7 gennaio 2018
In occasione dell’uscita dell’album “Correspondances – The Narrative Sessions Vol.1”, edito dall’etichetta discografica ‘Setola di Maiale’, intervistiamo il pianista Federico Gerini e il batterista e percussionista Massimiliano Furia
di Luciano Vanni
Raccontateci come e quando avete deciso di dedicare la vostra vita alla musica e quali sono stati i vostri primi riferimenti espressivi.
F.: Ho iniziato a studiare pianoforte classico a nove anni, diplomandomi in Conservatorio quando ne avevo ventidue. Parallelamente ho coltivato la passione per il rock e il jazz suonando a partire dai quattordici anni in varie band, con le quali ci dedicavamo sia alla realizzazione di cover di pezzi celebri che all’esecuzione di brani originali. Oltre alla musica classica, la mia formazione musicale è radicata nel prog, nel jazz e nella fusion. Ho poi approfondito lo studio e la conoscenza dell’opera lirica, lavorando per anni come maestro collaboratore in ambito teatrale. Ho deciso di dedicarmi totalmente alla musica, sia come esecutore che come docente a venticinque anni, dopo la laurea in legge, che ovviamente ho appeso alla parete della mia camera. Da alcuni anni mi dedico alla pratica dell’improvvisazione libera. I miei pianisti di riferimento sono mutati nel tempo e sarebbero veramente troppi da elencare. Ne cito alcuni: Evans, Jarrett, Corea, Hancock, Petrucciani, Mehldau, Bley, Hersch, Battaglia. Fra i compositori classici amo molto Chopin, Schubert, Schumann, Debussy, Ravel, Puccini, Prokofiev, Gershwin.
M.: Suono la batteria da quando avevo dodici anni, età in cui eseguivo i brani rock dell’epoca. Ho sempre studiato come autodidatta e solo a venticinque anni ho preso le prime lezioni di strumento. Ho suonato in ambito rock e pop fino al 2004, quando ho avuto una folgorazione per il jazz di John Coltrane e Miles Davis. Nel 2011 ho preso parte ai laboratori di alto perfezionamento di Stefano Battaglia a Siena Jazz e da allora mi occupo esclusivamente di musica improvvisata. Pensando ai miei riferimenti mi vengono in mente Elvin Jones, Coltrane, Jarrett, DeJohnette, Motian, Bley e, negli ultimi anni, la musica contemporanea nel suo insieme.
Parlateci della vostra idea di musica e di cosa volete proporre al vostro pubblico.
F.: Mi ritengo molto fortunato nel potermi dedicare totalmente alla musica, che sento come un mare magnum infinito di ricerca, emozioni, scoperte, autoterapia, nel quale perdermi e potermi ritrovare, di volta in volta, rinnovando piuttosto un’idea di meraviglia, e condividendo tutto ciò con i musicisti con i quali suono e, possibilmente, con il pubblico. Suonare è sia un piacere intellettuale che soprattutto fisico, e per quanto riguarda in modo specifico l’improvvisazione libera, il brivido di poter trovare l’ignoto dietro l’angolo. Per quanto concerne la produzione discografica, vorrei far conoscere i risultati della mia attività creativa, dei quali sono pienamente convinto, e che sento possano rappresentarmi in ciascuna delle fasi della mia vita; per quello che attiene invece ai concerti dal vivo, cerco di comunicare a un livello profondo con gli altri musicisti, creando una base empatica con il pubblico.
M.: Ciò che penso quando mi metto davanti allo strumento è cercare di essere me stesso il più possibile e di farmi attraversare dalla musica, assecondandone il proprio flusso. Penso sia la cosa più complessa, ma l’unica in grado di far arrivare al pubblico la mia vera voce, il mio vero essere. Quando ciò accade mi pervade un senso di pace interiore, un qualcosa di speciale.
F.: Condivido totalmente. E vorrei citare a proposito le parole di Stefano Battaglia:«Ogni concerto ha bisogno di un circuito completo fra il performer e il pubblico […]. Quando le persone e il performer sono nella stessa stanza non c’è differenza tra ascoltare e suonare. […] La partecipazione silenziosa del pubblico ha qualcosa a che fare con la creazione, è una parte dell’atto creativo. Il silenzio è una forza trainante, una parte fortemente attiva del suono della sala […]».
Che valore ha realizzare una nuova produzione discografica? E per voi ha ancora senso incidere un CD oggi?
F.: In senso simbolico incidere un disco credo continui a significare sempre la stessa cosa e per questo ad avere assolutamente un senso, ovvero quello di fermare un istante, un periodo, rendere merito a uno sforzo creativo, dare testimonianza di un’identità e condividerla all’esterno, aprendola agli innumerevoli esiti che potrebbe avere nel momento in cui incontrerà il pubblico. Dal punto di vista economico e di mercato dipende dall’ambito in cui ti muovi, da quanta strada hai fatto e da quanta ancora ambisci a farne. Per me rappresenta un investimento in termini economici e di energie, che da una parte mi ripaga di quello che ho fatto e mi consente di avere un supporto per promuovermi. Come tutti, sfrutto sempre di più la circolazione della musica online e quindi, in tal senso, la necessità di stampare e distribuire numerose copie fisiche non mi riguarda particolarmente. Per questo e altri motivi, con il mio nuovo progetto in trio, oof3 (www.oof3.com), che vede insieme a me e Massimiliano anche Nicola Perfetti alla chitarra elettrica, abbiamo deciso di fondare una nostra piccola etichetta, Megattera, con la quale a dicembre abbiamo pubblicato il nostro primo disco, “North”, che ci permetterà in futuro di pubblicare con più libertà e rapidità la nostra musica (compresi i numerosi live di improvvisazione, le collaborazioni anche estemporanee con altri musicisti, nonché i progetti solisti di ciascuno dei tre), controllandone tutti gli aspetti, dalla grafica, al suono, alla stampa e abbattendo così i costi. È ormai una pratica che accomuna molti musicisti, che non ripaga forse in termini di visibilità, ma che è stato per noi un esito naturale, ancorché lungamente meditato.
M.: Mi chiedo spesso che senso abbia incidere oggi un CD e la risposta che mi dò, al di là del fatto che sono ancora molto affezionato al CD fisico, è che ha la sua importanza poiché ferma un momento del tuo percorso musicale, rappresenta un progetto al quale hai lavorato tanto, un punto di partenza per altre sonorità e ulteriori ricerche. La produzione discografica deve quindi rappresentarmi in pieno, per quello che sono in quel momento. Ascolto molta musica attinta dalla rete, ma compro sempre il CD del musicista, gruppo o compositore che mi colpisce particolarmente.
Parliamo ora del vostro album “Correspondences – The Narrative Sessions Vol. 1”. Quando e come è nata l’idea di realizzarlo?
F.: Il disco “Correspondences – The Narrative Sessions Vol. 1”, uscito a giugno 2017 per l’etichetta Setola di maiale di Stefano Giust, una delle label storiche in Europa per la musica improvvisata, è una selezione di cinque brani, registrati più di due anni fa nel mio studio, durante una session, appunto totalmente improvvisata, durata tre giorni, per pianoforte acustico e batteria. Con Massimiliano ci conosciamo da quasi quindici anni, abbiamo suonato tanto insieme in contesti di jazz tradizionale e principalmente nei gruppi del trombettista Luca Cosi, con il quale ho iniziato a suonare e studiare jazz, e in seguito nel disco “La forma dei ricordi” (Dodicilune, 2013), firmato a quattro mani da me e Nicola Perfetti e inciso in quintetto con Massimiliano Rolff al contrabbasso e Stefano Guazzo ai sassofoni (e del quale sono molto orgoglioso per il fatto che sia stato ben recensito da Jazzit, addirittura con il bollino Jazzit likes it!). Massimiliano è una delle persone e dei musicisti che stimo di più in assoluto. Suonare con lui per me è un godimento enorme, e rappresenta ogni volta un’occasione di crescita e un motivo di riflessione. Lui lavora sull’improvvisazione libera non idiomatica da molto tempo più di me.
M.: Il duo nasce per caso. Avevamo deciso di vederci in trio con Paolo Monti alla chitarra, musicista che suonava e suona con Federico. La mattina in questione Paolo ha avuto un problema e non è riuscito a raggiungerci, così ci siamo trovati in duo e abbiamo deciso di suonare ugualmente, sorprendendoci fin da subito per l’intesa profonda che ci legava
F.: L’idea era di suonare, come si dice in gergo, “Tabula Rasa”, vale a dire senza nessuna idea di partenza. Abbiamo continuato così fino al momento nel quale ci siamo detti: «Ok, perché non proviamo a fermare qualcosa su disco?». Abbiamo registrato nel mio piccolo studio, sul mio mezza coda, ma grazie alla ripresa e al missaggio di Luca Cosi, credo che siamo riusciti a ottenere un ottimo suono complessivo, migliore delle aspettative. Da lì il nostro percorso di lavoro sull’improvvisazione è continuato, allargandosi alla dimensione del trio, appunto con Nicola Perfetti, poi alle esperienze con la Fonterossa Open Orchestra. Per entrambi sono stati e sono tuttora fondamentali i percorsi di studio (e per Massimiliano di collaborazione attiva, sia in studio che dal vivo) con Stefano Battaglia, e i suoi laboratori di improvvisazione a Siena Jazz. Prevediamo, come suggerisce il titolo, ci sia in futuro un “Vol. 2”.
M.: Con Federico ci conosciamo da anni, abbiamo suonato tanto insieme per un certo periodo. Ci siamo ritrovati qualche anno dopo per lavorare alla registrazione del disco “La forma dei ricordi”. Nell’occasione ha conosciuto Nicola Perfetti, con il quale abbiamo formato un trio, gli oof3. Nel frattempo io mi ero avvicinato alla musica improvvisata ma non ne ero ancora dentro al cento per cento. Più avanti, quando il mio percorso musicale ha preso una svolta netta in quella direzione, ci siamo sentiti e abbiamo stabilito di vederci per suonare insieme e visto che fin da subito il potenziale c’era tutto, abbiamo deciso nel giro di pochi mesi di incidere. Il suo studio ha un buon suono e così, coadiuvati da Luca Cosi in qualità di fonico, abbiamo realizzato il materiale che poi è confluito nel CD in questione.
Quanto è importante, per voi, trovare un equilibro tra scrittura e improvvisazione?
F.: Per quanto riguarda il disco in questione, come già detto, i brani sono stati totalmente improvvisati. In parte si distacca da ciò solo il brano conclusivo, che è basato su una melodia preesistente, Il Canto del Maggio, un motivo popolare usato in occasione della festa del Calendimaggio, che si tiene ancora oggi in diversi paesi del centro Italia, per salutare l’arrivo della primavera. E’ un piccolo frammento musicale al quale Massimiliano è molto legato e che si può trovare anche in un’altra sua registrazione fatta con Stefano Battaglia e Mirco Capecchi, “Stefano Battaglia Theatrum. Book of Songs – Vol.1” (Alessa Records). In altri miei progetti, quali il disco prima citato, “La forma dei ricordi”, o alcuni di quelli incisi con il progetto The Star Pillow (con Paolo Monti alla chitarra e all’elettronica), la scrittura era l’elemento centrale. Ma in tutti è sempre molto importante, anzi negli anni direi sempre più fondamentale, fino a diventare appunto totalizzante, la dimensione poetica, espressiva, performativa dell’improvvisazione. In questo momento ho ripreso a lavorare su alcuni brani nuovi, pensati per trio piano-contrabbasso-batteria, nei quali la scrittura sarà nuovamente presente.
M.: A me piace molto lavorare su tabula rasa. Per renderla al meglio occorre tanta esperienza e un profondo ascolto tra i musicisti. Altresì mi piace lavorare a progetti che sintetizzano la scrittura con la libera improvvisazione. Ciò rende molto strutturata l’improvvisazione stessa perché crea un contenitore ben preciso dentro al quale potersi muovere liberamente, ma non escludo che in futuro ci si possa confrontare con materiale scritto, utilizzando anche una scrittura non convenzionale, cosa che ho già fatto sempre con Stefano Battaglia al piano, Fiorenzo Bodrato al contrabbasso e Andrea Massaria alla chitarra nel CD “Bartleby The Scrivener” (Evil Rabbit Records).
Veniamo adesso alla vostra identità sonora, e alla vostra personale idea di suono e di timbro.
F.: Se mi guardo indietro, riconosco in ogni disco che ho fatto una determinata idea di suono. Ad esempio per “La forma dei ricordi” io e Nicola Perfetti volevamo avvicinarci al meraviglioso suono del disco “Luar” di Bebo Ferra, con Rita Marcotulli al pianoforte, pubblicato da Egea, disco bellissimo anche per le composizioni. Per quest’ultimo capitolo targato oof3, con dieci composizioni di Nicola, arrangiate in trio durante mesi e mesi di prove, avevamo in mente certe atmosfere nordiche stile ECM. Per il disco in questione, “Correspondences”, direi invece di no. Ciascuno ha portato in dote il proprio strumento (nel caso di Massimiliano un set molto particolare, articolato, frutto di una continua ricerca e sperimentazione sui materiali e sui timbri) e la propria identità.
M.: Ogni progetto ha bisogno di un proprio suono. La batteria con aggiunta di percussioni varie ti mette a disposizione un’orchestra intera, con tutte le frequenze possibili. Cerco sempre di assecondare i progetti producendo una sonorità idonea per ognuno di loro. Da quando mi cimento con la libera improvvisazione ho avuto la necessità di pensare non più solo come batterista ma come musicista, considerando la batteria alla stregua di una vera e propria orchestra. Ciò ti permette di lavorare con più funzioni in contemporanea. Posso essere timbrico con una parte del set e melodico con l’altra, e le combinazioni sono tante. I modelli possono essere tutti quei musicisti che vivono lo strumento come un mezzo per esprimere veramente se stessi, non limitandosi a pensarsi chitarristi piuttosto che sassofonisti o pianisti. Quindi i riferimenti vanno anche oltre il mio strumento e sono davvero tanti: Evan Parker, Paul Lytton, Christensen, per citarne alcuni.
Come cambia la vostra musica sul palco?
F.: Se si tratta di composizioni scritte, spesso, dal vivo, cerco di aprirle il più possibile agli esiti inattesi frutto dell’improvvisazione. In questo senso ogni volta lo stesso brano si può sviluppare in maniera molto diversa, e mi piace anche che gli altri musicisti si sentano liberi di interpretarli secondo la propria poetica, proponendo nuove direzioni.
M.: Dal vivo la tensione che mi crea l’essere davanti al pubblico mi fa entrare in una concentrazione profonda nella quale ogni minima variazione si percepisce in maniera netta e se ci si abbandona alla musica, è possibile riuscire davvero a magnetizzare il pubblico, e tutto questo ti ritorna indietro sotto forma di energia preziosa per la tua composizione istantanea. Quando ciò accade, sia per il gruppo che per il pubblico, si creano momenti che arricchiscono l’animo. Penso questo sia il significato profondo che mi spinge a fare musica.
Cosa ha aggiunto questo CD alla vostra carriera e come ha cambiato il corso della vostra vita artistica?
F.: Quest’ultimo lavoro discografico rinnova una collaborazione con Setola di maiale, che nel 2013 diede alle stampe altri due miei lavori, anch’essi totalmente improvvisati, con il progetto The Star Pillow, “The Beautiful Questions” e “Via del chiasso” (con Bruno Romani al sax contralto e ai flauti). L’album fotografa quindi questo mio nuovo corso dedicato in maniera più specifica alla pratica della free improvisation, che sento molto in linea con le mie corde. Negli ultimi anni, nei live, ho cercato di propormi sempre di più proprio in questa veste, sia in duo con Massimiliano o con Paolo Monti (con il quale lo scorso inverno abbiamo tra l’altro festeggiato i dieci anni del progetto “The Star Pillow”, grazie a un breve ma intensissimo tour europeo di sedici concerti in dodici giorni) che in trio con oof3. Ed è ciò che sento di voler fare anche in futuro.
M.:Innanzitutto si tratta del mio primo CD in duo, pur avendo anche un altro progetto di questo tipo, il Creative duo con Andrea Massaria alla chitarra ed effetti, con il quale saremo a breve in studio, e ciò ha dato una spinta forte alla percezione aperta del mio strumento. Inoltre mi ha fatto entrare in contatto con l’etichetta Setola di Maiale e con Stefano Giust, che ringrazio per l’enorme lavoro che svolge ogni giorno con la sua casa discografica.
Ci raccontate la più grande soddisfazione vissuta finora grazie a questo vostro CD?
F.: La prima grande soddisfazione è che nonostante la musica presente nel disco risalga ormai a più di due anni fa, continua a convincerci. Il disco ha iniziato a vivere ora, riscuotendo riscontri molto positivi e una prima bella recensione da parte di Ettore Garzia sul blog specializzato Percorsi musicali, che pensiamo abbia veramente colto nel segno, soprattutto per quel che riguarda il nostro atteggiamento.
M.: Non è per niente facile proporre dal vivo questo tipo di musica, ma rappresenta sempre un’occasione speciale, densa di attese e di energia, per mettersi alla prova, per migliorare e, in certe serate in stato di grazia, per fare esperienza di condivisione profonda non solo con i musicisti che suonano con te, e che nel mio caso sono ormai collaboratori di lunga data nonché grandi amici, ma anche con il pubblico, a cui puoi regalare un’esperienza mentale ed emotiva anche molto toccante, che ti ritorna indietro e che a sua volta ti fa vibrare e ti ispira.