1 dicembre 2017
“Indaco” è il nuovo lavoro di Alessandro Carabelli, che celebra con questo CD trent’anni di attività; lo abbiamo intervistato.
Di Eugenio Mirti
Questo nuovo Cd celebra trent’anni della tua carriera ed è stato realizzato con una formazione sostanzialmente stabile nel tempo.
Stabile ormai da più di quindici anni; il nucleo è formato da me, Marco Conti al contrabbasso e Luciano Zadro alla chitarra; per dodici anni abbiamo avuto Stefano Bagnoli alla batteria, poi quest’anno abbiamo chiamato Maxx Furian, anche per avere delle interpretazioni diverse; e poi troviamo Flavio Boltro e Tino Tracanna che hanno completato l’organico. Flavio esprime una qualità diversa da Franco Ambrosetti, con cui abbiamo collaborato a lungo, regala un diverso approccio, e in effetti ognuno dà una impronta molto soggettiva e personale.
Come componi?
In tutti i dischi pubblicati le composizioni sono originali, con qualche piccola eccezione; in questo nuovo album ci sono quattordici tracce originali. I miei brani nascono da emozioni e sensazioni che si sviluppano spontaneamente sul pianoforte, poi in seconda stesura li perfeziono.
E come lavori agli arrangiamenti?
In genere mi piace lasciare aperto il lavoro, ci sono delle idee iniziali che nascono come una seconda o una terza voce, con un certo tipo di impostazione armonica, ma di solito lascio carta bianca; preferisco che i musicisti con cui collaboro abbiano una propria autonomia, ognuno mette le proprie colorazioni ed è un lavoro corale.
Qual è il sogno che vorresti esaudire nei prossimi trenta anni di carriera?
Già riuscire a realizzare e mettere in pratica alcuni tipi di progetto è un sogno realizzato; fare il lavoro del musicista è un bell’obiettivo. Scrivere, riuscire a produrre dischi, realizzare concerti sono attività difficili ma interessanti. Mi piacerebbe andare oltre, non mi prefiggo obiettivi specifici, semplicemente continuare su questa strada. Ogni incontro dà spinte verso nuove collaborazioni ed esperienze, ed è un work in progress continuo.
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Con tantissimi artisti, mi piacerebbe nei sogni riuscire ad avere anche solo l’opportunità di far sentire i miei lavori a personaggi come Pat Metheny, Lyle Mays, o Russel Ferrante per avere una loro opinione, o magari per vedere come vengono da loro interpretati.
I grandi personaggi sono un mondo a parte, danno tantissimo a livello umano e musicale e aprono delle porte che prima non immaginavi. Penso a quelli con cui attualmente collaboro o coloro che ho la fortuna di incontrare (incontrato), artisti come Benny Golson, Sheila Jordan, Chick Corea, Ennio Morricone, Lee Konitz e tanti altri… ognuno ha un suo mondo di colori, di interpretare la musica e vederla da angolazioni differenti. Mondi fantastici in cui è bello perdersi ed imparare.
La musica e il web: una maledizione o un regalo?
Entrambe le cose; se fosse usato bene il web sarebbe un fenomeno estremamente positivo, data la facilità di divulgazione. Una volta c’era l’idea della scoperta, si andava nei negozi di dischi, era quasi un rito. Adesso è tutto facile, e se da un lato è fantastico dall’altro viene utilizzato malissimo, si perdono il gusto e la gioia della scoperta.
Essere italiano traspare nella tua musica?
Credo che ci sia una influenza data dal posto dove vivi e dalle sonorità tipiche del paese in cui hai avuto origine; la differenza sostanziale è tra quelli che usano la musica come linguaggio e quindi trasmettono un qualcosa di proprio, e quelli che utilizzano il veicolo musicale come forma estetica. La musica si è molto globalizzata ma quello che fa la differenza è l’originalità. Noi latini abbiamo una vena romantica, e la differenza si sente nella musica mediterranea, con melodie generalmente più accentuate.
In che direzione si muoverà il jazz del futuro?
Nelle nuove leve c’è questo approccio molto muscolare, con una tecnica impressionante ma troppo spesso senza anima; quello che fa la differenza non è però la tecnica, ma è invece il messaggio musicale che vuoi condividere. Non so dove andrà il jazz del futuro e quali evoluzioni prenderà ma a volte vorrei tornasse indietro e si riappropriasse di quei valori e di quel senso spontaneo, umano e bello di fare musica.