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“Immersivity”: una rassegna proiettata al futuro. Intervista a Mario Ciampà

“Immersivity”: una rassegna proiettata al futuro. Intervista a Mario Ciampà

18 ottobre 2022

Intervistiamo Mario Ciampà, direttore artistico del Roma Jazz Festival, che si terrà dal 6 al 19 novembre presso l’Auditorium Parco della Musica, il Monk, la Casa del Jazz e il Teatro del Lido. L’edizione 2022 del festival, dal titolo “Immersivity”, mira a costruire una solida armonia tra visuale, luci, colore e musica, con l’obiettivo non solo di estendere il jazz a un pubblico più vasto, ma anche di rendere la proposta musicale sempre più fruibile per tutti.

a cura di Andrea Parente

Partiamo dal passato. Quali sono le difficoltà/sfide che hai dovuto affrontare e che affronti tuttora a causa del difficile momento che stiamo vivendo?
Dalla pandemia in poi, le difficoltà sono diventate maggiori. Tutto ciò ha inciso, ovviamente, sugli incassi, tranne in questa pausa estiva, quando la gente aveva comunque voglia di uscire e di stare all’aperto e, di conseguenza, molti festival nazionali hanno avuto buoni riscontri economici. Per questo autunno invece, con la guerra alle porte, bisognerà fare i conti con l’aumento dei costi organizzativi. Considera che tutto questo ha portato, anche, a ritardi nei finanziamenti: ad oggi, moltissime manifestazioni non hanno ancora ricevuto l’anticipazione dal FUS [Fondo Unico per lo Spettacolo]. Quindi le difficoltà da affrontare sono principalmente quelle economiche. A Roma, in particolare, dobbiamo far fronte a una difficoltà per ciò che concerne gli spazi: la nostra collaborazione con l’Auditorium Parco della Musica è ormai ventennale, e lavoriamo insieme in co-produzione; però se poi si volesse fare qualcosa di diverso, specialmente per quanto riguarda i concerti in piedi, o comunque più vicini alla musica elettronica, si potrebbero riscontrare diversi problemi, dato che, rispetto ad altre città che possiedono spazi industriali recuperati e rimodernati per l’uso, qui non ne abbiamo a disposizione. Quindi si è vincolati a organizzare concerti principalmente in teatro e, per quella che è oggi la tendenza dei giovani, questo aspetto potrebbe rappresentare un limite, visto che si riscontra un ritorno al clubbing, com’è avvenuto, ad esempio, a Londra. Questa è una delle difficoltà/sfide che ci troviamo a dover affrontare e superare spesso.

Alfa Mist

Quindi come ti stai muovendo per superare queste difficoltà?
Per quanto riguarda gli spazi, non abbiamo soluzioni pronte a stretto giro. Il problema si porrà per il prossimo anno, dal momento che quest’anno saremo un po’ penalizzati per quanto riguarda alcuni concerti che non andrebbero organizzati con il pubblico seduto in poltrona. L’aspetto positivo invece è che, a partire dall’anno in cui è scoppiata la pandemia, mi sto confrontando con la tecnologia: nel 2020 siamo stati infatti il primo festival a trasmettere per intero i concerti in streaming. In quell’occasione abbiamo iniziato a interfacciarci con l’ambito tecnologico, e credo fermamente che questo confronto debba continuare anche in futuro. Infatti da quest’anno iniziamo proprio il discorso sull’immersività.

“Immersivity” è appunto il titolo dell’edizione 2022 del Roma Jazz Festival. Che cosa significa?
Questo è solo l’inizio di un percorso; non è certamente una conclusione, o una situazione già consolidata. Se si considera che, durante la pandemia, anche i musei hanno incominciato a rendere più “immersiva”, ad esempio, una mostra, credo che anche nel mondo del jazz si possa cominciare ad affrontare il discorso di coinvolgere il pubblico anche dal punto di vista visivo. Già negli scorsi anni, abbiamo fatto diversi esperimenti sul connubio tra jazz e cinema o tra jazz e fotografia; inoltre abbiamo realizzato un confronto anche con i videogiochi, musicandone alcuni famosi creati da videomakers. Quest’anno invece inizieremo un discorso sulla “cromostesia”, ovvero, la musica associata al colore. Molte persone possiedono infatti questo dono, ovvero di poter focalizzare la musica con i colori, e credo che questo possa costituire una modalità per offrire al pubblico un’esperienza ulteriore. Quest’anno proveremo quindi a fare dei tentativi, e affronteremo sia la reazione del pubblico a questa tipologia di esperimenti, sia il confronto dei musicisti con questo tipo di tecnologia. Proporremo così degli esperimenti molto interessanti, tra cui quello di Danilo Rea e Paolo Scoppola: quest’ultimo ha creato degli algoritmi che traducono in diretta la musica di Danilo e la trasforma in immagini. In più, abbiamo in programma il progetto “Anthropocene” di Kekko Fornarelli, che ha elaborato un progetto video già strutturato, con grandi immagini che riguardano l’impatto dell’uomo sulla natura, e “5 Astronauts” degli XY Quartet, che presenterà i primi cinque astronauti andati in orbita. In più, realizzeremo diversi esperimenti con la luce. Questo appunto è il percorso che stiamo iniziando; ecco perché lo abbiamo chiamato “Immersivity”.

“Anthropocene” di Kekko Fornarelli

Raccontaci come sei riuscito a organizzare un programma così innovativo, vasto ed eterogeneo, e quali sono le emozioni che si provano una volta ultimata la programmazione.
Tutti i progetti del “Roma Jazz Festival”, anche precedenti, hanno seguito sempre un tema. Io sono un architetto e da vent’anni a questa parte, nel periodo in cui ho diretto questo festival, ho sempre cercato di individuare un tema che fosse presente nell’attualità, e di articolare il programma degli eventi sul tema prescelto. Inoltre ho sempre cercato di diversificare le proposte perché, contrariamente a quanto si pensi, il pubblico del jazz, che non è un pubblico compatto e monolitico, presenta tantissime sfumature. Così cerco sempre di cogliere tutte queste varietà per accontentare un po’ i gusti di ognuno: c’è lo zoccolo duro, per esempio, che apprezzerà concerti come quello della Mingus Big Band o dei Spyro Gyra, ma forse non sarà interessato ad “Anthropocene” o al duo composto da Danilo Rea e Paolo Scoppola, citati prima. Ogni volta che affronto un festival cerco di compiere una diversificazione, e penso che questa sia la strada migliore. Inoltre quest’anno abbiamo in programma anche la musica jazz per i bambini, con delle “fiabe jazz” pensate per loro e un’orchestra composta da soli bambini. Insomma, stiamo cercando di allargare il nostro pubblico, andando oltre l’organizzazione “mainstream”. Inoltre teniamo molto d’occhio anche gli altri festival, in particolare quelli che si svolgono al nord, i quali stanno andando molto più “a sinistra” di noi, nel senso che stanno sperimentando molto di più, arrivando, o superando, proprio i confini dell’elettronica. L’emozione principale che provo adesso è lo sconcerto [ride, ndr]. Nel senso che, una volta ultimata la programmazione di un festival, arriva il momento in cui il direttore artistico si chiede se questo festival incontrerà il desiderio del pubblico, e tale dato sarà verificato al botteghino. Pertanto questo momento è caratterizzato in particolar modo dal dubbio di non aver fatto abbastanza, di non aver fatto tutto, o di aver azzardato troppo. Quando poi si incomincia a vedere la gente che apprezza in sala, è lì che arriva la soddisfazione massima.

Spyro Gyra

Quanto è importante estendere una parte del festival anche ad altre attività artistiche, ad esempio quelle visive e/o teatrali?
In connessione con l’immersività di cui ti ho parlato prima, ritengo che sia molto importante includere in una rassegna diverse tipologie di forme artistiche. Ad esempio, per la ricorrenza dell’anniversario della nascita di Charles Mingus, abbiamo indetto un concorso per nuovi compositori e la New Talent Jazz Orchestra suonerà in prima assoluta queste nuove composizioni, in concomitanza con l’animazione dei fumetti di Mingus, scritti da Flavio Massarutto. In questo caso abbiamo affrontato ad esempio il tema della graphic novel, argomento molto vicino ai giovani e decisamente importante anche per aprirsi a un altro tipo di pubblico. Credo inoltre che sia altrettanto importante affrontare tematiche di attualità, per esempio quelle relative ai cambiamenti climatici: così la Jazz Campus Orchestra affronterà questo fondamentale tema con il progetto “Let’s Save The Planet”, e anche “Anthropocene” di Kekko Fornarelli sarà sulla stessa linea. Infine, nella programmazione di quest’anno verrà omaggiata, sempre per rimarcare temi di attualità, la figura di Pier Paolo Pasolini, uno straordinario intellettuale che all’epoca aveva previsto molti cambiamenti che si sono attuati oggi.

Mingus Big Band

Come pensi possa reagire la comunità a questo genere di iniziative?
Sinceramente mi aspetto che le persone apprezzino questo genere di iniziative. L’aspetto “visivo” dell’arte è entrato ormai dappertutto, in particolare nei cellulari e in tutti i social media; non si può vivere ogni giorno senza non “vedere” un video. Questo aspetto ha contagiato anche chi ha una certa età, non soltanto i giovani che passano gran parte della loro vita davanti a uno schermo. Quindi mi auspico che tutto ciò possa essere accettato e apprezzato da gran parte della comunità. Se poi riuscissimo a creare questa armonia tra visuale, luci, colore e musica, il risultato non potrà che essere una bella atmosfera, apprezzabile anche da parte dello “zoccolo duro” del pubblico.

Il “Roma Jazz Festival” è uno dei festival più longevi del panorama musicale italiano. Cosa cambia rispetto alla precedente edizione [“Jazz Code”]?
La precedente edizione l’ho intitolata “Jazz Code” proprio per iniziare il discorso in ambito tecnologico proiettato al futuro: come si potrebbe riuscire a “codificare” il futuro del jazz? Abbiamo utilizzato appunto un “QR code” come “apertura” nei confronti della tecnologia. Da questo tipo di ragionamento nasce l’edizione di quest’anno, dal titolo “Immersivity”: cercheremo così di rendere il jazz più accattivante, più fruibile, anche a persone che alla parola “jazz” storcono il naso, o ad altri che non lo conoscono affatto.

Danilo Rea/Paolo Scoppola

Insomma, una rassegna – quella di quest’anno – che si apre alla tecnologia, al futuro, ai giovani, ma che prevede al suo interno anche protagonisti storici del jazz italiano, ad esempio Enrico Rava, il quale si esibirà in prima assoluta con il chitarrista austriaco Christian Fennesz e il suonatore di tabla Talvin Singh.
Ci tengo molto a inserire, nella selezione, anche gruppi che fanno capo a una tradizione jazzistica importante.

Cosa ti auguri da questa 46esima edizione del “Roma Jazz Festival”?
Mi auguro che il pubblico, nonostante si avvicini il periodo autunnale, venga a riempire le sale, e che capisca il discorso che abbiamo intrapreso con questo festival. Dal punto di vista personale, invece, per me è sempre una sfida: penso che per i prossimi anni continuerò ad approfondire il discorso tecnologico, per avvicinarmi sempre di più a una tecnologia soft e friendly, capace di essere apprezzata da tutti.

Chiudiamo con il futuro. Che progetti hai per i prossimi mesi?
Sicuramente un bel po’ di riposo una volta concluso questo festival… [ride, ndr]. Questo è il mio progetto attuale, poi si penserà al resto…

INFO

www.romajazzfestival.it

www.auditorium.com/rassegna/roma_jazz_festival_2022

 

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