10 aprile 2017
Nel corso della quarta edizione del Jazzit Fest tenutasi a Cumiana nel giugno 2016, lo staff di M.I.L.K. realizzò come residenza creativa uno studio di registrazione mobile all’interno del B&B gli Ulivi. Il progetto, chiamato “Homemade”, era quello di creare un album di dieci brani realizzati da dieci ensemble diversi (Anna Luglio duo, Strade, Paolo Innarella Flute Project, Simona Parrinello Trio, Small House Band, Ilaria Capalbo & Stefano Falcone, Sergio Di Gennaro Trio, Maloo, Satoyama, Filipo Cosentino), ognuno dei quali aveva un’ora di studio a disposizione. Seguii il tutto in prima persona in quanto ero impegnato attivamente a suonare la chitarra per la giovanissima vocalist Anna Luglio, ed è stato quindi un doppio piacere poter intervistare Mario Struglia in occasione dell’uscita del disco.
Di Eugenio Mirti
Iniziamo raccontando che cos’è M.I.L.K. – Mind In A Lovely Karma.
Nasce nel 2012 a Roma da un’idea mia, di Alberto Rossetto e Francesco Wolf; è una società di produzione e post-produzione di contenuti multimediali, essenzialmente registrazioni audio e video. I progetti che ci interessano infatti sono per loro definizione multimediali: per esempio un disco include la registrazione audio, i video relativi, la comunicazione fisica e digitale. Nella storia dell’industria discografica il processo è sempre stato simile, ma in questo momento di crisi è ancora più importante affrontarlo in maniera organica e completa. Quindi siamo nati per lavorare alla visione di insieme e progettuale, in maniera da dare una maggiore identità al prodotto che così diventa più visibile e può arrivare più facilmente al suo pubblico.
Come nasce il progetto “Homemade”?
Abbiamo partecipato a tutti i Jazzit Fest a partire dalla seconda edizione, perché abbiamo subito sposato l’idea del progetto, assolutamente coerente con la nostra idea produttiva; soprattutto abbiamo apprezzato la carica innovativa e propositiva data dal presentare e realizzare in tempi difficili idee che smuovano un po’ la situazione. Ogni anno abbiamo così organizzato una residenza creativa che incarna lo spirito della nostra attività, realizzando uno studio mobile a casa di un abitante del paese ospitante il festival. Nel corso del tempo il progetto si è evoluto: nella prima edizione si è creato un EP per ogni artista, nella seconda abbiamo parallelamente creato una pagina web dedicata all’EP, nel 2016 seguendo la nostra mission che sintetizzo in “Make Art Possible” ci siamo chiesti: che cos’è che tutti gli artisti vorrebbero ma non riescono a ottenere se non hanno alle spalle la produzione di una major? A nostro avviso questo qualcosa è arrivare all’estero, ottenendo pubblico e visibilità, così abbiamo ideato appunto “Homemade”.
Come l’avete strutturato?
Abbiamo suddiviso il lavoro in questo modo: M.I.L.K: ha ideato il progetto e ha curato la parte di registrazione e produzione audio, artwork, la distribuzione e la costruzione di un sito dedicato. Abbiamo poi acquistato un banner sulla homepage di Downbeat, che rimarrà per tutto il mese di aprile, e gli artisti partecipanti se ne sono suddivisi il costo. Il banner punta sul sito, con informazioni, fotografie e ascolti di tutti gli artisti coinvolti.
Quali sono i vantaggi di questo modus operandi?
Essenzialmente il vantaggio deriva dal saper sfruttare la creazione artistica come volano per altre risorse; in questo caso non siamo interessati più di tanto a vendere il disco, quanto ad avere un elemento di visibilità internazionale che nessuno degli elementi coinvolti avrebbe potuto ragionevolmente ottenere da solo.