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Intervista a Remo Vinciguerra

Intervista a Remo Vinciguerra

Remo Vinciguerra è uno dei più noti didatti italiani; autore di più di cinquanta raccolte di brani per lo studio del pianoforte, ha da poco realizzato un CD dal sapore jazzistico (“Binario 21“, pubblicato da Azzurra Music, con la partecipazione di Alberto Biondi, Alfredo De Innocentiis, Tino Tracanna, Roberto Cetoli, Karin Mensah, Luca Donini) e sta per pubblicare per Curci una Storia della Musica con pillole di Danilo Rea, Stefano Bollani, Stefano Zenni, Enrico Intra, Renzo Arbore.

Di Eugenio Mirti

Il tuo metodo didattico è caratterizzato da una sua cifra stilistica molto precisa e delineata: ce la vuoi raccontare? Come è nato e si è sviluppato?
Come nella vita, si comincia con l’idea giusta e poi gradualmente ad essa se ne aggiungono altre che nel tempo formano un discorso compiuto, una filosofia, un metodo. Ho costantemente filtrato il mio lavoro con l’esperienza, che è diventata costantemente più ricca. Inoltre il consenso ricevuto da didatti e insegnanti per un certo tipo di proposta didattica mi ha indicato altre vie che avrei potuto esplorare.

La filiera musicale vive momenti di grande trasformazione: la musica liquida, il web, i contenuti gratuiti. Credi sia un’opportunità da sfruttare oppure ha ridotto drasticamente le possibilità di avvicinarsi alla musica professionalmente, come autori, esecutori e didatti? Pensi che un giovane studente ne possa ricavare benefici?

Credo che viviamo un’epoca di sovrabbondanza di informazioni, che diventano (almeno all’inizio) difficili da decodificare. Si parla spesso di musica liquida, di musica nel web, di Itunes, come opportunità per avvicinare i giovani all’arte dei suoni quando gli stessi ragazzi, per disaffezione all’ascolto e per interessi spesso futili e superficiali proposti dai social network, preferiscono magari una inverosimile “missione bellica” sul pianeta che non c’è ad un invito a vivere un momento impegnato come un concerto serio!
Mi chiedo se potremo mai recuperare i giovani alla musica bella e portarli con consapevolezza a diventare pubblico ideale per i concerti del domani; credo che ci riusciremo quando si penserà a proporre nella scuola dell’infanzia, elementare, media e superiore concerti da far eseguire a quella minoranza di giovani che si diplomano annualmente nei conservatori, raccomandando loro di dare a ognuno dei concerti una simpatica chiave di lettura per tenere alta la concentrazione del difficile uditorio. Si potrebbe creare una graduatoria per giovani laureati in musica, stipendiati come tutti gli altri insegnanti, che potrebbero realizzare (e spiegare al giovane pubblico) venti o venticinque concerti mensili.

Pur essendo pianista hai dedicato la gran parte del tuo tempo alla didattica; perché questa priorità?
Sono un insegnante che con il pianoforte e le composizioni didattiche combatte da una vita la pigrizia, la superficialità e l’impersonalità di chi non ama la musica.

Il jazz è una parte importante del tuo catalogo: come è nata questa passione?
Appartengo alla generazione degli anni settanta: ho vissuto jazz e rock e la libertà intellettuale, comportamentale e musicale legata a quel periodo. Ricordo quando a quindici anni mi recavo a lezione di pianoforte: durante i “tormentati” percorsi che mi portavano all’ulteriore soporifera lezione di solfeggio o alla detestabile “esecuzione” di stucchevoli studi czerniani, la mia testa suonava invece “The Great Gig In The Sky” dei Pink Floyd, l’Allegro barbaro di Keith Emerson o l’introduzione di Firth of fifth dei Genesis. Ricordo anche che sempre più di frequente mi ritrovavo con il mio pianoforte ad amoreggiare con fraseggi di Keith Jarret e Bill Evans. Le origini del mio lavoro sono queste, e l’ho sempre dedicato a ragazzi e bambini che avrebbero potuto chiudere per sempre il coperchio del pianoforte a causa di insegnanti troppo accademici.

Che consiglio daresti a un giovane insegnante che voglia iniziare un suo cammino didattico?
Di dare uno sguardo a tutto ciò che c’è in giro (e anche al mio percorso) per poi integrarlo con quello tradizionale dei grandi didatti del tempo passato; anche provare a comporre qualcosa di proprio per il bene della lezione.

Chi sono i didatti significativi della nostra epoca ?
Gli insegnanti che amano la loro missione, quelli che cercano di rinnovare quotidianamente la lezione di musica per appassionare il proprio allievo a un apprendimento gioioso e sorridente.