23 maggio 2018
Abbiamo intervistato il sassofonista Venanzio Venditti, per parlare della sua attività professionale e per ragionare insieme sul ruolo artistico, sociale e manageriale che dovrebbe avere oggi un musicista all’interno della società contemporanea.
di Luciano Vanni
Che caratteristiche specifiche ha la tua attività professionale? Cosa distingue il tuo lavoro dagli altri?
Forse la caratteristica più importante, se così la si può considerare, è legata all’onestà intellettuale; l’approccio del mio percorso artistico è da sempre naturalmente fondato e caratterizzato dall’assenza di egocentrismo, sia stilisticamente che umanamente. La cosiddetta “ricerca” ha senso solo quando c’è equilibrio tra la crescita artistica e soprattutto umana, che secondo me dovrebbe essere alla base di qualsiasi attività dell’uomo, che sia musicista di jazz o altro.
Quali obiettivi sociali, culturali e artistici ti sei posto?
L’obiettivo principale è sempre lo stesso, e spero che lo sia per chiunque abbia coscienza e conoscenza del mestiere, ovvero dare emozioni e partecipare alla creazione di un’idea nobile e globale, che possa essere di esempio artistico e umano per tutti. Quale miglior mezzo per condividere ed esprimere i propri sentimenti se non la musica, il jazz e l’arte in genere?
Come gestisci la tua carriera? Hai un team che ti affianca o lavori da solo?
Per ora gestisco tutto da solo come posso, in passato ci sono state delle persone che si sono occupate dell’organizzazione del mio lavoro, e sicuramente anche in futuro sarà utile per me riunire un nuovo team che possa darmi una mano e facilitare il da farsi.
Quali problemi hai riscontrato nel corso della tua carriera? E cosa ti piace di più del tuo mestiere?
Sicuramente ho dovuto affrontare tanti problemi, tra i quali quello decisamente più grave è l’ignoranza, ma come per tutti penso, poiché per competere in una società come la nostra ci vuole del fegato, in quanto spesso non c’è l’educazione a riconoscere e a comprendere la bellezza in genere, essendo oltretutto circondati e guidati da politici inadeguati e spesso ignoranti in materia. Ma poi fortunatamente ci sono state e ci sono ovviamente anche tante belle opportunità che rendono unico il mestiere del musicista, come la possibilità di ricercare la bellezza a tutto tondo, che rappresenta davvero un privilegio unico per chi svolge questa professione.
Come ti poni davanti al mercato internazionale? Lo consideri un’opportunità rilevante? Come ti stai muovendo? Hai già avuto esperienze positive? Quanto incide nella tua economia?
Può sembrare strano ma il mercato internazionale è sicuramente molto più semplice e praticabile di quello italiano, perché fuori dalla nostra beneamata Nazione, c’è molto più rispetto e tanta più educazione verso chi dedica la propria vita alla musica, al jazz e all’arte in genere.
A fianco della tua attività artistica ne affianchi anche altre [promoter, direttore artistico, booking agency, didattica, autore di libri-metodi didattici]?
Affianco volentieri al mestiere del musicista anche l’attività di insegnante, che ritengo molto importante, affascinante, ma allo stesso tempo difficile e complessa.
Dedichi tempo, professionalmente, ai social?
No, ma sicuramente i social in genere sono dei mezzi importanti per la promozione e la divulgazione delle proprie attività artistiche; mi accorgo però ogni giorno sempre di più che la piazza virtuale è superaffollata, anche un po’ bugiarda se vogliamo, tanti si mostrano e millantano forse ciò che non sono realmente, insomma, vi si leggono tante stupidaggini ricoperte da molti incoscienti like. Sicuramente si potrebbe usare in un modo migliore e a volte sarebbe bellissimo ed elegante astenersi.
Quanto pensi siano rilevanti ai fini della tua notorietà e della tua professione?
Non so quantificarlo, ma ripeto, è certo che il mezzo virtuale può essere molto importante per comunicare, ovviamente utilizzandolo con onestà e senza generalizzare, ma spesso la virtualità è ingannevole.
Fai attenzione a non parlare di politica, calcio, vita privata, etc., oppure ti senti libero di scegliere linguaggi e argomenti?
In generale cerco sempre di dire quello che penso, ma questo sicuramente non è eccessivamente redditizio, nei social non sempre s’incappa in persone o politici che abbiano una notevole elasticità mentale.
Che strategia adotti per promuovere la tua attività? Cerchi di instaurare rapporti diretti con giornalisti, promoter, discografici, manager, etc.?
Quando è possibile, il rapporto diretto, e quindi personale, lo preferisco.
Cosa ne pensi della promozione artistica applicata ai video? Investi risorse nella realizzazione di teaser, videoclip, riprese live? Hai un tuo canale youtube?
Questo tipo di attività dovrei sicuramente svilupparlo di più, e anche nel migliore dei modi, ma non sono eccessivamente avvezzo a questi mezzi, comunque mi sono ripromesso di usarli al meglio nel prossimo futuro.
Cosa ne pensi di ciò che sta accadendo nel mondo della discografia? Ha ancora senso parlare di CD?
Il CD rimarrà, com’è giusto che sia, sempre un qualcosa d’importante: registrare un’idea per comunicare al nostro pubblico è di fondamentale rilevanza, certamente la diffusione è cambiata e cambierà sempre di più, visti gli innumerevoli mezzi di comunicazione che emergono giorno dopo giorno.
Hai dei modelli specifici che riconosci ‘di qualità’, non tanto sul fronte artistico quanto su quello del music business?
Ne conosco qualcuno, ma non lo prenderei mai come un esempio positivo; può capitare infatti d’incontrare persone di successo in relazione al music business e rimanere sconcertati dal delirio, dall’ignoranza e dalla bruttura di tutto il resto, nonostante le oggettive capacità e il successo imprenditoriale.
Come ti poni davanti ai finanziamenti pubblici dirottati ai festival? Pensi siano utili? Pensi che siano un ‘doping’ ai danni dei contribuenti oppure di fondamentale importanza sociale e culturale? Cosa significa secondo te ‘investimento pubblico in cultura’?
I finanziamenti sono importanti, ma come in tutte le cose bisognerebbe vedere chi e cosa si finanzia, sapere chi di fatto li gestisce, poiché spesso risultano dannosi, in particolar modo quando si sponsorizzano i “Supermercati del jazz”, dove tutto perde di significato e in cui ovviamente c’è chi, a torto, si arricchisce.
Ritieni che un musicista abbia anche un ruolo sociale importante, oltreché artistico? E se sì, in quale direzione?
Il musicista dovrebbe avere certamente un ruolo sociale, ma in Italia purtroppo è una figura che non viene apprezzata abbastanza, sarà per superficialità o mancanza di comprensione, vista la mediocrità che vige a tutti i livelli; sicuramente la formazione di un musicista è composita e multiforme, quindi dovrebbe rappresentare davvero un esempio da imitare.
Se tu avessi un ruolo politico rilevante, quali interventi adotteresti per migliorare la cultura e il music business specificatamente relativo alla musica jazz?
Fare politica dovrebbe significare impegnarsi profondamente e avere a cuore lo sviluppo dei territori e delle persone. Se fossi un politico eviterei i finanziamenti a pioggia e investirei in base a obiettivi mirati, soprattutto in ambito scolastico e didattico, attivando una vera e propria rivoluzione già a partire dalle scuole primarie, per arrivare poi a una società capace di pensare e discernere autonomamente. Il popolo elegge i politici, quindi mi piacerebbe pensare, seppur in modo leggermente utopistico, a una società colta e dignitosa capace di eleggere una classe politica competente e preparata, conseguente scelta e risultato di una democrazia sana. Se questo dovesse succedere, sicuramente il Ministero della Cultura diventerebbe il più importante di tutti, e di conseguenza anche nel mondo del jazz ci sarebbero festival e concerti con organizzatori veri, un pubblico cosciente e con protagonisti autentici musicisti di jazz, perché alcune volte anche questo non accade.
Se tu avessi un ruolo manageriale rilevante [promoter, discografico, editore, manager, etc.] in questo ambiente, come ti comporteresti?
Promuoverei semplicemente solo persone di talento, cosa che spesso, per varie dinamiche, non succede.
Come ti vedi, professionalmente parlando, tra dieci anni?
Tra dieci anni, non so… Forse potrei avere gli stessi dubbi e le stesse ipotetiche risoluzioni che ho oggi!