30 agosto 2023
L’etichetta Abeat Records ha esordito nel 1998 come edizioni musicali e nel 2000 come casa discografica, dedicandosi alla produzione di registrazioni in ambito prevalentemente jazz e world music, con alcuni dei più autorevoli interpreti della scena musicale italiana e internazionale. Attenta anche alle nuove realtà, Abeat Records ha realizzato circa trecento dischi e vinili di pregio in poco più di vent’anni di attività, collaborando con più di seicento artisti e compositori internazionali. La politica dell’etichetta consiste nella pubblicazione, creazione e produzione di originali progetti musicali, promuovendoli ciascuno con una propria forte identità. Ogni album ha infatti un differente colore, sapore e suono, in una parola, una propria storia personale. Oggi Abeat Records è considerata una tra le migliori etichette audiofile internazionali, grazie all’attenzione particolare rivolta alle fasi di registrazione. Il suo fondatore Mario Caccia ce ne racconta la storia.
a cura di Arianna Guerin
Buongiorno Mario e bentornato su Jazzit! Per iniziare, ci racconti com’è nata la tua passione per la musica e in particolar modo per il jazz?
Per ciò che concerne la passione per la musica, hanno influito in particolar modo l’ambiente e le circostanze: da bambino spesso, anziché giocare con gli altri, mi sedevo accanto al pianoforte di una mia cugina più grandicella. Letteralmente rapito dal suono, avvertivo, credo, una sorta di ancestrale richiamo. A tredici anni rimasi totalmente folgorato dal suono di un basso elettrico suonato dal simpatico fidanzato hippie di un’altra mia cugina. Intrapresi così lo studio del pianoforte, della chitarra e del basso. In seguito ho studiato contrabbasso classico (senza però completare il percorso in Conservatorio). Ho poi virato radicalmente, quando a diciassette anni ebbi la mia prima proposta di lavoro nell’ambito della musica leggera, pop e di intrattenimento. Una carriera fortunata, ricca di soddisfazioni e di viaggi per il mondo. La passione per il jazz è nata piuttosto tardi. Credo che la mia mission discografica risponda a un’esigenza interiore di sublimazione. Il fatto di aver concesso troppo alla musica leggera mi ha forse indotto, almeno in ambito discografico, a concentrarmi su altri generi, jazz e world music in particolare. Come ascoltatore ne sono sempre stato affascinato sin da ragazzo. Ho collezionato con pazienza le pubblicazioni divenute storiche come I giganti del jazz dell’Armando Curcio Editore e soprattutto i Grandi del jazz della Fabbri Editori.
Mario Caccia con Franco Cerri – Photo Credit To Stefano Galvani
Quando e perché hai deciso di intraprendere la professione del produttore musicale? Raccontaci la storia della tua carriera.
Circa ventitré anni fa, quasi per caso, assecondando alcune pressanti richieste di amici che immaginavano per me una dimensione alternativa alla sola musica suonata. Pubblicai i primi due dischi, Il Poeta, del Renato Sellani Quartet, e Prism, con Don Friedman, Stefano Bagnoli e Marco Ricci. Fu un successo immediato e da lì ho continuato con entusiasmo crescente sino ad oggi. Abbiamo avuto tanti riscontri, in alcuni casi davvero eccezionali, sia con artisti nazionali che con interpreti stranieri. Alcuni dischi sono diventati piccoli best seller in Giappone e in Francia.
Photo Credit To Salvatore Tubo
Ci parli della tua etichetta “Abeat Records”, della sua storia, delle sue caratteristiche, nonché della sua linea editoriale e delle ultime pubblicazioni?
Abbiamo sempre cercato di avere un’impostazione “aperta”. Non a caso il nostro catalogo vede un’alternanza di titoli e stili musicali differenti, pur rimanendo nell’ambito della “musica improvvisata”. Passiamo dall’avanguardia alla tradizione, dal latin jazz alla world music con una certa disinvoltura. In buona sostanza, declinando tutte le cosiddette sotto-etichette del jazz o le varie definizioni che spesso lasciano il tempo che trovano, cercando di identificare progetti di qualità. Abbiamo una certa predilezione per il piano trio e dedichiamo una particolare attenzione ai giovani. Segnalare alcune delle ultime pubblicazioni significherebbe fare un torto a molti. Mi limito perciò a indicare, tra i giovani, il disco Amorè di Aldo Di Caterino, un talentuosissimo flautista, Infinity di Michele Fazio, con Aska Kaneko e Carlos Buschini, e Blues and Bach, l’ultimo vinile di Enrico Pieranunzi & Orchestra diretta da Michele Corcella.
Mario Caccia con Johnny O’Neal – Photo Credit To Roberto Cifarelli
Come scegli i progetti discografici che andranno a far parte del catalogo?
In particolare in base a due metodi: riceviamo il materiale per una eventuale pubblicazione da ogni parte d’Italia e anche dall’estero; l’ascolto dei master e una serie di valutazioni di ordine artistico, tecnico e di marketing ci inducono a fare offerte di pubblicazione. In altri casi, procediamo a produzioni complete in sinergia con gli artisti.
Nell’era della rivoluzione digitale com’è cambiato il mestiere del produttore discografico?
Ormai siamo obbligati a modulare costantemente le strategie, la comunicazione e la promozione. Una volta era più semplice da un certo punto di vista. I margini operativi sono bassissimi e la sfida si è fatta più complicata.
Che consigli ti sentiresti di dare invece a un giovane artista emergente che desideri pubblicare il suo primo album?
Banalmente, chi non risica non rosica. Occorre applicarsi, crederci e mai desistere. I risultati a volte si raccolgono piano piano. La qualità, il talento e la perseveranza, prima o poi pagano.
Cosa si dovrebbe fare in Italia secondo te per sostenere maggiormente la tua categoria?
Il problema in Italia è generale e riguarda l’approccio culturale. Un paese civile, con una tradizione e una storia come la nostra dovrebbe ritenere il capitolo cultura indispensabile. Invece non è così, ed è raro trovare sensibilità anche politiche che si rendano conto di questo vulnus nostrano.
Photo Credit To Eddi Canonico
Consiglieresti a un giovane di intraprendere la tua carriera professionale? E che tipo di percorso dovrebbe fare?
Certamente sì, con la consapevolezza che i cosiddetti “generi di nicchia” rappresentano una grande sfida. Oggi con delle idee brillanti credo si possa costruire sempre qualcosa.
Tu fai parte di ADEIDJ, l’Associazione Italiana delle Etichette Indipendenti di Jazz. Come ti ha aiutato l’associazione nel tuo lavoro?
Permette di avere degli scambi utili, essere informati e aggiornati, risolvere spesso questioni pratiche. Molto interessante è anche l’aspetto propositivo, volto a sensibilizzare la politica e le istituzioni. Obiettivo, a mio avviso, forse tra i più importanti e da perseguire con vigore.
Quali sono i tuoi prossimi progetti per il futuro?
Abbiamo in cantiere diverse produzioni di pregio e con artisti italiani e internazionali.
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