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Goodbye
David Baker

Goodbye </br>David Baker

«I believe without exception that theory follows practice. Whenever there is a conflict between theory and practice, theory is wrong. As far as I’m concerned, we make theories for what people have done.» David Baker

Si è spento sabato 26 marzo all’età di 84 anni nella sua casa a Bloomington, Indiana, il maestro David Baker.
Personaggio straordinario ed eclettico, è stato in ordine sparso: tra i più grandi didatti del XX secolo, trombonista del sestetto di George Russell, violoncellista, compositore. Una figura emblematica, nel mio pantheon personale sicuramente collocato ai livelli più alti. Un mio sogno nel cassetto sarebbe sempre stato quello di andare a intervistarlo per Jazzit e con questa scusa conoscere così uno dei miei idoli di sempre; come molti dei miei sogni, sarà per la prossima vita.
Iniziai a studiare seriamente jazz quando la rete ancora non c’era. Pur vivendo in una grande città trovare i materiali era molto difficile; reperire il Real Book o i metodi Aebersold era infatti impervio. Ricordo ancora quando il mio maestro storico, Luigi Tessarollo, andò in USA per un tour a Boston. Tornò con una copia per me della quinta edizione di A Modern Method For Jazz Improvisation di Jamey Aebersold (grazie Luigi!), un classico della didattica americana degli anni 70. Indovinate dove aveva studiato il buon Aebersold? Era naturalmente un allievo di Baker, che insegnava nell’università dell’Indiana, che grazie a lui si è sempre imposta come uno dei massimi poli mondiali della didattica  jazz.
Spulciando la bibliografia del metodo di Aebersold e grazie a un’amica americana ebbi la fortuna di poter poi mettere le zampe su due libri che cambiarono drasticamente la mia avventura musicale: How to play Bebop 1-2-3 e A new approach to ear training for jazz musicians, entrambi firmati da Baker. Soprattutto quest’ultimo è un geniale lavoro che consiglierei a tutti, studenti e ascoltatori di musica, se si vuole capire da un lato come si realizza una didattica di altissimo livello, dall’altro che strumento incredibile possono essere le nostre orecchie.

Mi sono sempre chiesto come facesse Baker in una giornata di 24 ore a realizzare tutto quello che ha fatto: scrittore di opere, sinfonie, trombonista, violoncellista, educatore, didatta, padre e marito. Insomma, un uomo inarrestabile e curioso. Mi ha sempre molto colpito che nella sua personale vita artistica, dopo aver suonato il trombone con il sestetto di Russell (una delle formazioni intellettualmente -e non solo- più eccitanti della storia del jazz) e aver analizzato e teorizzato buona parte della storia del jazz, si dedicò negli anni della maturità al violoncello e alla musica classica e contemporanea, quasi a voler annullare le differenze stilistiche che presumibilmente nella sua visione erano inutili.

In sintesi: una mente libera e fervida. So long, Mr. Baker.