11 luglio 2019
L’intervista al batterista salentino
Prodotto dalla giovane etichetta discografica GleAM Records, è uscito a giugno “Art Of The Messengers”, lo scoppiettante esordio discografico di Alex Semprevivo. Abbiamo chiesto al batterista salentino di raccontarcelo.
Di Fabio Caruso
Partiamo dall’inizio. Perché un omaggio alla musica di Art Blakey e dei Messengers?
Blakey e i suoi “Messaggeri” rappresentano le mie origini, i miei primi ascolti. Il suo drumming infuocato mi ha subito conquistato ed è stato per me una grande fonte d’ispirazione. Blakey era al tempo stesso un ottimo leader e un grande solista maestro del groove, capace di mettersi al servizio dei musicisti in qualsiasi circostanza e scoprire i migliori talenti del tempo, facendoli diventare delle leggende, come Morgan, Timmons, Hubbard, Shorter, Marsalis e molti altri. Le loro composizioni sono attualissime nonostante siano passati così tanti anni. Infine, non vi era occasione migliore che omaggiare Art Blakey proprio nel centenario della sua nascita.
Come hai selezionato i brani inseriti in scaletta?
Ho voluto riproporre alcune delle composizioni dei grandi musicisti che hanno militato nei Messengers nel corso degli anni, andando da “No Problem” di Duke Jordan a “One By One” di Shorter, passando per “Calling Miss Khadija” di Morgan.
Nel disco sei accompagnato da un nutrito organico di musicisti. Come li hai scelti?
Questo disco consolida un rapporto di collaborazione col pianista Angelo Mastronardi, nato in occasione del suo ultimo lavoro discografico “New Thing, Same Words”. Insieme abbiamo lavorato alla stesura degli arrangiamenti del mio disco. La band è composta oltre che dallo stesso Mastronardi, anche da una sezione fiati assai affidabile, formata da Andrea Perrone alla tromba, Giovanni Chirico al sax tenore e Gaetano Carrozzo al trombone. Al basso acustico c’è un solidissimo Paolo Romano; inoltre su “So Tired” si aggiunge un solo di flauto di Giorgia Santoro e su Calling Miss Khadija il minimoog di Fabrizio Martina (in arte Jolly Mare).
Uno dei punti di forza di questo lavoro sono gli arrangiamenti.
Ti ringrazio. Per “One by One” abbiamo elaborato un intro e un accompagnamento ritmico che rendono il brano quasi una bossa nova. “Calling Miss Khadija” viene eseguito in 5/4, pur conservando quella ritmica “saltellante” che lo contraddistingue nella bellissima versione originale e inserendo a un certo punto un solo di minimoog. “Wee Dot” lo abbiamo pensato con la ritmica tipica del second line New Orleans, con il coinvolgente accompagnamento del beat delle mani della sezione fiati durante il solo di piano. “Sortie” diventa un ritmo afro in 12/8, mentre per “Free for All” e “Jodi” abbiamo rispettato le versioni originali.
Perché in chiusura dell’album hai voluto inserire il remix di No Problem?
Credo che il jazz da sempre sia sinonimo di creatività e libertà, mantenendo sempre pieno rispetto della tradizione, ma guardando al futuro e a ciò che si può dare alla musica stessa. Penso al percorso artistico di alcuni grandi come Miles Davis, Joe Zawinul e tanti altri. Un remix in un disco di jazz potrebbe sembrare un po’ insolito a qualcuno ma, visto da un’ottica creativa, credo possa essere stimolante non solo per un musicista, ma anche per l’ascoltatore. Jolly Mare è un producer molto attento e pieno di idee e ha fatto un ottimo lavoro.
© Jazzit 2019