16 ottobre 2019
L’intervista al pianista in occasione del suo tour in Oriente
Daniele Gorgone è stato di recente in tour a Bali e Taiwan. L’abbiamo intervistato.
Di Eugenio Mirti
Come è nato il tour in oriente?
È nato tutto un anno fa dall’invito del direttore artistico dell’ Ubud Village Jazz Festival, un festival con musicisti provenienti da tutto il mondo che si svolge ogni anno ad agosto nella splendida isola di Bali in Indonesia. Gli aveva parlato di me Deborah Carter, cantante americana con cui collaboro da diversi anni e che era stata in questo festival sia come artista SIA come docente. a taiwan ho suonato invece in diversi club sparsi nella città di Taipei grazie a Min Yen Terry Hsieh, un sassofonista molto conosciuto e apprezzato nella scena jazzistica orientale
Che repertorio hai suonato? E con quali musicisti?
In Indonesia all’Ubud Jazz Festival ho suonato in trio con due musicisti indonesiani: Helmy Agustrian al contrabbasso e Imanu Najib alla batteria; il trio era a nome mio quindi abbiamo suonato un po’ di brani miei originali e qualche standard riarrangiato, mentre nei club a Taipei ero “guest” del quartetto di Terry e quindi abbiamo eseguito prevalentemente musica sua, standard e un paio di brani miei.
Cosa pensi della scena jazzistica locale?
Sono rimasto impresso dal livello dei musicisti, anche di giovane età, in Indonesia. Sapevo che a Giacarta c’e una gran fucina di giovani, ma non pensavo fino a questo punto. Durante il festival il pomeriggio e la sera si sono tenute jam session dove, oltre ai musicisti europei e americani presenti in cartellone, c’erano giovani locali davvero interessanti e con una grande passione e voglia di suonare e imparare dai colleghi più esperti. A Taipei la scena jazzistica è aiutata dalla presenza di numerosi club sparsi per la città, tutti molto belli ed eleganti, con una fitta programmazione e con pianoforte a coda e batteria sempre presenti, oltre a poter contare sulla presenza stabile di vari musicisti sia europei sia cinesi e giapponesi.
Quali esperienze ti hanno cambiato di più?
È stato un susseguirsi straordinario di esperienze musicali e umane. Ne cito tre: aver ascoltato la musica corale dei musicisti tradizionali indonesiani (che vestiti straordinari indossano sul palco!) per la schiettezza e immediatezza del messaggio musicale che comunica, pur nella sua semplicità melodico-armonica; aver condiviso il palco (suonava in trio dopo di noi) e la cena con un artista straordinario come Aaron Goldberg, e infine avere riscontrato la capacità di interagire e mettere a proprio agio musicisti asiatici e europei nella comunità jazzistica di Taipei.
In qualche modo il luogo ha influenzato il tuo playing?
Difficile dire in che misura, ma sicuramente l’ambiente, le vibrazioni che percepisci e soprattutto il diverso stile dei musicisti con cui suoni influenzano certamente il modo di suonare; in generale quando vieni a contatto con i musicisti asiatici sei spinto ad una maggiore ricerca melodica,che porta inevitabilmente a una maggiore semplificazione armonica. A volte noi europei siamo troppo cervellotici nel suonare!
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Attualmente ho diverse realtà: a novembre avremo tre giorni di concerti in Polonia nella zona di Cracovia di cui uno al JAZZ WY festival con il mio trio con Pasquale Fiore alla batteria e Marco Piccirillo al contrabbasso, con cui a breve registreremo. Questo trio ospiterà poi a dicembre per un tour italiano in sette città il trombettista slovacco Lukas Oravec, con cui stiamo costruendo un progetto con musiche originali mie e di Lukas. Un ultimo progetto a cui tengo è quello con Grant Stewart, sax tenore di NYC con cui abbiamo ormai un 4tet stabile e un tour europeo programmato per marzo prossimo, una sorta di tributo ai brani di Barry Harris.
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