26 aprile 2018
Si intitola Graft il nuovo album dei Thiefs, pubblicato dall’etichetta francese Jazz&People; abbiamo intervistato Keith Witty e Christophe Panzani.
Di Eugenio Mirti
Il nome del gruppo (Thiefs significa ladri in inglese, NdR) è legato in qualche modo alle vostre attitudini musicali?
Come disse Picasso una volta: i bravi artisti copiano, quelli grandi rubano. Anche se il nome in realtà inizialmente è nato per uno scherzo, risponderemmo affermativamente alla domanda: arriviamo dalla cultura dei campioni, dove si prende a prestito qualsiasi suono serva a creare. Individualmente suoniamo musiche diverse (jazz, hip hop, africana, classica, rock, elettronica), senza elencare qui tutte le musiche che amiamo ascoltare e che abbiamo assorbito. Non c’è creatività nel vuoto, ogni cosa arriva da qualcos’altro. Per noi è diventato un imperativo artistico, profondamente collegato con il concetto dell’album Graft. Veniamo da qualche luogo, arriviamo in qualche posto nuovo, e diventiamo una sintesi di tutti gli elementi.
La vostra musica è un grande mix di stili diversi; come avete lavorato a questo sound?
Thiefs è un progetto nato con il principio che siamo liberi al cento per cento di creare quello che sentiamo nelle nostre menti e cuori, a prescindere dallo stile. La musica ci dice dove andare, e noi proviamo a seguirla.
Come scrivete i brani?
Questo ultimo disco è nato da una residenza che abbiamo fatto all’Arsenal di Metz. Avevamo elaborato un canovaccio di quello che volevamo esprimere, sufficiente per assemblare la band per il progetto, che si era allargata rispetto al trio originale. Lavorammo indipendentemente dai lati opposti dell’oceano, scambiando idee, incoraggiamenti e critiche, e in seguito presentammo il tutto alla band in modo da fargli prendere forma. Lavorare con cantanti che sono artisti e creativi ha significato che noi, come compositori, non avremmo potuto anticipare la direzione finale della musica. Volevamo anche raccogliere la sfida di comporre in maniera differente per questo progetto e uscire dalle convenzioni. Alcuni brani sono nati solo come beat, come delle radici di una pianta, da cui si sono sviluppate poi melodie, armonie, e variazioni.
Su Graft ci sono cinque cantanti diversi; come li avete scelti?
Questo album si focalizza sui concetti di identità, dell’altro e dell’esperienza dei migranti, sapevamo dunque che sarebbe dovuto essere multilingue, con il francese e l’inglese in ruoli di parità. Volevamo un mix di agilità ritmica e fluidità poetica che non è facile da trovare. Gaël Faye e Edgar Sekloka (francesi) sono veri poeti e scrittori (entrambi romanzieri, il primo libro di Gaël Petit Pays ha avuto grandissimo successo in Francia). Mike Ladd è tra le voci più personali e teatrali nella musica contemporanea, un improvvisatore molto dotato. Nel suo ruolo di poeta americano residente in Francia era perfetto per il progetto. Guillermo E. Brown era il batterista originale dei Thiefs, prima di trasferirsi a Los Angeles e diventare il batterista del Late Show con James Corden. La sua voce è parte del sound dei Thiefs, così l’abbiamo coinvolto. E Grey Santiago… è un fantasma; ha trovato la strada verso la musica mentre nessuno guardava, come un vapore inodore che passa da una finestra aperta. Un po’ di mistero ci vuole sempre.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Tra il nostro primo disco e il secondo sono passati cinque anni; vorremmo fare uscire il terzo nel 2019, per il quale abbiamo già composto e suonato una parte della musica.