29 dicembre 2017
Nel breve volgere di un anno l’etichetta Da Vinci è diventata una fucina di talenti, con oltre cento produzioni all’attivo; ne abbiamo intervistato il fondatore, Edmondo Filippini.
Di Eugenio Mirti
Quest’anno avete superato le cento produzioni.
In realtà siamo arrivati a 120; sono circa dodici CD al mese, e credo che entro il prossimo anno arriveremo a 250 – 300 titoli in catalogo.
In un solo anno avete equiparato le produzioni di grandi etichette.
Ho costruito, soprattutto grazie ad artisti e ufficio stampa, un grande lavoro; una volta lessi che la Brilliant pubblica 150 dischi all’anno, e credo che il loro staff sia formato più o meno da sei o sette persone. Li ho equiparati e conto di mantenere lo stesso livello, da solo.
Da solo per scelta o necessità?
Per scelta: spesso delegare vuol dire rifare il lavoro da capo; inoltre il fattore economico ha il suo peso, in questo momento l’unico costo del lavoro è il mio. Mi piacerebbe in futuro geolocalizzare i dischi meglio: alcuni lavori sono più indicati per alcuni paesi.
Come definiresti Da Vinci?
Doveva essere solo Da Vinci, poi si è divisa in classic e jazz, ma nella mia visione il jazz appartiene alla stessa esperienza della musica classica, una evoluzione della musica del ‘900. Più persone mi hanno consigliato poi di diversificare per motivi di marketing, ma per me sono la stessa cosa.
Come mantieni il livello qualitativo?
Semplice: la prima cosa è la disciplina, avere una scheda molto chiara delle uscite programmate con mesi e a volte anni di anticipo; per esempio il calendario del 2018 è sostanzialmente pronto. Avere una buona distribuzione è fondamentale, e nel mio caso si tratta di Egea; infine avere un contatto diretto con i giornalisti, i critici, i blogger, gli influencer.
Da qui a dieci anni cosa vorresti realizzare?
Essere riconosciuto come una etichetta indipendente che ha titoli di valore.