembrerebbe che i quattro intensi giorni di “Jazzocene” siano stati tutti positivi, costruttivi, risolutivi. È ovvio che non sia stato così e che luci e ombre, problemi aperti o insoluti permangano. In tal senso si parla ora di una serie di questioni su cui è necessario ancora lavorare e confrontarsi, linee-guida di un futuro immediato o a medio-lungo termine.
Il “Trio: AFAM e licei musicali” (20/5), moderato da Stefano Zenni, è stato un momento “caldo” del dibattito, con oggetto la formazione dei (futuri) musicisti di jazz. Roberto Antonello (direttore del Conservatorio di Vicenza e attuale presidente della Conferenza dei Direttori dei Conservatori) ha parlato della necessità di rivisitare le norme, anche ampliando la platea degli strumenti (soprattutto nelle scuole medie ad indirizzo musicale). Ha fatto presente una serie di iniziative avviate a Vicenza con un corso di didattica della musica (aperto a tutti), una cattedra di filologia musicale applicata al jazz, master trasversali; in buona sostanza, secondo il suo parere, la prassi va già verso il futuro.
Più critico e problematico l’intervento di Nicola Pisani (docente al Conservatorio di Milano ed esponente della Conferenza Nazionali Docenti Afam; peraltro è in corso un tentativo di associazione tra insegnanti jazz e pop dei conservatori. Pisani parte dai dati (540 docenti jazz e pop; calo del 36% degli iscritti nei conservatori, compensato dalle iscrizioni ai nuovi dipartimenti). Ha sottolineato, però, che i docenti non sempre sono formati in modo adeguato, una parte ha carenze pedagogiche, e che servirebbe un nuovo approccio (estensibile al mondo classico) basato sulla “pedagogia dell’improvvisazione”.
Paolo Damiani (musicista, docente, direttore artistico) ha a sua volta illustrato la validità di un modello conservatoriale alternativo, come quello francese, e richiesto un albo nazionale dei direttori come una maggiore libertà (e autonomia) per il reclutamento dei docenti.
Davvero centrale, nella mattinata del 21, il Duo riguardante il “Gender Balance”. La batterista-compositrice Cecilia Sanchietti (fondatrice con altre/i jazziste/i, tra cui Susanna Stivali ed Angelo Olivieri, dell’associazione “Jazzmine”) ha dimostrato, dati statistici alla mano, quanto ci sia da fare in Italia per un’effettiva parità di genere nel jazz. Ovviamente non solo a livello di numeri ma per tutto ciò che riguarda vari parametri: i modelli (rispetto agli strumenti), i ruoli (compositore, arrangiatore ecc.), la carriera (che risulta sempre più breve e che, ad una determinata età, appare come interrompersi), la scarsezza di scritture nei festival…
Martel Ollerenshaw (Arts & Parts, vicepresidente di Europe Jazz Network) ha riportato, invece, la sua esperienza internazionale nell’ambito produttivo e nello sviluppo di talenti (soprattutto femminili); ha altresì fatto presente che già nel 2018 EJN ha prodotto un manifesto basato sulla “gender balance”.
Ricco e problematico il Solo (20/5) di Francesco Martinelli (Centro Nazionale Studi sul Jazz Arrigo Polillo, presso Siena Jazz). Affermata la valenza de “l’archivio come memoria della comunità del jazz”, memoria storica e ideologica, i problemi subentrano a livello di catalogazione. Nonostante vari tentativi, sia a livello europeo che internazionale non esistono criteri e protocolli di indicizzazione unitari e ciò rende difficile il dialogo tra le varie istituzioni, dal National Jazz Archive inglese al tedesco Jazz Insitute di Darmstadt. Un terreno, quindi, su cui lavorare, intanto per estendere e potenziare gli archivi sonori italiani, serbatoi di memoria e giacimenti per rinnovati studi.
Tra i momenti più stimolanti il Quartet sulle “Relazioni tra artisti ed etichette, il futuro della produzione discografica” (20/5), in un mondo sonoro tra Spotify e BandCamp (alla luce della progressiva scomparsa dei supporti fonografici, come realtà materiale). Ne hanno parlato, con tantissimi spunti di grande interesse, Damir Ivic (Soundwall) in qualità di moderatore, Ermanno Basso (CamJazz), Tommaso Cappellato (Domanda Music, in collegamento da Los Angeles), Paolo Franchini (presidente Federazione Editori Musicali) e Raffaele Cuccu (responsabile marketing Qobuz). Etichette nel nuovo scenario, piattaforme, superamento della casa discografica, autoproduzione, presenza sui social … Un campo aperto e in veloce, spesso imprevedibile, trasformazione.
Sulla problematica condizione del jazzista italiano, soprattutto in tempi di pandemia, ha riflettuto, in modo creativo e critico, Alessandro Fedrigo (presidente di MIDJ) presentando l’associazione nata nel 2014 (21/5). Lo ha fatto attraverso una narrazione graficamente illustrata, sapida di humour, autoironia e verità: “Numeri, acronimi, il dottor Midj e il signor Da”. Tra sogni, visioni, confronti con realtà europee, conflitti con organizzatori…
Non poteva che finire in musica “Jazzocene. Gli Stati Generali della Federazione il Jazz Italiano”. Alla sala Bossi del Conservatorio G.B.Martini di Bologna – luogo accogliente di dibattito per tutta la manifestazione – ha suonato il 22 mattina una big band. L’organico (nato dai corsi jazz dell’istituzione di piazza Rossini con studenti, ex allievi e docenti) ha proposto musiche dirette e arrangiate da Michele Corcella (maestro collaboratore Mark Pasini) in un vasto spettro da Billy Strayhorn a Charlie Haden. Solisti ospiti, tra maestri e special guest, Giovanni Amato, Cristiano Arcelli, Domenico Caliri, Teo Ciavarella, Paolo Fresu, Giancarlo Giannini, Ada Montellanico, Joe Pisto, Simone Serafini, Francesca Tandoi, Glauco Venier (organo sinfonico in “Chelsea Bridge”). Non è un mero elenco di nomi, quanto la testimonianza del vivo dialogo sonoro e dell’attento interplay che caratterizzano il linguaggio del jazz.
In altre giornate ci aveva pensato la Roaring Emily Jazz Band a rinnovare il rito itinerante delle marching band, mentre in vari luoghi di Bologna ci sono state mostre fotografiche a tema: “Il mondo del jazz, una storia da raccontare” (Bravo Cafè, Cantina Bentivoglio, Cortile Cafè) e “Jazz in Bo” (Biblioteca Sala Borsa). Che dire, poi, dei concerti pomeridiani, durante le “pause caffè”, organizzati da studenti e docenti del conservatorio, dei recital e delle cene serali soprattutto nell’accogliente Cantina Bentivoglio?
Del resto Bologna è un luogo importante nella vicenda del jazz in Italia, dalla scena delle cantine e delle jam-session negli anni Cinquanta alle sue rassegne (il Bologna Jazz Festival, tuttora esistente, è stato fondato nel 1958), dai suoi storici promoter (Alberto Alberti, Cicci Foresti) ai suoi jazz club, dalla cattedra di Civiltà musicale afroamericana al DAMS (per decenni tenuta da Giampiero Cane) alla visionarietà-progettualità del festival di Angelica fino al collettivo Bassesfere e a tanto altro.
Aspettiamo, operando, il prossimo “Jazzocene”.