Nome e cognome: Federico Bagnasco.
Data e luogo di nascita: Genova, 11 gennaio 1979.
Strumento: Contrabbasso (prevalentemente!).
Web: www.federicobagnasco.com www.facebook.com/letramedellegno
Che caratteristiche specifiche ha la tua attività professionale?
Non dissimile dal mestiere più antico del mondo, a disposizione insomma di chi mi vuole, prevalentemente come esecutore, più raramente come arrangiatore/compositore. Quando riesco tento qualche esperienza più personale. Sono musicalmente onnivoro e cerco di essere particolarmente eclettico e poliedrico.
Come si distingue il tuo lavoro dagli altri?
Mi interessa molto lavorare sul suono, come elemento principale su cui costruire impalcature sonore, e sulla “retorica” musicale e la narrazione, prescindendo il più possibile da confini di genere, con un discreto azzardo nel contaminare le idee.
Come è cambiato il tuo mestiere, davanti ai tuoi occhi, nel corso degli anni?
Meno lavoro e meno pagato, in sintesi. Personalmente ne ho approfittato per far crescere la mia esperienza, giacché avevo tempo, energie e qualche soldo da investire. Inoltre è un po’ diminuita la mia voglia di esibirmi in concerto. Ma ciò riguarda me specificamente, invece il mestiere del musicista, in generale, è diventato sempre più “a rischio”.
Quali obiettivi sociali, culturali e artistici ti sei posto?
Fare ciò che mi procura soddisfazione, continuare a studiare, approfondire ciò che conosco e farmi incuriosire da ciò che non conosco, stimolare con discrezione il senso critico e l’attenzione a un ascolto consapevole della musica.
Come gestisci la tua carriera? Hai un team che ti affianca o sei da solo?
Ufficialmente da solo, ufficiosamente ho qualche amico che mi può essere d’aiuto o con cui condividere idee e progetti.
Quali problemi hai riscontrato nel corso della tua carriera? Che cosa ti piace di più del tuo mestiere, e cosa di meno?
La precarietà e l’instabilità economica sono i grossi problemi con cui quasi tutti i musicisti attualmente si scontrano. Mi piacciono tante cose: diversi colleghi amici che ho la fortuna di frequentare, lo stato di sospensione “fuori dal tempo” che si crea in alcune situazione musicali, l’energia e l’entusiasmo, la possibilità di relazionarsi con altri esseri umani in una “modalità non verbale”, il senso di gioco insito in tutto ciò, e tanto tanto altro. Le cose che meno mi piacciono sono alcune situazioni meno gratificanti artisticamente, nelle può ogni tanto capitare di ritrovarsi, le moltissime difficoltà organizzative e tutto ciò che ruota intorno alla “promozione di sé”.
Come ti poni davanti al mercato internazionale? Lo consideri un’opportunità rilevante? Come ti stai muovendo? Hai già avuto esperienze positive? Quanto incide, nella tua economia, il mercato internazionale?
Tuttalpiù mi può capitare di suonare all’estero, perché coinvolto in progetti che girano anche fuori dall’Italia. Ma non ho esperienza di questo tipo relativa a miei progetti personali, o quantomeno non ancora. Posso dire che all’estero mediamente l’esperienza musicale è, o sembra, assai più gratificante.
Parallelamente alla tua attività artistica ne affianchi anche altre [promoter, direttore artistic, booking agency, didattica, autore di libri-metodi didattici]?
Sono professore di contrabbasso, precario per ora, presso il liceo musicale di Torino. Occasionalmente posso avere qualche ruolo come direzione artistica di piccoli eventi o come autore di qualche pubblicazione, ma ciò è assolutamente marginale nel mio lavoro.
Dedichi tempo, professionalmente, ai social? E se sì, quanto tempo e su quali social (Facebook, Twitter, Instagram)? Quanto pensi siano rilevanti ai fini della tua notorietà e della tua professione? Hai una pagina personale/privata e una artistica/pubblica? Come gestisci la tua comunicazione all’esterno? Fai attenzione a non parlare di politica, calcio, vita privata oppure ti senti libero di scegliere linguaggi e argomenti?
Sì, Facebook. Ho un mio profilo e una pagina pubblica dedicata al mio progetto “Le Trame del Legno”. Per quel poco che ho capito, la notorietà, o anche più semplicemente la promozione artistica, ha uno stretto legame, e direttamente proporzionale, con l’investimento che un artista fa con un buon ufficio stampa, tutto il resto è roba di poco conto, seppur magari già sufficiente a creare una piccola nicchia di persone interessate al progetto. Di Facebook cerco di farne un uso moderato sentendomi anche libero di parlare di tutto, ma poco o nulla del mio privato, per una mia forma di timidezza e discrezione.
Che strategia adotti per promuovere la tua attività? Cerchi di instaurare rapporti diretti con giornalisti, promoter, discografici, manager, etc?
Non sono un buon stratega su queste cose. Mi invento strategie molto elementari: facebook, inviare mail, telefonate, chiedere qualche consiglio o referenze. Circa il fatto di instaurare e mantenere rapporti diretti con le persone “del settore”: ogni tanto cerco, ci provo, dovrei farlo di più, ma non so quanto ritenermi abile in ciò.
Cosa ne pensi della promozione artistica applicata ai video? Investi risorse nella realizzazione di teaser, videoclip, riprese live? Hai un tuo canale youtube?
Ho un canale youtube e ho investito in video di vario tipo (anche su altri canali youtube o sulle pagine facebook), credo che questo sia il canale di comunicazione attualmente fondamentale, ma con tutti i limiti che possono avere i video autoprodotti.
Quanto tempo dedichi all’aggiornamento del tuo web? Lo ritieni ancora uno strumento valido?
-Ho un sito in perenne stato di lavori in corso, sono un disastro…! Lo ritengo comunque uno strumento valido, un po’ come un biglietto da visita per chi vuole sapere chi sei e cosa fai.
In che stato economico versa il jazz italiano, dal tuo punto di vista? Cosa funziona, e cosa non funziona?
– Non credo di saper rispondere adeguatamente. Mi sembra sia abbastanza in crisi, un po’ come tutto ciò che concerne la cultura da un po’ di tempo a questa parte, in tutto il paese.
Cosa ne pensi di ciò che sta accadendo nella discografia? Ha ancora senso parlare di CD?
Ha sempre meno senso. I giovani, che un tempo rappresentavano la spinta propulsiva del mercato discografico, oggi praticamente non ne acquistano, e i nuovi impianti stereo, come leautoradio, spesso non ne contemplano l’uso. Decisamente è cambiato il modo di fruire della musica riprodotta. Il CD rimane ancora l’oggetto, quasi un feticcio, o semplicemente il riferimento convenzionale per raggruppare l’esperienza, il progetto di un musicista (e la vendita di file digitali, d’altra parte, è poca cosa, un mercato assai ridotto rispetto alla discografia di un tempo). A me spiace perché mi trovo molto a mio agio nel creare un lavoro, un’opera, che permanga, che consenta ritocchi e cura di dettagli, come un pittore fa con un quadro, o un regista con un film. Poiché dal punto di vista del mercato è oramai un’operazione praticamente in perdita, quantomeno è più facile che la creazione di un album sia dettata da un sincero desiderio di produzione artistica e di comunicare qualcosa. Sta cambiando un’epoca. Per farsi conoscere o anche solo per trovare un canale di comunicazione anche empatica con l’utenza oramai è sicuramente più efficace un video ben fatto, da far girare on line, di un CD (per guadagnare invece, beh, bisogna contare sul live, con tutti i problemi che sopra evidenziavo).
Hai dei modelli specifici che riconosci “di qualità” non tanto sul fronte artistico ma su quello del music business?
No
Come ti poni davanti ai finanziamenti pubblici dirottati ai festival? Pensi siano utili? Pensi che siano un ‘doping’ ai danni dei contribuenti oppure di fondamentale importanza sociale e culturale? Cosa significa secondo te ‘investimento pubblico in cultura’?
Più che utili, li ritengo fondamentali, se si vuole davvero far crescere “culturalmente” un paese. Così come i finanziamenti alla scuola pubblica (o qualcuno può forse considerare un doping a danno dei contribuenti il finanziamento della scuola? Oltretutto un doping tanto maggiore perché lo studio scolastico è parzialmente obbligatorio?). E se poi vogliamo essere coerenti con i valori condivisi come comunità, la nostra costituzione parla chiaramente di “promuovere lo sviluppo della cultura”. Così come è utopico e ingenuo pensare che le grandi operazioni artistiche, ma anche quelle medie o piccole, possano sopravvivere solo con “la bigliettazione”, l’utenza diretta (si tratti di un festival o una stagione di concerti, di teatro o di attività artistiche legate alle arti visive o plastiche, o cinema, o altro), è difficile anche contemplare l’idea che il “privato”, lo sponsor, come un committente mecenate rinascimentale, possa compensare. Rimarrebbero in vita pochissime realtà grandi, private, e solo realtà estremamente piccole, da locale o teatro autogestito, e potremmo scordarci non solo il melodramma, ma anche il concerto del jazzista importante americano, per esempio. Certamente si può discutere di quantità (ma teniamo presente che l’Italia investe in cultura, molto meno rispetto agli altri paesi europei), o di distribuzione differente di questi investimenti in cultura; ma il discorso si farebbe complesso. Secondo me investimento in cultura vuol dire: dare la possibilità al cittadino di entrare in contatto con un patrimonio artistico qualitativamente rilevante; e se poi il singolo cittadino preferirà comunque il talent-show, pazienza, altri ne godranno, ma negargli tale possibilità sarebbe assai peggio.
Ritieni che un musicista abbia anche un ruolo sociale, oltreché artistico? E se sì, in quale direzione?
Il ruolo di un musicista su un piano sociale è faccenda personale, cambia da artista a artista, anche se chiunque si espone pubblicamente assume in sé un qualche ruolo sociale. E se poi qualcuno si trova a disporre di un seguito, se diventa un vip insomma, sa che il suo parere può forse essere influente e può virtuosamente (o indegnamente) comportarsi di conseguenza. Io credo che un musicista possa sentirsi in dovere di avere un rapporto di empatia con il pubblico, e in questo senso, essere un animale sociale che stimola alla socialità, allo scambio, al confronto, al pensiero. E infine penso che qualsiasi lavoro, che consenta un rapporto con l’altro (e quale d’altra parte non lo consente?), possa essere responsabilizzato di un ruolo sociale: tutti noi nel nostro lavoro possiamo essere un esempio verso altri, e se ci preoccupiamo di essere un esempio valido, da seguire, stiamo facendoci carico di un importante ruolo sociale.
Se tu avessi un ruolo politico rilevante, quali interventi adotteresti per migliorare la cultura e il music business specificatamente relativo alla musica jazz?
Mi preoccuperei di una quanto migliore politica di investimenti pubblici in iniziative culturali (e quindi anche legati al jazz), ma ancora di più mi preoccuperei di investire nella scuola e nella divulgazione, per far crescere l’interesse e la curiosità. Inoltre agevolerei fiscalmente gli investimenti in cultura da parte dei privati (come mi dicono accade in altri paesi). Su qualcosa di molto specifico sul jazz, non saprei rispondere.
Se tu avessi un ruolo manageriale rilevante [promoter, discografico, editore, manager, etc] in questo ambiente, come ti comporteresti?
Non ne ho la minima idea, probabilmente fallirei e mi sentirei molto frustrato! Anche perché punterei esclusivamente su ciò che potrei ritenere di qualità, sfuggendo a logiche di mercato, di marketing, di conoscenze, di guadagni… un fallimento annunciato insomma!
Come ti vedi, professionalmente parlando, tra dieci anni?
Con una stabilità nell’insegnamento a scuola (ma sempre part-time per poter continuare a fare il musicista), meno concerti in giro ma soddisfacenti, un bel po’ di progetti di varia natura sfornati e da sfornare. Mi va di essere ottimista, insomma.