17 ottobre 2017
Ho conosciuto Francesco Bettini almeno quindici anni fa e mi colpì fin da subito la sua energia, la sua preparazione, la sua passione verso la musica jazz, la sua predisposizione manageriale e sua inarrestabile gioia di vivere. Nel corso degli anni Francesco è diventato un punto di riferimento nazionale proprio in virtù del suo carattere e per la sua capacità di rischiare e aggiornarsi: e oramai firma due tra i programmi di più alto valore del nostro Paese, quello del Jazz Club Ferrara ‘Il Torrione’ e quello del Bologna Jazz Festival. Ed è un grane privilegio tornare a dialogare con lui.
Di Luciano Vanni
Cosa significa, al giorno d’oggi, essere promoter di un evento jazz?
Immagino che significhi, più o meno, la stessa cosa di sempre. Credo che George Wein facesse bene o male quello che oggi fa Carlo Pagnotta [direttore artistico di Umbria Jazz, ndr], o faccio io nel mio piccolo per il Bologna Jazz Festival e per il Torrione Jazz Club. Chiaramente le dimensioni della produzione contano e conta anche l’inferno generato dall’esposizione mediatica su web e social che non c’era anni fa, ma in linea di massima essere un organizzatore di concerti credo abbia le stesse dinamiche di un tempo.
Produrre e firmare un programma significa avere gusto e stare sulla notizia: entrare in confidenza con i gusti del pubblico.
Bisogna essere attenti a ciò che l’attualità musicale ha da offrire, cercando sempre di aggiornarsi. Il modo migliore è essere sempre connessi con i musicisti: in genere, sono ancora loro la voce più affidabile, più di qualunque rivista specializzata, blog, ufficio stampa.
Bisogna valutare il rapporto spesa-resa di ogni singolo concerto. Anche se abbiamo lavorato bene e abbiamo costruito una solida base di pubblico fidelizzato, il mercato c’è anche nel jazz, eccome. Capita, ed è piuttosto frustrante, che la resa in termini di biglietti sia inversamente proporzionale alla qualità della proposta. Prima che musicisti piuttosto avanzati riescano a interessare un pubblico numericamente consistente possono passare anni. Il mio ruolo è anche quello di farli conoscere, invitandoli più di una volta a esibirsi. Infine bisogna sentirsi (ed essere percepiti) parte di una comunità che – ora più che mai – non ha confini geografici.
Quali sono gli strumenti con cui riuscite a finanziare la vostra attività?
Si parte da una base, quanto meno parziale, di sano volontariato (intendo dire che occorre essere preparati a guadagnare molto, ma molto, meno di quanto si produca in termini di professionalità ed energie profuse) al quale necessariamente, per poter fare un lavoro come si deve, bisogna affiancare delle risorse finanziarie; risorse in parte determinate dai contributi pubblici e privati, e in parte dalla vendita dei biglietti o, nel caso del club, dall’autofinanziamento dei soci.
Che relazione avete con il tessuto cittadino? Come siete riusciti a coinvolgere gli abitanti della vostra città? Che tipo di comunicazione avete adottato per valorizzare il vostro evento?
La relazione con il tessuto cittadino, dopo anni di sforzi, è oggi decisamente buona. Il Torrione non è più percepito come un luogo chiuso e di nicchia per pochi fanatici di jazz, ma come uno degli ingranaggi più oliati del sistema culturale ferrarese ed emiliano, e soprattutto come luogo aperto ad appassionati e curiosi. Anche lo spazio fisico in cui lavoriamo ha facilitato il processo inclusivo: il Torrione San Giovanni è di per sé – date le caratteristiche storiche e architettoniche – un valido motivo per visitare il jazz club. Ad ogni modo, si sono dovute adottare numerose strategie per coinvolgere la città e la regione. Prima fra tutte la disponibilità a collaborare con altre associazioni: in Emilia-Romagna con il Bologna Jazz Festival (in autunno) e con Crossroads (in primavera); in città con Ferrara Musica, il Conservatorio, la Scuola di Musica Moderna e tanti altri operatori culturali attivi in ambiti diversi da quello musicale. Proprio la comunicazione incrociata con tutte queste realtà ha determinato una maggiore capacità di far conoscere la nostra attività a un sempre più ampio bacino di utenti.
Nel caso del Bologna Jazz Festival c’è qualcosa di diverso. Più che con la città il rapporto è con gli operatori culturali della città e conseguentemente con il loro rispettivi pubblici. Concorrono alla realizzazione del festival tantissime realtà molto diverse tra loro e quindi va da sé che la città, in un modo o nell’altro, si accorga quando c’è il festival. A questa componente, si aggiungono anche alcune iniziative strategiche che ci permettono di radicarci sul territorio: i numerosi progetti didattici e multimediali nei licei, nelle scuole di musica, nei conservatori; una promozione molto impattante con autobus griffati bologna jazz festival che vagano nella città, una campagna di affissioni peculiare nelle bacheche storiche e, sempre come i bus, realizzata ogni anno da un illustratore di rango.
Raccontaci, in poche parole, il carattere, l’identità e i valori dei programmi che metti in scena.
La costante delle ultime edizioni è quella di spaziare molto tra stili e linguaggi, cercando di dare un quadro il più possibile esaustivo di ciò che è il jazz oggi. Si vorrebbe che pubblici differenti per età, gusti e interessi, s’incrociassero e si lasciassero sorprendere senza preconcetti da musiche e musicisti che non conoscono.
Andiamo sul programma: che musica ascolteremo in questa edizione?
Tanta e multiforme: dalla tradizione al modern jazz, dalla scena downtown newyorchese alla fusion, fino all’elettronica, al rap, al latin, alla musica etnica, e a mille altri colori e linguaggi. Preferisco non fare nomi: sono tutti spettacoli che hanno pari dignità e un alto livello qualitativo, poi ci sono i più famosi, i meno famosi, ma – come dicevo – non significa necessariamente che i primi siano meglio dei secondi, anzi, spesso avviene proprio il contrario.
Tra i tanti artisti del cartellone, quali sorprese ti attendi?
Mi aspetto di essere piacevolmente colpito da tutti i concerti in cartellone. A volte, purtroppo, non avviene, tuttavia – visto che per ogni singola produzione mi ammazzo di lavoro – spero che capiti in pochissime occasioni.
Come si è evoluto, negli anni, questo evento?
Il programma del jazz club si è aperto progressivamente al contemporaneo e ad altri linguaggi musicali ed è diventato un luogo di partecipazione diretta da parte di molti musicisti, sia perché abbiamo mantenuto viva la tradizione delle jam sessions, sia perché si è venuta a formare un’orchestra residente tra le mura amiche del Torrione. Veniamo ora al Bologna Jazz Festival: da un evento bulimico con tante attrattive in un breve lasso di tempo, siamo passati a una rassegna territorialmente diffusa che abbraccia più di tre settimane e che permette a tutti gli interessati di fruire di ogni singolo spettacolo, evitando, dove possibile, concomitanze.
Qual è la più grande gratificazione umana e professionale che vivi ogni volta che promuovi questa manifestazione?
Una manifestazione così complessa, dalla gestazione al momento in cui prende forma, fino alla sua conclusione, abbraccia sostanzialmente undici mesi all’anno. Quindi è una sorta di ciclo continuo. Di sicuro, il momento in cui si conclude è straordinariamente liberatorio e quasi mi verrebbe da dire che la soddisfazione più grande è quella di essere arrivato vivo alla fine.
E infine: tre parole per descrivere il vostro jazz club e il Bologna Jazz Festival
Semplice: Jazz Club Ferrara e Bologna Jazz Festival.