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Daniele Truocchio</br>We Are The Future </br>Reportage

Daniele Truocchio
We Are The Future
Reportage

Daniele Truocchio è un giovane studente che si è trasferito nell’Agosto 2014  a Boston per frequentare il Berklee College of Music, dove nel Maggio 2017 conseguirà una laurea in Film Scoring. Agli inizi dell’estate 2016 venne contattato dall’organizzazione di SOAR (Scout Outdoor Adventure on the River), evento promosso dall’associazione Boy Scout of America che lo scorso 8 e 9 Ottobre 2016 ha ospitato più di 6000 teenagers nel parco Christian Herter. Gli abbiamo chiesto di raccontarci l’esperienza.

Di Daniele Truocchio

Inizialmente mi era stato chiesto di esibirmi in concerto con la mia band, ma da subito capii che avremmo potuto sfruttare maggiormente il palco messo a nostra disposizione e creare molte più opportunità di quelle che  erano state previste: così iniziò pian piano la mia avventura come Direttore Artistico di SOAR 2016.

Un evento di questa portata, organizzato in un parco pubblico e rivolto a bambini e ragazzi di età compresa tra i 10 e i 17 anni, necessita di un’estrema pianificazione logistica e di molto lavoro; in effetti i diversi team di manager, ingegneri, equipe medici, etc., erano all’opera già da svariati mesi. Al mio arrivo era necessario però sviluppare un programma di intrattenimento per sfruttare il palco, programma che era stato momentaneamente lasciato in sospeso e che inizialmente era limitato a una o due performance.

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Lavorando molto, studiando i momenti vuoti da riempire e ragionando con i direttori, riuscii a ricavare circa quindici ore da dedicare a momenti musicali. Per utilizzare queste ore di musica per realizzare qualcosa di buono per le migliaia di ragazzini che avrebbero partecipato all’evento, decisi quindi con una certa testardaggine e caparbietà che ogni band (selezionata dopo un lungo processo di ricerca) sarebbe stata portavoce di un messaggio di positività volto a rivoluzionare ed incoraggiare questo giovane pubblico, offrendogli nuovi spunti di riflessione e testimoniando magari nuove strade da percorrere durante l’adolescenza. Avendo deciso di andare oltre la semplice organizzazione di una performance e puntando a qualcosa di “diverso”, il processo si rivelò complicato; oggi non si è più abituati a fare musica con l’obiettivo di raggiungere uno scopo o arrivare a qualcuno, nella maggior parte dei casi uno show è semplicemente “uno show” e niente di più (per svariate ragioni o molto semplicemente perché il progresso tende a farci dimenticare l’autenticità e le motivazioni per cui pratichiamo l’Arte, ma a tutto c’è rimedio!).

Seguendo queste linee guida decisi infine di raggruppare tutte le performance nella “We Are The Future Concert Series” per lanciare un messaggio chiaro, preciso ed inequivocabile: il futuro siamo noi, e  non esistono altre scuse. (We Are The Future tra l’altro è lo stesso titolo che  Quincy Jones diede al concerto di beneficenza che organizzò a Roma nel 2007).

Durante l’estate, riunendomi settimanalmente con il team direttivo, nacque l’idea di creare una band che fosse rappresentante musicale dell’evento. Essendomi stata data piena libertà, avrei potuto scegliere qualsiasi tipologia di ensemble; deciso a non seguire alcun tipo di percorso convenzionale pensai di dar vita alla “We Are the Future Big Band”: una pazzia di cui devo probabilmente ringraziare Massimo Nunzi che insieme alla sua “Orchestra Operaia” mi diede modo di scoprire il fascino della big band.

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Dopo giorni di studio, dopo aver ascoltato tutti gli album delle big band di Count Basie, Duke Ellington, Quincy Jones, Stan Kenton, Buddy Rich, James Brown, etc., giunsi a conoscenza tramite Youtube della WDR Big Band diretta da Michael Abene con Maceo Parker come leader. Me ne innamorai completamente, e la ascoltai per settimane intere: conoscevo a memoria l’intero show!
Per continuare sull’onda delle follie, su consiglio di un amico, pensai di contattare Abene per chiedergli l’autorizzazione di trascrivere i suoi arrangiamenti ed inserirne alcuni nello show di SOAR con la nostra big band. Dopo pochissimi giorni ricevetti una sua chiamata a seguito della quale, con entusiasmo e genuinità, mi donò gli arrangiamenti originali di “A Tribute to Ray Charles” uno show dedicato a Ray Charles scritto per Maceo Parker.

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Penso possiate immaginare come da quel momento in poi la situazione si sia evoluta, migliorando ulteriormente.
 Ero eccitatissimo all’idea di questa nuova esperienza, specialmente perché avrei potuto imparare “facendo” e non solamente studiando sui libri. A tre mesi dall’evento fissai sei prove con la big band (che avevo appena finito di mettere insieme), e dopo aver preparato e stampato tutte le parti  iniziai a dedicare ogni secondo libero allo studio delle partiture che avrei poi dovuto condurre davanti a diciannove musicisti, tutti con molta più esperienza di me.

La cosa che mi rende più felice è che abbiamo realizzato quindici ore di musica e non quindici ore di futile intrattenimento. La soddisfazione è data dal fatto di essere riusciti a promuovere la musica anche come un mezzo attraverso il quale tutti i ragazzi presenti potranno creare e fissare dei ricordi ad una memoria che li accompagnerà per tutta la vita.

Sono sicuro ci sono migliaia di artisti che seguono questa linea di pensiero positiva e speranzosa e, ora dobbiamo solamente fare gruppo e mettere in pratica quello che abbiamo per quello in cui crediamo!

Dopo questo lungo racconto  voglio rivolgere una domanda anche un po’ provocatoria a chiunque stia leggendo, specialmente ai giovani musicisti:

secondo te/voi musicisti come Wynton Marsalis o Christian McBride arrivano a promuovere il Jazz alla Casa Bianca davanti a milioni di persone solo ed esclusivamente grazie ai loro immensi (e fuori discussione) talenti o perché si trovano in America e non in Italia? Oppure hanno capito qualcosa in più di chi ha la presunzione di voler far conoscere la musica di qualità (di qualsiasi genere sia) seduti a casa sul divano, aspettando che un aeroplano la lanci dal cielo facendola conoscere e piacere a tutti?

Per ripeterlo ancora una volta: we are the future!

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