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Alessandro Galano
Eddie Henderson all’Aqva Mood
Reportage

Alessandro Galano </br>Eddie Henderson all’Aqva Mood</br> Reportage

23 marzo 2017

Ha toccato anche la Puglia il tour italiano di Eddie Henderson, uno degli ultimi decani della grande tradizione americana del jazz che, nella sua immensa carriera internazionale, ha legato il proprio nome alla fase più entusiasmante della produzione di Herbie Hancock, con cui ha spezzato il pane del successo soprattutto nei primissimi anni ’70. Nato nel 1940, trombettista e figlio d’arte – suo padre cantava Swing Low, Sweet Chariot negli Charioteers, storica ensemble gospel che trae il nome proprio dal famoso negro spiritual – cresciuto nel Bronx a pane e musica, tanto da prendere le prime lezioni all’età di nove anni da un certo Louis Armstrong, Eddie Henderson ha calcato le scene della rassegna Aqva Mood di Foggia, mercoledì 15 marzo, riscuotendo il giusto plauso dal numeroso pubblico presente.

Di Alessandro Galano; fotografie di Samuele Romano.

Una serata riuscita, nella quale il trombettista, alternandosi con l’ospite italiano Piero Odorici – entusiasmante la sua prova  – ha dato fondo al repertorio a lui più congeniale, pescando nei registri di Freddie Hubbard, Billy Cobham e, naturalmente, Herbie Hancock, senza dimenticare di omaggiare la grande tradizione, come in occasione di You Don’t Know What Love Is, suonata in versione per tromba e contrabbasso. Ad accompagnarlo, i due compatrioti Darryl Hall e Willie Jones III, rispettivamente al contrabbasso (e basso elettrico) e alla batteria: una sezione ritmica importante che si è imposta soprattutto nell’ultimo brano della serata, l’immancabile Cantaloupe Island, in cui la batteria ha dato vita ad un notevole assolo, compromesso felice di tecnica, pulizia e creatività.

Al termine del concerto poi, il dottor Eddie Henderson – giacché il trombettista ha ripartito la sua vita tra la carriera medica e quella musicale – ha risposto ad alcune domande  nel corso di una breve intervista rilasciata per Jazzit (si ringraziano Antonio Belgioioso e Raffaella Iannantuoni per la collaborazione).

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Eddie Henderson nasce nel Bronx, in un momento d’oro per il jazz, da genitori entrambi artisti. Prende lezioni di tromba da Louis Armstrong e suona, giovanissimo, con Miles Davis. Quanto conta, in questa musica, nascere al posto giusto, nel momento giusto?
Sono stato molto fortunato, è vero, perché vengo da una famiglia dal forte background musicale: mio padre e mia madre si occupavano entrambi di musica e conoscevo tutti, Duke Ellington, Miles Davis, John Coltrane… una vecchia compagna di stanza di mia madre era Billie Holiday! Ebbene, tutte queste persone, compreso Louis Armostrong, venivano spesso a casa nostra, si intrattenevano con noi, anche se a quei tempi ero giovanissimo e non ancora mi rendevo conto di quanto questo fosse importante. Fino a quando non divenni adolescente: fu in quel periodo che cominciai a frequentare Miles Davis e lì, grazie a lui, si accese come una luce nella mia testa.

Miles Davis, Herbie Hancock, Art Blakey, McCoy Tyner, Benny Golson, Archie Shepp, persino John Coltrane e tantissimi altri grandi del jazz. Qual è l’artista più geniale tra quelli che hai conosciuto?
L’incontro con Miles Davis è stato determinante ma avevo solo diciassette anni e ancora non ero maturo musicalmente, ero anzi ancora un “bambino”. Con John Coltrane, invece, è stato diverso: la sua musica mi ha preso e ho realizzato quanto fossi stato fortunato ad averlo conosciuto di persona, anche dal punto di vista umano, non solo artistico. I suoi dischi sono fantastici, ma quando lo vedevi dal vivo la sua musica ti attraversava da parte a parte, è qualcosa che non puoi spiegare; guardandolo ho capito cosa volevo fare nella vita.

Si può dire che ha avuto due carriere distinte: una negli anni ’70 e un’altra a partire dagli anni ’90, con tanti tour anche in Europa. Come si possono definire questi due momenti artistici?
In realtà, non sono proprio differenti, sono anzi una la continuazione dell’altra, anche perché è la musica stessa che è cambiata, cambia sempre. Se pensate alla musica degli anni ’30, questa era solo swing, poi è arrivato il be-bop, il cool jazz, l’avanguardia… e i musicisti che sono sopravvissuti lungo questi anni non hanno avuto diverse carriere ma, almeno quelli che lo hanno fatto, si sono evoluti coi tempi. Alcuni musicisti, è anche vero, non volevano cambiare e volevano continuare a suonare be-bop, ma questo andava bene sessant’anni fa! Il mio parere è che bisogna stare al passo coi tempi: ho imparato questa consapevolezza da Miles Davis, essere nel presente, viverci dentro, che poi è ciò che consiglio alle nuove generazioni.

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Qual è il tuo disco preferito tra quelli che hai realizzato?
Il mio miglior album è in assoluto il primo, “Realization”, quando suonavo con Herbie Hancock. È il più “innocente” della mia carriera: ero solo parte della band di Hancock ma piacevo così tanto che hanno messo il mio nome sul disco. Inoltre, a differenza degli altri album in cui Hancock doveva essere sempre un po’ commerciale, in quello ci lasciò ampio spazio, ognuno suonava come voleva e anche per questa ragione rimane il mio album preferito, senza dubbio.

Un’ultima domanda al medico Eddie Henderson: la musica fa stare bene fisicamente?
Assolutamente sì! Le persone me lo chiedono sempre: perché non fai il dottore a tempo pieno, potresti guadagnare di più, no? E allora io rispondo che la musica aiuta la mia mente a stare bene e senza la musica sarei anche un pessimo dottore.

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